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I nuovi orizzonti di Domenico Turco

Diego Guadagnino


    Dopo Il Mondo Eterno, saggio sulla spiritualità e l’esoterismo nel nostro tempo, Domenico Turco si ripresenta nella sua veste di poeta con la silloge Oltre l’orizzonte. I temi sono quelli delle precedenti raccolte, incentrati sul superamento intuitivo e visionario del contingente, mentre le modalità espressive denotano un’attenzione metrica che privilegia l’endecasillabo personalizzato dalla naturalezza e dalla musicalità che il lettore ormai riconosce appartenenti alla voce di Domenico. Anche in questi versi l’io poetante appare proteso “oltre l’orizzonte” del frammento di realtà che si offre ai sensi formando l’ingannevole ordito della vita materiale che lo tiene prigioniero. E’ un viaggio dantesco nell’aldilà della coscienza ordinaria, dove la parola “orizzonte” non si esaurisce nella cognizione fisica che ne abbiamo, ma abbraccia estensioni spazio-temporali popolate di universi paralleli e “visioni provenienti/da vite precedenti”(Orizzonti infiniti).
    Sulla soglia dell’opera il Poeta pone la sua promessa di sapienza indirizzata ai lettori che la sfoglieranno: Vi rivelerò percorsi/ d’amore/ che conducono oltre/ l’orizzonte,/ vie prossime all’essenza/ della vita/ al senso delle cose/ inseguito dal cuore-/ raggio laser/ puntato per vedere meglio il sole!
    Quello che Turco, forte della sua intuizione poetica e della sua esperienza umana, promette di mostrarci è dunque “la via del cuore” di cui parlano i maestri spirituali, la via della vera conoscenza che scioglie dal vano logorio della mente. E’ una poesia sostenuta dall’aspirazione a percepire l’eterno nel tempo attraverso l’essere, a viverne la realtà opponendola a tutte le prove con cui, per oscura necessità, l’uomo deve misurarsi. Una poesia nutrita dagli umori di una cultura che discende dalla tradizione spirituale dell’Occidente, dall’orfismo a Platone, dal Vecchio al Nuovo Testamento, nonché da quegli autori moderni che Domenico ha dimostrato di prediligere nelle pagine de Il Mondo Eterno e che accanto a filosofi come Nietzsche o Heidegger include un maestro della tradizione esoterica come René Guénon. Letta nel suo giusto e originario contesto, la poesia di Oltre l’orizzonte si apre alla chiarezza con la forza seducente di una visione lucida e fascinosa nel contempo, come in questi versi che trascrivo dalla lirica d’apertura: Andare avanti è un’arte complicata/mentre infuria tempesta e le illusioni/cadono giù: foglie o frutti disfatti/ per troppe carezze di luce per troppe cure…/ fai la tua parte/ per illimpidire l’acqua del cuore,/ per sciogliere la sorgente di ghiaccio/sotto i raggi del sole/interiore splendore che non muore!- .
