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Virtù e difetti dei canicattinesi

Dalla sommaria descrizione fatta di alcuni dei quartieri più noti della città si può dedurre che l'apparato urbanistico canicattinese è diviso in unità ben distinte, tanto le differenziazioni sono numerose, e pur tuttavia incastrale come in un puzzle, ma con aspetti di tanto in tanto costituiti da aree originali: antiche le periferie sono invece zone-focolaio di ammodernamento, per lo più residenza di famiglie emerse da breve tempo e fino a pochi anni or sono, abitanti le zone-ghetto, le umide case, i cortili fangosi del centro antico e dei quartieri più popolari: la ancora selvatica arretratezza ed i! tradizionale comportamento delle "comunità di cortile" si sono spesso trasferiti in questi palazzi moderni pochissimo curati nelle parti comuni, rumorosi e carenti per pulizia e - di contro - spiccatamente curati negli interni degli appartamenti: il trasferimento ha anche apportato la sostituzione del vecchio mobìlio ricambiato da mobili certamente funzionali ma molto spesso orrìbili in fatto di estetica.

Canicattì sta cambiando pelle: un piccolo universo straordinariamente in evoluzione che alla fase evolutiva tuttavia deve attendere del tempo prima di raggiungere la cancellazione delle disfunzioni che in atto sono evidenti.
Nelle pagine precedenti abbiamo fecalizzato l'ambiente e le caratteristiche fìsiche di Canicattì - ma ambiente e caratteristiche fisiche - specie per ciò che riguarda le strutture che formano la città sono frutto degli individui che vi risiedono.
I canicattinesi hanno - come qualsiasi gruppo in qualunque parte dell'universo - virtù e difetti: li differenzia tuttavia il fatto di quali e quanti siano i difetti e di quali e quante sono le virtù.
Ci sono intanto nel canicattinese virtù e difetti che si sovrappongono e si disinnescano a tamburo battente: diffidente il canicattinese, antepone in ogni atto, in ogni parola la riserva mentale, una riserva che dissimula con l'affabilità ed il sorriso.
Tale riserva deriva da una specie di timidezza, dal timore di essere preso in giro, di sbagliare o di essere giudicato male; in una specie di vergogna che si traduce nella paura di dire o fare stupidaggini; tuttavia - come tutti i timidi - nella preoccupazione di far bella figura e comunque per non dare agli altri la sensazione dì "essere di meno" - il canicattinese straripa nell'opposto e si comporta in maniera intollerabile: da presuntuoso.
La presunzione - aggravata da mancanza quasi totale di cultura per la maggior parte dei canicattinesi - si trasforma in arroganza quando si dispone di un ufficio, di un incarico pubblico, di un discreto peculio.
Pochi, pochissimi canicattinesi sono proclivi ad eccellere in un'arte disprezzata o ignorata dalla maggior parte perché non redditiva ed effimera: l'arte di vivere.
La maggioranza conosce solo il denaro ma non come mezzo per vivere appunto ma come "cosa" fine a se stessa, l'egoismo, il bene personale, l'individualismo sono "abitudini" assai diffuse. E' inutile dire che - prerogativa di tutto il meridione dei resto - l'omertà è insita nel canicattìnese; una sorta di tabù di comunità, una specie di codice d'onore di clan, il timore, il rispetto impedisce la denuncia pubblica, il ricorso alla protezione della legge: l'anonimo impera sovrano; ci si sfoga col mugugno o tutt'al più si ricorre alla lettera anonima.

La scuola è solo un passaggio obbligato per ottenere "la carta"; il diploma il mezzo per ottenere una sistemazione: il "ventisette" sicuro è infatti l'aspirazione più viva dì ogni canicattinese, maschio o femmina che sia.
In ogni caso è noia, fastidio e non solo per gli scolari, per gli alunni, per gli studenti ma anche per i professori - svogliati per la maggior parte, incapaci comunque di stimolare l'interesse per le scolaresche.
Ma soprattutto delusi dal fatto, provato a Canicattì in maniera davvero evidente, che i soldi si possono fare senza la cultura e senza possedere un briciolo di intelligenza: gli esempi sono numerosi.
Non vale la pena di insegnare con entusiasmo, non vai la pena di apprendere con passione se alla fine si è mortificati da stipendi da fame, o - con la cultura e "la carta" - non si riesce a guadagnare tanto quanto guadagna un incassettatore di uva o uno zotico e maleducato fruttivendolo.
