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IL DOTTOR ANTONINO SCIASCIA - SCOPRITORE DELLA FOTOTERAPIA E PRECURSORE DELLE SCIENZE RADIOLOGICHE

Commemorare il dottor Antonino Sciascia, nel centenario dei Raggi X e nel settantesimo anniversario della sua scomparsa, è per noi un doveroso atto di gratitudine e di riconoscenza verso chi si è reso tanto benemerito dell'umanità sofferente, è rendere il meritato onore a un nostro grande concittadino che tanto ha onorato e onora la natia Canicattì, il quale, primo fra tutti, è riuscito ad aprire un nuovo e vasto orizzonte agli studi moderni della terapia fisica, con l'applicazione della luce alla cura di varie malattie. Egli, e non Finsen, è lo scopritore della fototerapia. Giustizia e verità ci impongono di tributare il dovuto riconoscimento a chi spetta. Non sempre, anche nel mondo scientifico, che in quanto tale dovrebbe averne il culto supremo, viene rispettata la verità: spesso in buona fede, per scarsa conoscenza o ignoranza della realtà delle cose; ma talvolta anche - ed è ancora peggio - per faziosità.
Significative sono al riguardo queste affermazioni del prof. Pagano dell'Istituto di Fisiologia dell'Università di Palermo, contenute in una lettera inviata il 1° settembre 1910 al canicattinese dottor La Vecchia: "Io sono, da molto tempo, convinto della priorità dello Sciascia sul Finsen .... Nel campo della Scienza, io non comprendo le questioni di nazionalità o di razza: tutti i lavoratori del pensiero sono fratelli, tutti parlano dell'intelletto la medesima lingua, tutti li muove lo stesso nobilissimo amore per il progresso umano; ma intendo anche che il più sincero riguardo di giustizia debba guidare nell'attribuire a ciascuno il merito che gli spetta. Ed allo Sciascia spetta quello grandissimo di avere per primo costretta la luce a specializzare intensificando la sua eterna e universa opera di bene" .
A sfogliare le enciclopedie, invano si cerca il nome di Antonino Sciascia: non ne fa menzione il "Grande Dizionario Enciclopedico" della UTET; neppure la "Enciclopedia Italiana" della Treccani, pur così ricca di nomi, di etimi e di voci, nomina l'illustre scienziato canicattinese; non se ne trova cenno neppure 'in verbo' "fototerapia" . E ciò depone assai male per un'opera che si arroga il vanto di voler far conoscere tutto. Ben altro trattamento, invece, è riservato nella stessa enciclopedia a Niels Ryberg Finsen, senza alcuna esitazione definito "padre della fototerapia": eppure il medico danese solo parecchi anni dopo pubblicava a Copenaghen i risultati dei suoi studi sull'applicazione in medicina dei raggi concentrati della luce e ne dava alle stampe a Lipsia la traduzione in lingua tedesca. E solo nel 1899 pubblicava a Parigi "La Photothèrapie", con cui si candidava al Premio Nobel per la medicina, premio che gli venne assegnato nel 1903.
Ma era consapevole il Finsen che quel premio spettasse al dottor Antonino Sciascia, il medico di Canicattì di acuta altezza d'ingegno e di dedizione assoluta alla scienza, il quale aveva dato comunicazione della sua geniale scoperta, nel 1892, al XIII Congresso Oftalmologico di Palermo. "Ricordo in tutti i suoi particolari - dichiarava il dottor Alaimo Marchetti, che rappresentava il Corpo sanitario agrigentino ai festeggiamenti che si tributarono il 25 settembre 1910 allo scienziato canicattinese - quella seduta del Congresso, in cui il Dottor Antonino Sciascia fece la sua comunicazione, accolta col massimo interesse dai Congressisti tutti. Ricordo che mi stava seduto accanto l'illustre Prof. Mèyer di Parigi, il quale esclamò: son felice di essermi trovato oggi fra voi. La comunicazione del Collega Sciascia apre alla terapia fisica nuovi e vasti orizzonti".
