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Le feste del periodo natalizio

In un certo senso, il Natale a Canicattì inizia molto prima del 25 dicembre. Ci sono infatti molte feste legate a questa ricorrenza, che delineano un quadro di tradizioni peculiari della nostra città. A cominciare dalla vigilia dell’Immacolata concezione, il 7 Dicembre, quando nei quartieri di Canicattì, dopo il rintocco di campane del Vespro, è tradizione accendere dei falò - il fuoco ha un grande un valore simbolico, come fiamma della vita e metafora del concepimento - detti vamparotti. Un tempo la festa era consacrata alla prassi del digiuno. “Si rifacevano, comunque – afferma lo storico Diego Lodato – piccoli e grandi, pur rispettando le norme del digiuno, con i muffuletta,” pagnottelle di forma circolare impastate con semi di finocchio e farcite con sardine salate e olive nere o in altri modi, diffuse in altre zone della Sicilia, anche molto distanti dall’hinterland canicattinese, per esempio, a Caltagirone, a Mazara del Vallo, e nel catanese (dove sono detti muffuretti). Secondo la leggenda i pani devono il loro nome alla muffuretta, lo scappellotto, dato dalla madre al figlioletto che aveva fatto cadere per sbaglio nell’impasto del pane dei semi di finocchio. Dalla data del 7 dicembre in famiglia e tra gli amici, per tutto il periodo delle feste di fine e inizio d’anno, a Canicattì come in tante altre parti d’Italia si usa giocare a carte. Si tratta di giochi con le carte di tipo tradizionale, come zicchinetta, piattu o sett’ e‘mmiezzu, con la tombola tra i più diffusi giochi di società natalizi. Quello dell’Immacolata è a Canicattì anche il giorno in cui le famiglie si dedicano tradizionalmente alla cunzata del presepe.
Questa rappresentazione della Natività fu ideata da Francesco d’Assisi e realizzata nel 1223 in quel di Greccio; il presepe nell’Ottocento si sviluppò in Sicilia per opera dei gesuiti, diffondendosi anche in molti ambienti laici, e per merito dei celebri maestri plasticatori di Caltagirone, creatori di splendidi figurini di ceramica, e dei corallari trapanesi, grandi artigiani del corallo autori di preziosissimi presepi. Nella nostra provincia i pastura e gli altri personaggi del presepe erano realizzati con gesso o cartapesta, ed erano ambientati in paesaggi agresti addobbati con sparacogna (erba di campo dal caratteristico fogliame reticolare), asparago selvaggio, mandarini e ficodindia. Intorno a queste vere e proprie opere d’arte si usava chiamare a far la novena dei musici. Le famiglie più abbienti invitavano degli ospiti cui veniva offerto lu scacciu: fave secche infornate, ceci abbrustoliti, mandorle, noci e fichi secchi.
Dopo l’Immacolata altro appuntamento importantissimo di dicembre era, il 13, la festa di Santa Lucia, martire siracusana onorata in tutta la Sicilia. Per questa data la tradizione dei canicattinesi conosce anche degli usi e costumi particolari. In quel giorno un tempo si facevano dei piccoli doni ai bambini, si consumavano frutta secca, dolciumi e cedri, e soprattutto si mangiava la cuccìa, zuppa fredda a base di ceci e grano bollito, condita con olio d’oliva e zucchero o sale. Da cui il proverbio a Santa Lucia un cuecciu di Cuccia, che si riferisce al timido aumento delle ore di luce riscontrabile effettivamente dal 13 Dicembre in poi. Secondo una credenza popolare si possono trarre auspici dai giorni tra la festa di Santa Lucia al Natale: dal clima (sereno, pioggia, grandine, gelo, neve, caldo etc.) constatato in ciascuno di essi si arguiva il tempo che avrebbe caratterizzato il corrispondente mese dell’anno successivo.
Subito dopo è il momento del Natale vero e proprio. L’apparizione di questa festa nel calendario liturgico è piuttosto tardiva: nasce infatti nel IV secolo e fu fissato al 25 Dicembre, che era il giorno in cui si celebrava la festività - romana e pagana - del Sol Invictus (Sole vittorioso). D’altra parte, a Canicattì come altrove, oltre al presepe, ormai da decenni le famiglie usano preparare anche l’albero di Natale, antico simbolo pagano di origine celtica. Anche lo scambio dei doni è una innovazione recente in quanto alcuni decenni fa tale usanza era riservata al giorno della Commemorazione dei defunti - li Muerti – a quello di Santa Lucia o, più recentemente, all’Epifania.