Per l'impiego e lo stipendio sicuro, per arrivare al "ventisette" non occorre avere una preparazione adeguata: basta andare in ufficio e svolgere quel poco necessario alla meno peggio.

Nella grande maggioranza la gente di Canicattì accoglie benevolmente i forestieri: Canicattì adotta facilmente gli immigrati e li mette subito a proprio agio; in gran numero essi diventano dirigenti e animatori del comune. Ovviamente il forestiero di passaggio viene accolto con cordialità ma l'adozione per un più ampio periodo presume l'adattamento dell'immigrato stesso: questi deve essere "semplice", "naturale", "senza la mosca al naso"; non deve essere sdegnoso, guardare dall'alto in basso, essere o considerarsi superiore e non dovrà immischiarsi in cose che non lo riguardano almeno fino a quando non sarà completamente integrato.
Il periodo della raccolta e della commercializzazione dell'uva - a cominciare dai primi di settembre e fino a novembre inoltrato - determina un comportamento alquanto diverso del canicattinese nei confronti del forestiero: il commerciante, i fornitori, le affittacamere giocano sui prezzi, i pesi e le misure cercando di approfittare dei compratori delle uve, dei mediatori, della gran massa di operai a giornata che si riversano a Canicattì invadendo la città. Tuttavia quando il rapporto si protrae e, anche se stagionale, diventa continuo negli anni, viene adottata una linea di mezzo tra il profitto alle spalle dell'estraneo e quello dell'adozione che sfocia nell'ospitalità più aperta in favore dell'immigrato temporaneo.
A Canicattì non esiste il razzismo: nessun ostracismo nei confronti degli africani, nessuna diffidenza o disprezzo per il povero straniero; se si utilizza la mano d'opera forestiera e si cerca di stracciare sulle paghe giornaliere questa è solo tendenza con riflessi di carattere economico che non ha a che fare con il colore della pelle.
La donna straniera diventata moglie del canicattinese che ha lavorato all'estero, viene accolta in genere con simpatia dai familiari dell'uomo che l'ha sposata e dai vicini di casa ed anche se la differenza di abitudini risulta evidente specie in fatto di comportamento, le si perdona quasi tutto: è normale insomma che essendo straniera sia diversa della donna canicattinese.
Allo stesso modo - con particolare indulgenza - viene trattata la forestiera proveniente dalla grande città o da qualsiasi luogo del settentrione d'Italia.

I canicattinesi non si considerano né diffidenti né aggressivi ma non hanno remora a mostrarsi gelosi: una gelosia che non investe però il campo matrimoniale e sessuale bensì quello delle amicizie: se quello è amico mio non desidero che divida la sua amicizia con coloro che mi sono antipatici, insomma per il canicattinese le gelosia è un interesse malevolo verso coloro che lo circondano, la gelosìa è una nozione che basta a se stessa: "non voglio che gli altri si interessino a me, la gente calunnia".
Tutti si sentono minacciati dalla gelosìa e - inoltre - il successo comporta non l'ammirazione ma la gelosa considerazione degli altri.
Ma ecco ancora una contraddizione: il canicatlinese si trova a lottare con se stesso, da una parte egli è spinto a nascondere - sentendosi minacciato dalla gelosia dei suoi simili – e, dall'altra, è sollecitato ad ostentare e appunto per quel rancore, per quell'odio e per quella "lavata di faccia" che intende dare a colui che l'ha avuto soggetto in precedenza - a provocare la gelosia stessa. Il timore della gelosia porta a nascondere, la sfida e la recriminazione a ostentare a più non posso.
Esiste anche - ma ancora per poco - una certa spaccatura tra le vecchie e la nuova generazione nel modo di nascondere e di ostentare: i vecchi, gli anziani danno ancora peso all'antico onore, alla sostanza della onorabilità borghese ed hanno quasi vergogna ad "apparire"
La vergogna e ciò che fa arrossire, qualcosa che mette a disagio, che spinge a contenersi e che, perciò, aiuta anche uno zotico a comportarsi come persona educata.
Per la nuova generazione la vergogna non esiste e pertanto i giovani canicattinesi non essendo intimiditi nei confronti degli adulti, gli ignoranti nei confronti delle persone istruite, i dipendenti nei confronti dei superiori, si svelano per la maggior parte maleducati e presuntuosi.