Però poi l'esterofilia e la campagna pubblicitaria che s'imbastì attorno alla figura del medico danese, cui fu di valido contributo la suggestione psicologica esercitata dalla città di Copenaghen, fecero dimenticare in Italia la priorità della rivelazione scientifica del dottor Antonino Sciascia. "La fortuna, purtroppo, - lamentava il "Giornale di Sicilia" nel 1925 - non arrise a tanto scienziato, che ebbe il solo torto di essere nato e vissuto in un modesto centro, senza veste ufficiale, né rèclame piazzaiola". Lo stesso giornale quindici anni prima, rilevando come la voce del dottore Sciascia avesse avuto immediata eco in America, aveva lamentato che i clinici italiani si fossero interessati degli studi fototerapici "non appena ai principii scientifici proposti da un italiano venne applicata la marca estera". E a fare tale affermazione non era un comune giornalista, ma il chiarissimo professore Gian Battista Ughetti, direttore della Clinica di Patologia Generale dell'Università di Catania, il quale metteva sotto accusa la imperdonabile ignoranza degli specialisti in materia e rilevava con rammarico che alla voce "Fototerapia", recentissima, di un grosso dizionario delle scienze mediche si tacesse il nome di Antonino Sciascia.
La mania esterofila, associata anche a colpevole ignoranza, induceva il ministro Rava nel 1907 a dichiarare al Congresso Internazionale di Terapia fisica svoltosi a Roma: "Dopo Moleschott ed Edwards la luce fu considerata come ottimo strumento pel ricambio dei materiali e Finsen ha fondato la Fototerapia scientifica, che dimostra l'influenza benefica dei raggi luminosi, tanto naturali che artificiali, sull'organismo umano". Il prof. Ughetti lo contesta decisamente: "Il vero fondatore della Fototerapia - scrive - è Sciascia e non Finsen. Non faccio addebito dell'errore al prof. Rava che, per quanto ministro, non poteva essere onnisciente, ma all'ignoto ed ignorante suggeritore che gli ha fornito questi dati peregrini".
Anche il "Dizionario illustrato dei Comuni Siciliani", edito all'inizio di questo secolo, lamenta l'ingiustizia subita dal dottore Sciascia: "Nel 1897 - scrive - il Finsen di Copenaghen pubblicava per la prima volta l'uso della Fototerapia, prescrivendo gli stessi strumenti inventati e pubblicati dal dottore Sciascia sette anni prima. Il Finsen fu salutato l'inventore della Fototerapia ed il dottore Sciascia, che non seppe, per modestia, circondarsi di rèclame, rimase ignorato nel mondo scientifico".
Ne rimarca l'ingiustizia anche il "Dizionario dei Siciliani illustri", che concorda pienamente con quanto affermato dal dottor Libertino Alaimo Marchetti sulla geniale scoperta del dottore Sciascia, che, superate le Alpi, tornò a noi in abito straniero. "Come per tutte le geniali produzioni del pensiero e del genio italiano, che varcarono i confini della Patria, - scrive testualmente il "Dizionario dei Siciliani illustri" - e poi tornarono a noi sotto altro nome e con marca straniera, così gli ulteriori studi della fototerapia straniera tacquero il nome di Antonino Sciascia come inventore del prezioso studio fototerapico, e si assunsero la paternità della geniale scoperta".
Ci sono stati, in verità, in Italia uomini di scienza che hanno saputo rispettare la verità, come il dottor Petri, il quale nel suo "Manuale di fisioterapia moderna", pubblicato a Roma nel 1910, afferma: "Nel 1897 il Finsen di Copenaghen consigliava per la prima volta in lingua tedesca l'uso della fototerapia nella cura del lupus, prescrivendo in tesi generale ed anche per lo strumento ciò che lo Sciascia nove anni prima aveva suggerito. Il merito dell'invenzione, almeno nell' ordine cronologico, spetta certamente al valoroso medico siciliano". E di questa affermazione del dottor Petri prendeva atto con soddisfazione la "Sicilia illustrata" di Palermo, nel suo numero di gennaio del 1911, perché "finalmente - scriveva - era stata resa giustizia al dottore Sciascia".
Questi, due anni dopo il Congresso Oftalmologico di Palermo, nel 1894, aveva dato comunicazione della sua scoperta al Congresso Medico Internazionale di Roma, con una relazione che aveva per titolo "La fototerapia in medicina e chirurgia e la cura specifica della resipola". L'interesse che aveva destato lo si può rilevare da questa dichiarazione rilasciata dal dottor Kossonis di Smirne al giornale di Roma "La Riforma": "Tante dotte comunicazioni hanno soddisfatto la mia mente e più di tutte una scoperta importantissima di uno scienziato italiano, cioè l'applicazione della luce del sole per la cura delle malattie, sotto il nome, coniato dallo stesso autore, di "Fototerapia" .... tale invenzione sarà foriera di maggiori ed importanti applicazioni a beneficio dell'umanità". Proponeva, pertanto, il dottor Kossonis di chiamare l'XI Congresso di Roma il "Congresso della Luce".
