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Il fabbro e le formiche di Diego Guadagnino

Prefazione di Domenico Turco



Il fabbro e le formiche è storia, ma anche leggenda. La leggenda di un eroe così anomalo da sconfinare nel ruolo solo apparentemente contrapposto di antieroe. Un uomo figlio della stessa terra di Pirandello, al quale l’accomunavano l’indole malinconica, l’estro creativo e la visione disincantata della vita e del mondo, e che fece della sua esistenza un crogiolo di esperienze assolutamente incredibili ma vere. In effetti si stenta a credere che un personaggio così straordinario sia esistito realmente, e si sarebbe tentati di metterlo fortemente in dubbio, se Diego Guadagnino non avesse effettuato una scrupolosa ricerca basata su una fitta documentazione, piuttosto ardua da reperire dopo più di sessant’anni.

Domenico Cigna è un personaggio dalle mille sfaccettature, complesso e problematico. Tuttavia nel suo agire s’ispirò sempre ad una condotta esistenziale di grande limpidezza, che non va però confusa con la stupida coerenza delle piccole menti, derivante dall’obbedienza supina e cieca ad un pensiero pietrificato, arroccato su facili certezze.

Guadagnino fa un ritratto molto preciso di Domenico Cigna, oggetto di una biografia non romanzata, ma che del romanzo esibisce varie caratteristiche, quali fruibilità, ricostruzione d’ambiente, evocazione di fatti, storie e personaggi. Tali caratteristiche vanno ascritte al notevole talento narrativo dell’autore, bravo anche a ricreare lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, l’età aspra e difficile vissuta come protagonista da Cigna, nelle variegate vesti di: giornalista-polemista, politico, avvocato, grande giurista, poeta, scrittore e – perché no? – libero pensatore, di tendenza illuministica (sponda giacobina), ma con sorprendenti aperture “a destra” sul versante della spiritualità e del trascendente.

Nell’arco della sua vita Domenico Cigna collezionò una serie di sorprendenti avventure/disavventure biografiche che ne fanno un testimone d’eccezione della sua epoca turbolenta, contrassegnata da due guerre mondiali e da clamorosi rivolgimenti politici e sociali. Tuttavia Guadagnino si pone oltre la storia e le brusche rotture di senso che essa presenta, senza per questo mancare mai di rigore o di aderenza al corso degli eventi effettivamente accaduti.

Occorre a questo punto specificarlo: Il fabbro e le formiche non è una biografia di taglio storico in senso stretto, scientifico, entra semmai nell’alveo della letteratura, sia pure scavalcando i tradizionali modelli del racconto, del romanzo o del saggio. Aspetto, questo della fuga dai generi, che è una nota saliente del mondo di Diego Guadagnino, riscontrabile esemplarmente ne La via breve, a metà tra saggio e novellistica, tra riflessione e narrazione. Pure in questo caso, è molto problematico dare un’idea del libro, che già a partire dal titolo rivela una innegabile originalità.

Entrando nel merito, le dramatis personae del fabbro e delle formiche costituiscono le ipostatizzazioni di due filosofie contemporanee ma estremamente diverse: marxismo e darwinismo.

Il fabbro incarna il pensiero di Marx, in quanto messaggio messianico o demiurgico, che intende forgiare l’uomo nuovo, mentre le formiche alludono all’evoluzionismo di Darwin. Questa doppia fonte del programma esistenziale di Domenico Cigna si potrebbe sintetizzare con la formula evoluzione e rivoluzione. Sono due concetti di stupefacente importanza, che rendono conto delle ragioni profonde e delle scelte fondamentali di un’intera vita. Un altro pensatore contemporaneo, che influenzò molto Cigna, fu senz’altro Friedrich Nietzsche, al quale lo legava la stessa concezione pulsionale e vitalistica dell’esistenza, tendente a rivalutare il corpo e le sue esigenze rispetto allo spirito, esaltato in base agli ideali ascetici che deprivano l’uomo dei suoi slanci passionali. Domenico Cigna avrebbe di certo condiviso queste parole di “Così parlò Zarathustra” sugli spregiatori del corpo: “Agli spregiatori del corpo voglio dire la mia parola. Non debbono imparare e insegnare l'opposto di quello che hanno imparato e insegnato finora, bensì dire addio al proprio corpo - e quindi ammutolire.

Perfino nella vostra stoltezza e disprezzo, voi spregiatori del corpo, servite al vostro Se stesso. E io vi dico: il vostro Se stesso vuole morire e si distacca dalla vita.”