La buona educazione non è più dì moda da quando ha avuto inizio il boom dell'uva Italia il cui risultato economico è venuto ad aggiungersi alla semi-ricchezza proveniente dai canicattinesi emigrati i quali ultimi hanno portato in patria un buon gruzzolo: il bisogno soddisfatto, le necessita superate hanno prima fatto alzare la testa a tutti e, poi, perdere il senso del rispetto e l'educato comportamento tenuto dai padri fino a diventare orgoglio e, mano a mano, superbia, altezzosità, prevaricazione Alla disponibilità economica si è inoltre affiancata la valenza politica che ha provocato la nascita di una classe giovane emergente, in possesso del potere che quasi sempre - soprattutto per l'improvvisa emergenza - si è rivelata priva dell'esperienza necessaria per esercitare questo in maniera positiva.
Senza dire che la crescita economica di alcune fascie ha spinto - e continua a spingere - al confronto e, perciò, a superare comunque i più fortunati. E per "comunque" si intende "senza alcuno scrupolo" ricorrendo alle bustarelle, all'intrallazzo, e se necessario al reato più grave a seconda che si occupi un posto di rilievo, che si abbia un semplice incarico o che - in ogni caso - se ne presenti l'occasione. E "senza scrupoli" appare l'atteggiamento delle classi emergenti in fatto di politica; il disinteresse per essa è quasi generale da parte dei canicattinesi; pochi, pochissimi partecipano alla vita comunale, alle beghe di partito e cercano la spiegazione dei contrasti che determinano le lotte politiche in campo provinciale, regionale, nazionale.
Ma quei pochi, pochissimi che ci sono dentro non hanno remore in fatto di partecipazione pubblica e - per la maggior parte - agiscono in funzione del loro personale tornaconto: nessuno - o quasi - si muove, si adopera, lotta nell'interesse della comunità cittadina.
Ciò a differenza dei primi decenni dell'unità nazionale e sino all'avvento del fascismo, del periodo fascista passato a Canicattì sotto un clima dì serenità e non fazioso, dei primi decenni dopo la caduta di questo regime della resuscitata democrazia: in tali periodi la gente di Cacatti portò avanti le proprie passioni, partecipò in massa alla vita politica e - rossi, bianchi, neri - espressero il loro amore e l'attaccamento più genuino alla propria città.
Oggi persiste un disinteresse quasi totale una abulica tendenza che conduce lontano dal "palazzo" dove pochi, pochissimi si adoperano - eccezionalmente - in senso civico quasi sempre impediti da altri pochi, pochissimi (ma più dei precedenti) che "giocano" in funzione personale.
In fatto di politica - e questa con gli immancabili riflessi che ha nella funzione dell'amministrazione cittadina - la confusione è totale: il problema è che ogni partito ed ogni associazione hanno una loro proposta: il che è nell'ordine normale; ma si dimostra più che problematico invece quando le proposte diventano tante quante sono le componenti stesse che formano i gruppi e per dirla con maggiore chiarezza i singoli che di ciascun gruppo, di ciascuna corrente politica portano sul tappeto personali ed interessate proposte: tutte alternative o in contraddizione, in nome dei cadenti feticci della polìtica provinciale, in funzione di schieramenti discutibili, sempre attenti alle loro personali e privatissime soluzioni.
E le voci - eccezionali - che sì alzano per diradare lo stato di confusione e richiamare l'attenzione sugli interessi della comunità tutta - si perdono nel vuoto.
Altro problema che sempre sotto l'aspetto politico rientra nel "negativo" canicattinese è dato dallo sfaldamento della demarcazione tra destra, centro e sinistra: non esiste più la posizione di contrasto tra maggioranza ed opposizione, non esiste il controllo e la spinta e tutti sgomitano per trovare il posto adatto ed esercitare il proprio prima o e la propria egemonia.
Ma il peggio consiste nel fatto che il cittadino non mostra alcun risentimento verso questo stato di cose e che addirittura non riserva per i responsabili neppure il mugugno: una freddezza che può spiegarsi solo con la definizione del temperamento comune alla grande maggioranza cittadina: abulia, inerzia, tiepidezza almeno per tutto ciò che lo circonda purché non lo investa direttamente.
Tiepido anche nella espressione religiosa: imbevuto di blanda cultura cattolica - per lo più ricevuta in eredità che conseguita personalmente - il canicattinese risolve il proprio problema spirituale con la partecipazione disattenta per scrupolo alle funzioni sacre; una vaga confessione all'anno, a volte un segno di croce.
Eccezionale il suo allontanamento dalla religione ufficiale, di stato: poche diecine di ribelli - ma più convinti di quelli che restano - che lasciano il prete e la parrocchia per militare in gruppi religiosi fuori della Chiesa romana.