E del Finsen ancora non si sapeva nulla, mentre del dottore Sciascia e della sua scoperta egli sapeva certamente già tutto. Che egli fosse al corrente della scoperta della fototerapia da parte del dottore Sciascia e ne riconoscesse la priorità lo attesta questa testimonianza del prof. Giuseppe Cirincione, direttore della Clinica Oculistica dell'Università di Roma: "Il Finsen, contrariamente a quanto molti credono, in una conversazione avuta meco a Berlino, riconosceva ed ammirava francamente nel dottor Sciascia il creatore della odierna fototerapia, alla quale egli, con mezzi semplici, seppe dare consistenza di vera scienza". " Sarebbe stato assai più leale, se avesse altamente affermato che quel premio non spettava a lui", precisava il canicattinese prof. Carlo Gangitano, docente di Medicina Operatoria e Clinica Chirurgica presso l'Università di Napoli, il quale esprimeva tutto il suo disappunto al riguardo in queste sue parole: "La scoperta della fototerapia per le tante applicazioni alla cura di molte malattie è stata ritenuta della più alta importanza tanto che per essa fu assegnato il premio Nobel per la medicina, premio di lire duecentomila; ma questa somma non fu assegnata al Dr. Sciascia, ma a chi non ignorava che il Dr. Sciascia era lo scopritore della Fototerapia ed ebbe la lealtà di confessarlo".
La testimonianza del prof. Cirincione è contenuta in una lettera inviata al canicattinese dottor Luigi La Vecchia nel 1910. Il Finsen era scomparso da sei anni , carpito dalla morte quarantaquattrenne nel 1904. Era nato nel 1860, proprio nell'anno in cui il dottore Sciascia conseguiva la laurea in medicina all'Università di Palermo.
Da poco si era conclusa l'epopea garibaldina. Il giorno dello sbarco dei Mille, l'11 maggio 1860, Canicattì era stata ridotta in stato d'assedio dai soldati borbonici comandati dal generale Afan de Rivera. Ma il 23 erano stati costretti a fuggire per il gran fermento che serpeggiava tra la popolazione. E il tricolore allora era stato issato sulla vetusta Torre dell'Orologio, che sorgeva sullo stesso luogo dove svetta l'attuale. A capo della Giunta comunale si era insediato Salvatore Gangitano, mentre a presiedere il Consiglio civico c'era il barone Giuseppe Bordonaro e a comandare la Guardia nazionale il barone Gaetano Bartoccelli.
Canicattì contava allora 18275 abitanti, stanziati in diciotto quartieri con soli duemila uomini e quattrocento donne in grado di leggere e scrivere, undici medici, nove chirurghi, venti laureati in legge, dieci agrimensori, nessun ingegnere, cento studenti in paese e venti a Palermo o altrove. Per il Plebiscito di annessione al Regno d'Italia ne furono ammessi al voto, per i requisiti richiesti, soltanto 2847. I votanti furono 2643: e di essi uno votò contro. Per tutta la notte durò la festa dinanzi alla cosiddetta Casa Comunale, che sorgeva di fronte all'ex chiesa di Santa Rosalia.
Cominciava così, nella natia Canicattì, con questa festa di ritrovata italianità, l'attività di medico e scienziato di un grande italiano, il dottor Antonino Sciascia, giovanissimo neo-laureato che non aveva ancora compiuto i ventun anni, essendo nato il 19 novembre 1839. Ben presto riuscì a cattivarsi l'affetto e la stima di tutti, colleghi e cittadini di ogni ceto, per le sue elevate doti di mente e di cuore, per l'acutezza del suo ingegno, per la sua varia e vasta cultura, per la sua finezza di spirito e la bontà di carattere. La sua fama valicò in breve i confini della ristretta cerchia cittadina, per estendersi nei vari centri dell'Agrigentino e delle province limitrofe. E da ogni parte accorrevano a lui i pazienti per trovare la giusta terapia ai loro mali. A lui ricorrevano gli altri medici per aiuto e consiglio, ed erano assai lieti quando potevano averlo a consulto. Infaticabile nel campo della medicina, della chirurgia e dell'ostetricia, tenendosi sempre al corrente di ogni scoperta scientifica, si conquistò rapidamente la stima e l'amicizia di tutti i clinici della Sicilia e di Napoli.
