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Mons. Carmelo Moncada
Dotto e santo arciprete

Nel 1860, quando si svolse il plebiscito per l’unità d’Italia, era arciprete di Canicattì mons. Carmelo Moncada .
Fu lui a prodigarsi più di tutti per il successo, di quella consultazione elettorale, mettendo a disposizione la Chiesa Madre e partecipando a tutte le operazioni di preparazione e di espletamento del voto.
Meritava gratitudine per quanto aveva fatto con assoluta dedizione ed ammirevole sentimento di patria.
E invece, ne! 1866, in seguito alle leggi di soppressione degli ordini religiosi e alla confisca dei loro beni, subì dai regime luogotenenziale sabaudo persecuzione e arresto, sol perché aveva difeso i diritti della religione contro la sopraffazione di una classe governativa anticlericale e insensibile ai valori cristiani.
Egli sopportò con rassegnazione l'umiliazione e le sofferenze del carcere, ma non desistette mai dai suoi principi.
Intensa era la religiosità di mons. Carmelo Moncada, così profonda che nel quadro esposto nella sacrestia della Matrice, in cui egli è effigiato, ne viene esaltata la santità per ben quattro volte con l'avverbio latino sancte, santamente. In tale ritratto, in cui egli, vestito con cotta, almuzio e stola, è raffigurato con la mano destra protesa a indicare il Crocifisso che si erge sul tavolo, si legge: "Sac. Carmelus Moncada sancte ut parochus hanc ecclesiam rexit, sancte seminarium agrigentinum ut canonicus theologus ac archidiaconus, sancte vixit, sancte mortuus die 1° Februarii 1907", cioè "santamente il sacerdote Carmelo Moncada resse come parroco la Chiesa Madre, santamente diresse il seminario agrigentino come canonico, teologo e arcidiacono, santamente visse, santamente morì il 1° febbraio 1907".
Era stato nominato arciprete il 12 giugno 1853 da mons. Domenico Lo lacono, vescovo di Girgenti, il quale lo aveva scelto come successore di padre Francesco Martines, che, ultraottuagenario, era al suo quarantasettesimo anno di carica e non era più in grado fisicamente di reggere le sorti della parrocchia, che a quel tempo era unica, coadiuvata soltanto dalla succursale chiesa di San Biagio.
Da tre anni ormai don Carmelo Moncada lo sostituiva nelle attività pastorali in qualità di economo. Ne aveva assunto la supplenza il 15 agosto 1850, all'età di trentaquattro anni.
Era l'anno del Giubileo: e lui lo aveva saputo celebrare con zelo e devozione. La domenica 8 dicembre 1850, festa dell'Immacolata, aveva organizzato una grande processione penitenziale, dalla chiesa di San Francesco fino alla Matrice, con la partecipazione del popolo e di tutti i sacerdoti e i religiosi dei quattro conventi.
In quanto economo, tutte le responsabilità gravavano su di lui, che, pur non essendo ancora arciprete, ne faceva interamente le veci, considerate le condizioni di invalidità di padre Francesco Martines. Un fatto particolare venne a caratterizzare il suo periodo di economato: l'installazione della Santa Croce all'inizio dell'attuale Viale Regina Elena. Ciò avvenne il 23 febbraio 1852, proprio nel giorno conclusivo della lunga missione dei cappuccini, che aveva avuto inizio il 30 novembre 1851. Furono essi a chiedere di voler lasciare un segno perenne della loro presenza tramite una grande Croce di ferro, in cui fossero esposti tutti i simboli dei misteri dolorosi. Essi ebbero il pieno consenso e la totale collaborazione di don Carmelo Moncada.
Egli non si sottraeva mai agli impegni e se ne faceva sempre carico, anche con sacrificio personale. La domenica, 7 marzo 1852, annunzio dal pulpito che da Pio IX era stato concessa, per il periodo di un mese, la facoltà di lucrare l'indulgenza plenaria a chiunque compisse tre viaggi dalla propria casa alla Matrice, praticasse un giorno di digiuno e facesse un'elemosina, secondo le proprie possibilità. Egli per i poveri si sacrificava incessantemente. Per loro, per aiutarli nei bisogni della vita, aveva venduto quanto possedeva di proprio.
Era lui a interessarsi degli indigenti presso il Comune e a chiedere interventi per i casi pietosi. Era lui a portare le medicine agli infermi delle famiglie povere. Durante il colera del 1867 non badò a se stesso e si prodigò oltre le proprie forze, sia di giorno sia di notte, incurante di contrarre il contagio. Lo si vide correre ininterrottamente al capezzale dei malati e dei moribondi per portar loro il sollievo dei farmaci, il ristoro del cibo e il conforto della religione. Per tanto eroismo ebbe dal governo la medaglia dei benemeriti