L’opera nella quale l’ispirazione nietzschiana è più evidente è il saggio giuridico-antropologico I reati di sesso nel matrimonio, nel quale Domenico Cigna critica l’istituzione matrimoniale e celebra il libero amore, sulla base di quei fermenti vitalistici ereditati dalla prospettiva nietzschiana ma da lui fatti propri. Da lui che, paradossalmente, nella vita privata adottò una condotta assolutamente borghese, lontana da quegli eccessi e da quelle forti passioni che riversò nell’agire politico.

Domenico Cigna tenne sempre fede agli ideali della sua giovinezza militante, appresi in seno alla famiglia, di rigida osservanza socialista. Ancor prima di diventare principe del foro e deputato nazionale, costantemente aperto alle istanze degli ultimi, si impegnò a fondo per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, nelle vesti di dinamico attivista politico-sindacale locale in quel di Canicattì (sua città d’origine) e di Agrigento, dove si trasferì per esercitare la professione di avvocato e proseguire le sue battaglie. La sua vita dimostra chiaramente e senza tema di possibili smentite una cosa: Cigna aveva veramente a cuore i problemi dei più deboli, per i quali si batteva con impegno e coraggio, al punto da finire diverse volte in carcere.

In seguito la passione civile di Domenico Cigna si riversò nell’attività professionale; infatti, pur facendo l’avvocato per vivere, privilegiò comunque la scelta di difendere cause che avessero una forte componente politica e legata all’atavica battaglia contro le ingiustizie. Avvocato di popolo e del popolo, Domenico Cigna diede prova del suo talento in ambito legale affrontando diversi casi difficili, dall’esito tutt’altro che scontato. Anche l’impegno antifascista di Domenico Cigna fu serio, rigoroso e costante, posto da lui stesso in connessione alla pionieristica lotta alla mafia, che comunque aveva intrapreso ben prima del ventennio mussoliniano, nella veste di parlamentare. Si ricorda un suo discorso alla Camera nel quale denunciava l’ingerenza mafiosa nelle istituzioni anche giudiziarie dell’isola, e che ebbe vasta eco nella stampa nazionale. Un episodio che ci rivela come la vita di Domenico Cigna si svolse tutta all’insegna del binomio legalità/giustizia, e nel costruire l’agile edificio della presente biografia Diego Guadagnino dà ampia testimonianza di tale fede laica, un “culto” piuttosto avveniristico per l’epoca.

Ma sarebbe tuttavia riduttivo celebrare l’attività politica e sociale di Domenico Cigna trascurandone la produzione poetico-letteraria, che fu qualitativamente molto valida e meritevole di essere maggiormente conosciuta ed apprezzata dal pubblico. In questo senso, Guadagnino preserva dall’oblio un patrimonio di scritti unici, che si segnalano per profondità, raffinatezza, introspezione psicologica e potenza espressiva. Le poesie di Domenico Cigna richiamano per stile e tematica William Blake, per l’esplosivo mix di sacro e profano, di spiritualità e tensione rivoluzionaria, elementi sui quali basa una scrittura vigorosa, visionaria, profonda, generosa e retorica ma nell’accezione etimologica di arte del dire, un dire alimentato da una cultura immensa e ben assimilata, che seppe coniugare ad una sensibilità letteraria fuori dal comune. Notevoli anche le opere in prosa, nelle quali si riscontra una spiccata originalità. Giustamente Guadagnino ha dato il giusto risalto alla parentela ideale tra Domenico Cigna e il suo illustre conterraneo Luigi Pirandello; dal confronto dei passi emerge un’incredibile e quasi sovrannaturale convergenza di stati d’animo, fermenti esistenziali e moduli linguistico-letterari che la dicono lunga sulla non riconosciuta grandezza di Domenico Cigna come uomo di lettere oltre che di legge e di militanza politica.

Va dato atto quindi ad un altro avvocato-letterato come Diego Guadagnino di aver riscoperto e salvato da un’indecente damnatio memoriae il collega Domenico Cigna, sottratto al limbo dei personaggi dimenticati e restituito al presente, come perenne esempio di una modalità autenticamente positiva di concepire la vita, in risposta all’appello di mete ed aspirazioni più alte rispetto all’interesse particolare, e dirette a conciliare il microcosmo del singolo uomo all’umanità come e in quanto macrocosmo, casa comune di tutti e per tutti.

Domenico Turco


solfano@virgilio.it

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