Laboratorio ideale fu per lui la sua splendida casa nella zona alta della città, nel quartiere della Badia, con le ariose stanze inondate di luce e le fulgenti terrazze indorate dal sole. "Pensò come il Michelet - scriveva il 20 luglio 1910 su "Il Pensiero Sanitario" di Napoli il prof. Carlo Gangitano, - che fra tutti i fiori il fiore umano è quello che più abbisogna di sole, e volle utilizzare il sole a vantaggio degli infermi; utilizzarlo anche condensandone i raggi, e per le malattie locali mise in opera il suo "fotocauterio", perché la luce, penetrando in mezzo ai tessuti ammalati, risvegliasse nuova vita negli elementi difensori dell'organismo e distruggesse pel suo potere antisettico i germi patogeni".
Estese, quindi, le sue ricerche sugli effetti prodotti dai diversi colori del prisma, prodigandosi a dissociare, selezionare e graduare, sotto il punto di vista fisico, biologico e terapeutico, l'energia dei vari raggi dello spettro, consapevole che "l'applicazione della luce diretta del sole, come viene dalla natura, per l'azione diversa e talvolta contraddittoria delle molteplici sue proprietà riunite insieme", non poteva adattarsi all'attuazione del suo metodo.
Con insonne tenacia e instancabilità proseguì i suoi studi sull'azione terapeutica della luce in varie malattie, "poco curandosi dello scetticismo di alcuni che allora non potevano persuadersi come la luce potesse arrivare ad attraversare i tessuti del corpo umano". Egli riuscì a provare che la fototerapia non riesce soltanto ad agire sui tegumenti superficiali esterni, "ma - sono sue testuali parole - benanco sui visceri; perché la luce condensata penetra realmente nelle intime latebre degli organi profondi, determinandovi le sue speciali reazioni".
Stando di continuo a diretto contatto con tanto umano dolore, con la particolare sensibilità d'animo che lo caratterizzava, profuse tutte le sue forze del suo ingegno e le energie del suo cuore a escogitare gli opportuni rimedi e le adeguate terapie. Emblematiche sono al riguardo queste sue parole, che ne mettono in risalto "il generoso palpito verso le sofferenze umane" e la totale dedizione "al doveroso culto della scienza": "Quando, nel mio modesto esercizio di medico, dopo aver assistito ai dolori, ai mali incurabili dei sofferenti, che mi avevano stretto il cuore come in una mano di ferro, spesso uscendo da oscuri anditi per rifarmi dall'oppressione e dal dolore morale ai rai della fulgente luce del nostro ridente sole meridionale, fra me e me pensavo: oh, potesse un raggio solo di tanta copiosa luce apportare ai miei poveri ammalati ristoro e lenimento alle loro gravi sofferenze! Poveri ammalati! E fisso in questo pensiero, studiai, meditai, provai e riprovai, ed ecco uscire fuori vittoriosa la taumaturgica Fototerapia".
Il dottor Nicolò Adamo, ufficiale sanitario di Canicattì agli inizi di questo secolo, vedeva nel dottore Sciascia un nobilissimo esempio da imitarsi, in quanto nella sua figura l'onestà del carattere si coniugava molto bene con l'ingegno e il sapere. La sua impronta morale, caratterizzata da una grande nobiltà d'animo, si trasfondeva nei colleghi, "formando - asserisce testualmente il dottor Adamo - tutto un ambiente amorevole, dignitoso, indipendente e soprattutto onesto".
Le doti umane del dottore Sciascia non vanno disgiunte da quelle dello scienziato, interamente dedito a lenire le sofferenze che affliggono l'uomo e a scoprirne la terapia adeguata. La sua opera di scienzato è compendiata nel volume "La fototerapia", edito a Roma nel 1902 dalla Società Editrice Dante Alighieri.