"Rossa" per decenni, Canicattì è diventata sempre più "bianca": evidentemente il suo intimo rivoluzionario fatto dì falci e martelli coincideva con la miseria plebea, la virulenza proletaria, il profondo, sentimento egualitario che sprona i non abbienti tino a che raggiungono la soglia della borghesia.
In seguito - da quando cioè appunto il proletario si è trasformato in piccolo borghese e sono cadute le barriere tra le classi sociali; da quando l'ineguaglianza economica non è più motivo di lotta e i pìccolo contadino riesce ed emergere divenendo proprietario e coltivatore dei vigneti; da quando l'accesso alla proprietà si allarga sempre più e, in correlazione, si verifica una promozione di giornalieri che diventano semi-coltivatori in proprio, - il colore una volta intensamente rosso comincia a perdere la brillantezza primitiva e, sbiadendo mano a mano, assume il colore bianco-rosa attuale.

L'agricoltura che per secoli non aveva subito modifiche, si trasforma in maniera totale. I fertilizzanti, le macchine agricole, l'irrigazione, i nuovi strumenti e i metodi di conduzione moderni permettono l'intensificazione, l'estensione ed il miglioramento delle colture.
Il dissodamento allarga le superfici altamente produttive e terre in parte già improduttive diventano redditizie.
Con lo sviluppo agricolo si trasformano anche i commerci e l'artigianato.
L'artigianate un tempo profondamente immerso nella vita contadina, scompare o cambia rotta elevandosi.
Scomparsi da tempo i mugnai, i coltellìeri, ì fabbri scompaiono quindi i sarti, i calzolai, i falegnami, i barbieri seminomadi che si occupavano di matrimoni e funerali
Si sviluppano i commerci con l'apertura di grossi negozi di abbigliamento, dì calzature, di mobìli mentre i barbieri diventano parrucchieri alla moda, raffinati: delle vecchie abitudini di questi ultimi rimane solo il vezzo di continuare ad essere "i giornali parlanti" egli informatori della comunità.
E più ancora "giornali parlanti", ricchi di informazioni che sfociano spesso nel pettegolezzo sono i parrucchieri e le parrucchiere in ciò agevolati dalle signore-bene (o quasi) che frequentano i salottieri impianti degli uni e delle altre.
Insomma gli stessi processi che favoriscono lo sviluppo dell'agricoltura, servono per sviluppare altre forme dì attività: i commerci - in dettaglio e all'ingrosso - si moltiplicano, nascono artigiani specialisti in impianti elettrici, impianti di riscaldamento, riparazione dì radio-TV, tubisti, piastrellisti, eccetera.
Il marmista artigiano trasforma il proprio laboratorio in piccola industria, il fabbro diventa piccolo imprenditore-produttore di infissi metallici.
La metamorfosi consolida ed allarga un ceto "nuovo" che ha il potere di spezzare quello del precedente formato di "notabili" che asfissiavano il progredire di Canicattì; il nuovo ceto esercita la propria influenza sull'insieme del bracciantato - che attraverso la produzione dell'uva Italia ha conquistato un ruolo dignitoso ed economicamente più sostenuto - dei coltivatori indipendenti, degli artigiani più modesti, degli operai, dei piccoli imprenditori, dei piccoli impiegati
Il ceto nuovo si imborghesisce a sua volta diventando presto una coalizione che si insuperbisce nel ricordo della emancipazione raggiunta e si inorgoglisce per la volontà che dimostra per raggiungere la méta di promozione sociale che la spinge.
Infatti la metamorfosi non è soltanto sviluppo economico e democratizzazione formale ma anche promozione sociale: mentre i notabili si chiudono ne! guscio e scompaiono dalla scena canicattinese, la plebe si eleva una parte del vecchio proletariato agricolo - già militante nei partiti rossi - accede allo sfruttamento diretto del piccolo apprezzamento del quale è diventato proprietario attraverso leggi ed agevolazioni di vario genere, oppure passa ai mestieri operai più redditivi, o - ancora - si trasforma in piccolo commerciante, in mediatore, in dipendente di infima categoria ma pur sempre impiegato civile, lontano dalla zappa e dall'aratro.
I figli di costoro acquistano intanto il minimo richiesto di istruzione: la scuola elementare laica e obbligatoria, le scuole medie che offrono la possibilità a tutti di non rimanere analfabeti, diventano vivai per accedere ai mestieri urbani.