Era un sacerdote modello: era stato ordinato a Girgenti da mons. Domenico Lo lacono, il 4 giugno 1841, e lo stesso giorno era tornato a Canicattì, mentre in tutte le chiese era esposto il Divinissimo, per implorare la fine delle piogge, che da tre giorni e tre notti cadevano ininterrottamente, con grave danno per le colture. Egli amava tanto Canicattì, la città dove il 6 ottobre 1816 era nato da genitori molto religiosi, Giuseppe e Santa Parla. Essi lo avevano educato cristianamente e lo avevano avviato agli studi sotto la guida di un bravo precettore, il sacerdote Vincenzo Cammilleri.
La vocazione al sacerdozio gli era sbocciata nell'animo molto presto. A quindici anni aveva dovuto decidere se indossare il saio francescano dei conventuali, sollecitato in ciò dai frati della chiesa di San Francesco, o entrare in seminario, come voleva un suo zio. Aveva deciso per il seminario ed era stato accolto a Girgenti nel Collegio dei Santi Agostino e Tommaso, dove si era distinto per intelligenza, impegno e serietà.
Tante sono le opere da lui realizzate come arciprete, perché infaticabile fu nel suo apostolato.
A lui si deve la fondazione di varie associazioni religiose: anzitutto, la Pia Unione delle Madri cristiane e quella delle Figlie di Maria, istituite rispettivamente il 23 e il 24 giugno 1872, poi la Congregazione dei recordanti per l’assistenza ai moribondi, fondata il 30 aprile 1873; inoltre due sezioni antiblasfeme, per la lotta contro la bestemmia e il turpiloquio: la prima, con sede presso la chiesa di San Biagio, sotto la guida del sacerdote Costantino Aronica ; l'altra presso la Chiesa Madre, sotto la direzione di don Gioacchino Lo Brutto; infine l'Apostolato della Preghiera, sotto la tutela del francescano padre Gaspare Di Caro dei minori conventuali.
L'arciprete Moncada seppe anche adeguarsi ai tempi, che esigevano, a causa dell'accresciuto numero degli abitanti, una gestione parrocchiale decentrata.
Egli volle che alla parrocchia succursale di San Biagio, attiva fin dal 1754, si aggiungesse anche quella di San Diego. E il 18 maggio 1874 l'ottenne dal vescovo mons. Domenico Turano. Con vivo piacere poi venne incontro all'ardente desiderio del sacerdote Salvatore Fede di dare avvio, nel quartiere più settentrionale dell'abitato cittadino, alla costruzione di una chiesa, da intitolare a Sant'Edoardo, il re inglese forte nelle fede, saggio nelle leggi e magnanimo di cuore, morto nel 1066, dopo ventiquattro anni di regno. Nel 1880 avvenne la posa della prima pietra e sette anni dopo la nuova chiesa potè entrare in funzione, con grande soddisfazione del padre Fede, che vedeva così realizzato il voto fatto al santo sovrano inglese, il quale gli aveva concesso la grazia della guarigione da una grave malattìa.
All'inaugurazione della chiesa di Sant'Edoardo nel 1887 mons. Carmelo Moncada partecipò non più come arciprete, ma come canonico e teologo del seminario agrigentino e arcidiacono della cattedrale di San Gerlando. Egli, all'età di settant'anni, nel 1886, si era dimesso dalla carica di arciprete, che per trentatré anni aveva in maniera esemplare ricoperta. Il nuovo vescovo della diocesi, mons. Gaetano Blandini, lo aveva voluto presso di sé, perché ne conosceva la santità, tanto da affermare che con la sola sua presenza gli avrebbe santificato il seminario.
All'emerito arciprete spettava il titolo di monsignore. Ma egli ne era schivo: si considerava sempre il servo dei servi di Dio. Quando si addormentò nel Signore, il 2 febbraio 1907, contava la veneranda età di novantuno anni. L'arciprete Luigi La Lomia, che gli era subentrato alla Matrice, ne tessè l'elogio funebre, esaltandone l'eroicità delle virtù.
Merita questo illustre concittadino di essere onorato: che gli si dedichi almeno una via o una piazza. A sfogliare la toponomastica di Canicattì non s'incontra il suo nome; si leggono, invece, taluni nomi di ignoti e talvolta, purtroppo, anche di ignobili: basti pensare a Tito, massacratore di italiani con le famigerate foibe, al quale è tuttora intitolata una via.
L'arciprete Carmelo Moncada rientra tra i grandi canicattinesi, che hanno dato lustro alla città, aiutato il popolo e sollevato le tristi condizioni delle classi indigenti.
Di lui bisogna essere orgogliosi. E' degno mons. Carmelo Moncada di essere proposto come fulgido esempio di carità cristiana, di solidarietà umana e di pratica delle virtù alle generazioni future.

Diego Lodato


solfano@virgilio.it




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