Da lui stesso sappiamo che i suoi esperimenti a scopo terapeutico ebbero inizio nel 1890 con il fotocauterio, lo strumento da lui inventato e poi fatto brevettare nel 1894 dall'apposito Ministero. Mirava il dottore Sciascia, all'inizio, a curare le lesioni di spettanza chirurgica e "operare la cauterizzazione dei neoplasmi di piccola mole". Ma, "nell'adoperare lo strumento, - scrive - avendo osservato, che quanto più io lo avvicinava o allontanava dalla distanza focale avveniva una graduazione nella intensità dell'energia luminosa, determinando un'azione biologica differente dalla cauterizzazione, volli studiare questa risultanza per l'uso medico, nelle malattie della superficie cutanea. Con esperimenti fotografici posteriori mi convinsi che l'azione della Luce può estendersi profondamente nei visceri, e l'applicai alla cura delle malattie interne. Il risultato ottenuto superò l'aspettativa per le sollecite guarigioni avvenute".
Il dottore Sciascia, pervenuto alla grande scoperta, prima di darne ufficiale comunicazione, volle accertarsi che nessuno prima di lui fosse arrivato ai medesimi risultati, come dichiara lui stesso: "Prima però di pubblicare le mie osservazioni ,volli consultare tutte le opere classiche di patologia speciale medica e chirurgica, sino al 1892; ma non avendo riscontrato neppure un cenno di casi clinici curati per mezzo della Luce, ed artificialmente combinata, nel XIII Congresso dell'Associazione Oftalmologica Italiana, tenutosi nello stesso anno 1892 in Palermo, lessi una mia prima comunicazione, proponendo l'uso della Luce, gradatamente condensata, come mezzo terapeutico". E tale diligenza di documentarsi per evitare di attribuirsi un merito che non gli spettava va tutto ad onore del dottore Sciascia e ne esalta la grande lealtà e nobiltà d'animo.
Una sintesi della comunicazione fatta dal dottore Sciascia al Congresso Oftalmologico di Palermo fu pubblicata in Italia e in America dal "Pacific Journal Medical". Ma l'Europa rimase sorda, pronta però ad applaudire parecchi anni dopo il professor Finsen. E l'amarezza pacata e velata del dottore Sciascia traspare evidente da queste sue parole: "Nel 1897, il prof. Finsen di Copenaghen, per la prima volta, pubblicava la cura del "lupus volgare" coll'uso dei raggi chimici condensati, denominando questa medicazione Fototerapia. Gli strumenti adoperati dal Finsen sono simili, per non dire identici, a quelli descritti nel mio brevetto d'invenzione del 1894".
Il Finsen non fu originale neppure nella denominazione, perché questa era stata già proposta dal dottore Sciascia diversi anni prima, il 14 aprile 1892, al Congresso Oftalmologico di Palermo, quando, dando inizio alla lettura della sua relazione, così aveva esordito: "Ho l'onore di presentare per la prima volta a questa scientifica adunanza una nuova medicazione, basata sull'energia luminosa e che propongo di denominare Fototerapia".
Gli alleviarono in parte tale amarezza i solenni riconoscimenti che ricevette nel 1910 da tanta parte del mondo scientifico d'Italia, quando, come scriveva il "Giornale di Sicilia", "molti illustri clinici lo dichiararono il vero inventore della fototerapia e il geniale precursore nella applicazione terapica delle radiazioni luminose". Ricorreva allora il cinquantesimo anniversario della sua laurea: e la festa che gli si tributò - sottolineava il "Giornale di Sicilia" - assurse "al fastigio di una vera apoteosi", in cui "fu conclamata la priorità del metodo scientifico del dottor Sciascia". Ad organizzarla - rilevava il professor Carlo Gangitano - fu gente disinteressata, perché egli era lontano dalla politica e dai partiti, e non era in grado di dispensar favori; non ci furono a prepararla neppure parenti o eredi che volessero mettersi in vista, perché egli era solo al mondo, e la sua fortuna era modesta; ma fu una festa promossa da tutta una cittadinanza che voleva dimostrare di quanta stima, di quanta ammirazione, di quanto affetto fosse circondato da cinquant'anni il dottore Sciascia che sempre aveva lavorato facendo del bene per dove era passato.