Alcuni - inoltre - più dotati e volenterosi - incitati dalle famiglie che vogliono emergere più delle altre - continuano gli studi e, superato con profìtto (o mille raccomandazioni) le scuole superiori raggiungono il diploma e la laurea che assicura loro l'ingresso in una delle associazioni pseudo-culturali, in uno dei tanti inflazionati club cittadini: almeno questo perché diploma o laurea che siano non assicurano invece - per la maggior parte - un posto di lavoro dignitoso, non aprono la "carriera" che tanti papà e mamme avevano "sognato" per i loro figli.
Ciò tuttavia significa una "elevazione" di costumi, di abitudini, una ricerca di miglioramento continuo che trova rispondenza nella elevazione che intanto e contemporaneamente hanno raggiunto gli emigrati che tornano a Canicatti dai paesi del settentrione dove hanno avuto modo di correggere l'arretratezza con la quale erano partiti e mettono in atto nuove abitudini, soddisfacimento di bisogni alimentari e di distrazione che prima del loro emigrare non avevano.
Le donne specialmente che hanno percepito assegni superiori a quelli che erano in precedenza i limitatissimi guadagni dei mariti, fanno la stessa scoperta degli uomini ed, anzi, li oltrepassano: le boutiques ed il mercato del mercoledi diventano il loro regno, la pelliccia, i gioielli la loro conquista, la sigaretta e la guida della macchina la conferma della loro emancipazione.
Sono superati per loro tutti quei riti che facevano parte integrante delta vita di ciascuna donna e che si snocciolavano come i grani di un rosario durante tutto l'arco della vita: la "naca" che pendeva di solito all'angolo di una stanza, le nenie, le ninne nanne, il lavare col sapone molle le fasce del bambino, le camicie del marito, il rammendare, il lavaggio dei pavimenti piegate sulle ginocchie, il mondare le verdure, l'andare a messa di primo mattino.
E le ragazze accompagnate dalle madri sempre vigili ed opprimenti.
Il fidanzamento ufficiale costituiva per queste il primo autentico passo verso la liberalizzazione agognata, il distacco da tutto ciò che costituiva il "carcere" della famiglia, la definizione dei suoi invalicabili confini: una "quasi" libertà che durava tuttavia pochissimo - sopravveniva infatti col matrimonio quel cumulo di doveri ai quali era obbligo sottostare e che avevano appunto inizio con la "naca" da far dondolare giorno e notte e via via tutte le altre attività prima accennate.
Ma il fidanzamento - ufficiale e pubblico - costituiva la parentesi più bella della vita di una fanciulla canicattinese (e non soltanto delle ragazze di questa città): una parentesi folkloristica la cui tradizione veniva osservata puntualmente e assunta come norma di diritto consuetudinario serenate, sguardi furtivi specie durante le processioni, dichiarazioni d'amore sussurrate, bigliettini nei quali sintassi e grammatica non andavano d'accordo con la compilazione delle brevi frasi d'affetto precedevano l'entrata di "lu zitu" in casa dell'amata.
Caratteristica era la cerimonia di presentazione dei rispettivi parenti: quelli del fidanzato e della "zita" si schieravano gli uni di fronte agli altri; quindi uno dei parenti - o il tizio che aveva intrattenuto i rapporti tra il fidanzato ed i parenti della ragazza - procedeva a presentare gli uni agli altri cerimoniosamente, quasi a dare sanzione ufficiale alla reciproca promessa tra le due famiglie.
Si passava pertanto alla esposizione del corredo e - donne escluse - si iniziava la discussione sulla dote: tu che mi dai, io che ti do.
Una famiglia - per quanto modesta - partiva con una base salda che consentiva alla nuova coppia una certa sicurezza e, comunque, una conquistata autonomia rispetto alle famiglie di provenienza dei due coniugi.
Fissata la data delle nozze si procedeva alla confezione dell'abito bianco, all'acquisto degli anelli, dell'oro per i reciproci doni tra i fidanzati : alcuni riti continuano a persistere ancora oggi; ancora oggi continua ad essere praticata la funzione in chiesa con addobbi, luci e fiori, il ricevimento ed il pranzo nuziale in una sala di ristorante: tutte manifestazioni che hanno il significato magico-giùridico di augurare in maniera collettiva prosperità e lunga vita alla coppia.