Per quanto riguarda le tradizioni gastronomiche, va sottolineato come a Canicattì, per la cena di magro del 24, i re della tavola fossero cappone o tacchino. Un tempo le famiglie li allevavano con cura proprio per metterli a cuocere, per la cena della Vigilia, ripieno dei suoi stessi fegatini e con uova formaggio e mollica di pane. Nel loro brodo veniva invece cotta della pasta che completava il pasto. Finita la cena, si andava tutti in chiesa ad attendere lo scoccare della mezzanotte e la nascita di Gesù Bambino, che viene svelato scostando il lenzuolo che lo cela, mentre tutti mormorano “Quant’è bieddru!”. Adesso tra le pietanze di un tempo in uso nel periodo natalizio, resistono tenacemente i dolci e alcuni piatti tradizionali. Per il solenne pranzo natalizio vengono portati in tavola dei piatti tipici, come il falsomagro, principale pietanza di carne della cucina siciliana, che consiste in un rolló di vitello farcito con mortadella o prosciutto, uova sode e formaggio, che si prepara in giorni di festa particolarmente solenni, e le cui origini sono spagnole. Tra i dolci, i più curiosi per la loro mescolanza di sapori dolci e piccanti sono i cavatuna, sorta di biscotti fatti con farina, mosto ristretto e pepe, poi passati al forno e conditi sempre con mosto ristretto o miele. Un altro dolce particolarissimo sono li purciddrati, piccoli strudel a forma di rombo, farciti con frutta secca (fichi, mandorle e nocciole cotte nel vino), e le cosiddette paste genovesi: dischi di pastafrolla ripieni di marmellata di zucca. Altri dolci di derivazione araba sono la Cassata siciliana, la cubbàita (il torrone alle mandorle) mentre preparazioni tipicamente siciliane (e quindi patrimonio gastronomico degli canicattinesi) sono i cannoli e i ravioli ripieni di crema alla ricotta. Concluderà il pranzo di Natale la frutta; a questo punto non manca mai il prodotto che è l’orgoglio della nostra città, l’Uva Italia, presente per tutto il periodo delle feste.
Il ciclo delle feste natalizie si conclude a Canicattì in maniera solenne con l’Epifania (dal greco epifanèia, rivelazione) e con la sacra rappresentazione detta Li Tri Re, ossia i Re Magi, che, seguendo la stella cometa, affrontarono un lungo viaggio dalla Persia per rendere onore al Salvatore. La rappresentazione si svolge annualmente dal 1870, quando il maniscalco Luigi Antinoro fondò un comitato nella chiesa del Santo Spirito. Nella sacra rappresentazione di Canicattì i Magi rappresentano sé stessi, ma nel contempo anche tutti i popoli estranei alla tradizione giudaico-cristiana. La festa di li Tri Re è coerente rispetto all’insegnamento della Chiesa Cattolica, pur attribuendo ai Magi tre nazionalità diverse rispetto alla tradizionale originale mesopotamica. Qui sono infatti bizzarri personaggi, travestiti rispettivamente da persiano, indiano, e turco. È significativo come si tratti di nazionalità esotiche, che simboleggiano bene l’accoglienza di Gesù agli occhi dei gentili o pagani che dir si voglia, e quindi al loro mondo. La sacra rappresentazione ha inizio verso le 17 del 6 Gennaio. In sella ai loro cavalli Li Tri Re partono dalle chiese di San Francesco, Santa Lucia e San Domenico, anticipati da zampognari (ciaramiddrara) scudieri e soldati in foggia orientale, che convergono tutti in Piazza Roma. Scortati dalla folla partecipe al dramma che si svolge sotto i loro occhi, avanzano diretti alla grotta di Betlemme, dalla fittizia reggia di Erode ricostruita su un palco in Piazza IV Novembre, tornano in Piazza Roma, dove svetta la Stella Cometa che segnala la presenza del Presepe, allocato nel sagrato della Chiesa dello Spirito Santo. Li Tri Re si prostrano innanzi a Gesù Bambino, mostrano il contenuto dei loro scrigni offrendo oro, incenso e mirra. Nel ritorno, compare il personaggio dell’Angelo alato dalla spada sguainata che li mette a guardia da Erode, per poi recarsi da Giuseppe e riferire sulla strage degli innocenti. Segue la rievocazione drammatizzata della Fuga in Egitto, con Giuseppe e Maria sull’asino con il Bambinello in braccio, l’accompagnamento musicale delle zampogne e l’allegro suono delle campane.
          Domenico Turco
da: "Canicattì Cultura"


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