In tale circostanza il "Giornale di Sicilia" scriveva che forse mai v'era stato giubileo più spontaneo, più sincero, più disinteressato di questo, non essendo il celebrato né potente né ricco, non avendo da distribuire né cattedre né favori, non essendo neppure costellato di onorificenze abbaglianti né seduto su eminente scanno. "Eppure tutta la Sicilia medica e scientifica - rilevava il quotidiano di Palermo - si allieta di unirsi a Canicattì per tributare sensi di ammirazione al suo modesto e venerato figlio".
Il ministro della Pubblica Istruzione dava la sua adesione ai festeggiamenti e definiva il dottore Sciascia "onore della classe e della scienza medica". Il titolare del dicastero più direttamente interessato alla scienza se n'era finalmente accorto. Aveva ragione il prof. Ughetti a prendersela sul "Giornale di Sicilia" con i reggitori - testualmente - della così detta Istruzione pubblica che non hanno mai né compensato né aiutato".
Riconoscimenti ufficiali come "geniale fondatore della fototerapia scientifica" giungevano al dottore Sciascia dalle Università di Palermo, Catania, Messina, Napoli, Roma, Bologna, Padova, e da tante prestigiose cliniche. Analogo riconoscimento gli veniva dalla redazione del giornale medico "Il Policlinico" di Roma, dalla "Rivista medica" di Milano, da "Il Pensiero Sanitario" di Napoli e dall'ordine dei medici di tante province. In particolare l'Ordine dei Medici della provincia di Roma plaudiva alla rivendicazione della nuova gloriosa conquista della genialità italiana.
Il prof. G.Rummo, direttore della Terza Clinica Medica dell'Università di Napoli, comunicava il 18 luglio 1910 al dott. Luigi La Vecchia di associarsi ai festeggiamenti per il 50° anniversario della laurea del dott. Antonino Sciascia, definendolo "vero precursore nell'applicazione terapica delle radiazioni luminose". Il prof. Tricomi della Clinica Chirurgica dell'Università di Palermo riconosceva apertamente che la fototerapia era gloria del dottore Sciascia: "La via fu tracciata dall'illustre nostro siciliano - asseriva - e la giustezza delle sue vedute è dimostrata dai confini maggiori delle indicazioni e della messe di risultati ogni dì più numerosa ". Il prof. Miranda, direttore della Clinica Ostetrico-Ginecologica dell'Universita di Napoli, dichiarava: "La critica moderna ha rivendicato al prof. Sciascia la scoperta della Fototerapia; ma io mi auguro che ben presto tutti gli Italiani riconoscano in questo valoroso soldato della Scienza l'inventore di tanta geniale ed utile applicazione, acclamandolo benemerito della umanità sofferente, della Scienza, della Patria, di cui Egli è lustro e decoro". Un altro docente della stessa Università, il prof. Vincenzo Cozzolino, direttore della Clinica Otoiatrica e Rinoiatrica, affermava: "E' merito altissimo di Sciascia, in tempi in cui era ignota la natura e l'azione specifica di certi raggi e usufruendo di mezzi limitatissimi, l'aver intuito l'azione terapica della luce solare concentrata nelle varie lesioni esterne, che trovano oggidì la guarigione nei raggi x, nella radioterapia ecc.".
Il dottor Eugenio Calvello, direttore dell'Istituto di Elettricità medica e di Cure fisiche di Palermo, riconosceva che la rivendicazione della scoperta fatta dal dottore Sciascia era giusta ed onesta: "Da parte mia - sottolineava - non ho mancato mai di riconoscere in lui il fondatore della Fototerapia, tanto che nella mia comunicazione fatta al 1° Congresso Medico Siciliano, tenutosi a Palermo nel 1902, nella seduta del 30 maggio, lo feci rilevare, cominciando io per il primo la rivendicazione, che oggi si vuol fare ". Il prof. Arnaldo Angelucci, direttore della Clinica Oculistica di Napoli , il 28 agosto 1910 scriveva: "io ebbi dall'Autore le prime confidenze sulla sua invenzione e ne ho assistito ai continui trionfi, fino a ieri quando in una grande clinica napoletana vidi applicata la luce violetta alla cura della turbercolosi cutanea e con piacere sentii attribuire al dottore Sciascia il metodo dell'invenzione".