Pochissime le coppie che rinunciano a tali manifestazioni che con sussiego definiscono "esteriori": nessuna donna rifiuta l'abito bianco - anche se, oggi, considerato solo un indumento da cerimonia e non riflesso di purezza concreta come un tempo. Per ciò che riguarda il sesso infatti le giovani donne canicattinesi non credono di avere più gli obblighi di una volta e scavalcando spesso le regole di un'antica morale e dalla religione, cedono con disinvoltura le propria verginità: sono costumi che evolvono come se portati da un vento di liberazione da una schiavitù intollerabile e la famiglia - un giorno espressione patriarcale della società - lascia la propria stretta brutale sulle ragazze che acquistano con sempre più evidenza l'autodeterminazione per la vita in coppia il rapporto tra i due sessi - una volta inconcepibile - si fa via via sempre più cameratesco, la conversazione assume toni assai sciolti senza distinzioni per la presenza di donne nei gruppi maschili e viceversa, il pudore non ha più peso nella parlata che diventa schietta o addirittura triviale
La fraternizzazione fra i sessi si riscontra anche in politica: le battaglie elettorali, le distinzioni tra rossi e bianchi una volta portate alla esasperazione, non sono più che dei pallidi ricordi: è più naturale che si verifichi una lotta di potere che assume aspetti di carattere personale anche - e specialmente - in seno ai gruppi di uguale orientamento politico.
Canicattì che alcuni anni or sono era uno straordinario focolaio di cultura politica, si riduce giorno dopo giorno a piccolo cortile, luogo di beghe di donnicciole, nel quale i contendenti esprimono il loro limitatissimo valore se non proprio la loro inettitudine.
Si svuotano infatti i circoli - degli operai, dei negozianti, dei professionisti, degli agricoltori, eccetera - che a Canicattì svolgevano un ruolo dominante nella vita municipale e che - pur nella espressione di numerosissimi atteggiamenti negativi - contribuiscono a sviluppare la passione ideologica e politica degli individui.
Il circolo - e d'estate anche il bar all'aperto - era il locale dove gli uomini canicattinesi si ritrovavano nei momenti inoperosi della loro vita - e, salvo i parassiti della società "residenti" di fatto nei fumosi saloncinì - qui discutevano per affrontare con foga - ma spesso con intelligenza e buon senso - gli affari comuni della città, i suoi problemi e le ipotesi per risolverli. Anche se altrettanto spesso si straripava in discussioni di "alta" polìtica, di strategiche quanto inconsistenti soluzioni belliche, di interpretazioni tutte proprie del misticismo religioso, di utopiche proposte per raggiungere concreti obiettivi, nei circoli si nutriva la cultura della comunicazione e del confronto che alternativamente e simultaneamente "preparava" gli individui ad essere buoni amministratori, onesti gestori della cosa pubblica, quadrati, solidi e capaci rappresentanti della massa.
Oggi che i canicattinesi costituiscono sul piano comunale una società eterogenea, priva di una vera identità, nella quale prevalgono soltanto gli interessi privati a scapito di quelli della comunità, il principio di solidarietà coincide soltanto nel nucleo strettamente familiare che continua ad essere straordinariamente forte: non esiste il quartiere, la parrocchia, e meno che mai il comune, la città.
II "gruppo" tuttavia esplode in taluni momenti della vita e della morte: il matrimonio, il battesimo, il funerale sono cerimonie che aggregano le famiglie, le consorterie; di solito sono le espressioni rituali scolastiche che raccolgono i parenti e i conoscenti e per un giorno trasformano estranei in comunità.
Gente mal integrata nel sentimento di appartenenza comunale, trasforma le nozze e i funerali da cerimonie private in riunioni pubbliche assai rilevanti per numero di partecipanti un corteo funebre si trasforma in un vero e proprio pellegrinaggio al cimitero.
Per la "festa dei morti" la partecipazione è globale: un rapporto che dovrebbe essere mantenuto solo nell'ambito familiare diventa invece occasione d'incontro ed assume quell'aspetto di identificazione di comunità nel suo complesso. Il cimitero - in quel giorno - diventa un parco fiorito che appartiene a tutti e tutti ne curano la pulizia e l'ordine.
La festa dei morti è il riconoscersi per un giorno figli della stessa città, un incontro tra i vivi e i morti, un "incontro" tra i vivi: la festa che resiste ancora, l'unica che definisce l'identità canicattinese.
Poi tutto torna come prima e i canicattinesi perdono quella identità arcaica che li faceva cittadini di un centro cementato dagli interessi comuni.

Tratto da: "Canicattì ai raggi X" di Giuseppe Alaimo - Dicembre 1994


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