Il dottor Calogero Fradella, medico provinciale di Firenze, in una lettera scritta il 2 agosto 1910, esaltava il dottore Sciascia "non solo per i meriti scientifici, ma per la grande nobiltà con la quale, per dieci lustri, aveva esercitato, con fede di apostolo, la medicina, riuscendo, esempio forse unico, ad imporsi al rispetto profondo, duraturo e sincero di tutti i colleghi: virtù questa, che conduce a maggiormente esaltare le doti dello scienziato e dell'uomo di cuore". Il prof. Domenico D'Arman, primario dell'Ospedale Civile di Venezia, l'11 settembre 1910 dichiarava che era stato il dottore Sciascia a inventare "veramente quella che ora si chiama a torto, anche da noi italiani, Finsen-terapia"; e si diceva lieto che si rivendicasse finalmente " la importante conquista fisioterapica all'Italia e ad un valente quanto modesto (troppo forse) medico italiano".
Una modestia senza pari, come ricorda l'avv. Francesco Macaluso, accompagnò l'inestimabile cultura nel campo medico del dottore Antonino Sciascia, il quale condusse una vita economicamente dignitosa, che non toccò mai però le soglie della ricchezza, tanto che, quando si spense, il 12 aprile 1925, potè lasciare alla moglie Isabella Macaluso, di molti anni più giovane di lui, ritenendo che potesse esserle sufficiente per il suo avvenire, una rendita annua di lire tremila e cinquecento, "frutto di tutta una vita di studi e della sua professione", scriveva il 25 luglio 1954 su "Il Dovere Nuovo" di Agrigento il direttore del giornale, il quale sottolineava quindi: "Oggi non bastano neanche per una settimana". La vedova, ormai più che ottantenne, viveva in pieno disagio, tra il disinteresse del Governo, del Ministero della P.I. e dall'Alto Commissario per l'Igiene e la Sanità, cui l'avv. Macaluso faceva appello per il caso "davvero dolorante".
Il dottore Antonino Sciascia fu tanto amato dal popolo quanto negletto dal Governo, il cui unico intervento in suo favore fu quello del semplice conferimento, tramite il Re, il 6 ottobre 1910, del titolo di Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Egli al popolo si era sempre dedicato con generoso animo di filantropo e con spirito di abnegazione, fino al sacrificio di se stesso. Si augurava, pertanto, il "Giornale di Sicilia" nel 1925, riportandone la notizia della morte, che Canicattì custodisse gelosamente la gloria di così grande figlio contro l'oblio.
Ora a dargli meritatamente gloria è il Museo della Radiologia dell'Università di Palermo, unico in Italia e uno dei pochi esistenti in Europa, dove il dottor Antonino Sciascia è onorato come "inventore della fototerapia e precursore delle scienze radiologiche", e dove i visitatori possono ammirare la lente biconvessa con cui egli, primo nel mondo, "praticava l'elioterapia".
Venga, quindi, più degnamente onorato a Canicattì. Si ridoni nuovo splendore al suo cippo marmoreo e alla villetta che sorge in piazza Vespri, ora fortemente degradata. Più auspicabile sarebbe che gli venisse eretto un nuovo e più degno monumento a figura intera nel cuore della città, con un'epigrafe che accolga scolpite, affinché restino indelebilmente impresse nell'animo e nella mente di tutti, queste esaltanti e riconoscenti parole dettate dal prof. Gian Battista Ughetti:

AD ANTONINO SCIASCIA

GRANDE NELL'ESTIMAZIONE E NELL'AFFETTO DEI CONCITTADINI

PER LA SAPIENTE OPERA DI MEDICO

MEZZO SECOLO ESERCITATA CON NOBILE DISINTERESSE

ALL'INVENTORE DELLA FOTOTERAPIA

CHE VIVRA' RICORDATO NELLA STORIA DELLA MEDICINA

GLORIA IMPERITURA DELLA CITTA' NATIA E DELLA SCIENZA



Diego Lodato

[Questa conferenza è stata tenuta dal prof. Diego Lodato il 12 maggio 1995 nel convegno celebrativo del centenario dei Raggi X, svoltosi nel salone del Banco di Credito Siciliano a Canicattì. In tale convegno il prof. Adelfio Elio Cardinale, direttore dell'Istituto di Radiologia "Pietro Cignolini" dell'Università di Palermo e presidente della Società Italiana di Radiologia, definì il dottore Sciascia "antesignano della disciplina radiologica".]


 Per saperne di più, visita il sito: Le ragioni di Sciascia - Cronaca di un nobel negato

solfano@virgilio.it


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