    Turco non adotta nessuna religione rivelata, eppure tutta la sua opera sembra convergere in quel precetto che il Vangelo di Matteo suggerisce in forma di domanda: Che giova all’uomo guadagnare il mondo se perde l’anima? L’ideale risposta del Poeta va individuata nella volontà e nella convinzione che si manifestano nell’arte di usare il mondo per guadagnarsi l’anima. Un’arte che lungi dal naufragare nell’immaginario vuole l’uomo collettivamente partecipe dei destini della storia e soggettivamente vigile nelle scelte del suo privato. La poesia Capitano, dedicata a Paolo Borsellino, unico esempio esplicito di poesia civile in tutta la silloge, vuole suggellare l’importanza di quell’impegno costantemente teorizzato da Domenico, che, superando ogni forma di solipsismo lirico, si pone come poeta-profeta, artefice visionario di più degne possibilità di vita. “Ormai” scrive il Domenico Turco filosofo “non occorre più insistere su una generica ed evasiva filosofia della vita, serve, semmai, una rivoluzionaria filosofia per la vita, che sottolinei la necessità di andare al di là dei fenomeni, per verificare il significato autentico dell’esperienza spirituale, che, se bene intesa, viene a manifestarsi come qualcosa di più grande e profondo rispetto alla semplice prospettiva profana.” (Il Mondo Eterno, pag. 26). Perforare la realtà fenomenica e liberarsi dalla sue strettoie: una siffatta filosofia, pragmatica e spirituale nel contempo, esigente e disinteressata al profitto dell’immediato, non può fare a meno di cercare la sua forza nell’utopia. Un concetto, quest’ultimo, che in Turco non deriva dalla categoria delineata da Ernst Bloch (il filosofo ebreo tedesco che di fronte alle catastrofi belliche del secolo scorso ha riaffermato il valore della speranza operante all’interno della storia attraverso il senso dell’utopia) ma che ne ha tuttavia la stessa funzione dinamica di stimolo alla ricerca di una dimensione confacente alla totalità dell’uomo. Bloch non rientra tra gli autori frequentati da Domenico. Le sue percorrenze culturali lo portano piuttosto al mito di Atlantide, che egli elegge a simbolo di un’utopia perenne. “Atlantide” chiarisce sempre il Turco filosofo ”è il continente della coscienza dimenticata, filo conduttore di tutte le aspirazioni dell’umanità che rappresentano anche risposte all’anelito al trascendente, esigenza inadempiuta di rinnovamento interiore. L’affermazione della valenza mitica e mitologica della stessa Atlantide non ne nega la possibile esistenza storica, né il fatto che continui a esistere a tutt’oggi, come progettualità e come idea che sprona all’azione, votata a crescere sempre più in avvenire, in quel luminoso crogiuolo del passato, del presente e del futuro, che è la sfera del tempo.”(Il Mondo Eterno, pag. 70). Il sentimento utopico pervade come anelito e come prospettiva quasi tutte le liriche di questa ennesima raccolta. Ne Le strade del dolore, poesia che cristallizza il suo sentire in concezione del mondo, afferma “celebro l’orizzonte con parole/intessute d’aurora, canto il Tempo/ebbro dei colori delle stagioni…”; e nello stesso tempo vede che: “Le strade del dolore sono accese/ da un fuoco di bellezza e distruzione,/ meraviglia maligna/ che affascina il cuore per poi straziarlo.” Come si può notare il suo mondo regge una sconcertante convivenza di dolore e di speranza. Egli non tralascia di versificare la sofferenza, ma neanche rinuncia a “testimoniare” la speranza di un esserci in cui tutto abbia senso e dignità all’insegna della gioia. Questa duplicazione ossimorica del sentimento tuttavia è solo apparente o comunque resta marginale frammento del “troppo umano” all’ombra dell’ immagine complessiva del mondo e di se stesso che Turco ci viene proponendo con le sue fatiche di pensatore e di poeta. La solidità di tale immagine risalta ne La mia storia che, per la significativa interazione tra l’uomo e l’opera su cui si fonda, assume valenza di manifesto poetico e filosofico, attraverso cui diventano visibili le novità, i mutamenti evolutivi che caratterizzano Oltre l’orizzonte rispetto alle precedenti opere poetiche. Il poeta Paul Celan, prima di darsi la morte annegando nelle acque della Senna, ha scritto una frase che contiene il segreto del tragico epilogo della sua vita: “Le prove fiaccano la verità”. Cioè: si muore quando la “verità” che ontologicamente ci sostiene non ha più la forza di giustificare il dolore a cui ci espone. Questa frase sembra descrivere all’inverso l’evolversi del tragitto umano e poetico di Turco, dove la sua “verità” ha sempre più nutrito di senso le sue prove. Osservando retrospettivamente la sua opera la si vede come un progressivo avvicinamento a una “verità”, che (spinozianamente) coincide col reale, un reale, però, che arricchisce e non rinnega il suo universo pur sempre illimitato e visionario. “Devi imparare ancora le parole/ da dire, le movenze/da modulare al ritmo della musica/ e apprendere l’oscuro/ codice di una differente scena.”(Forza). Sono parole, sono versi che il Poeta rivolge a un “tu”, che in queste pagine fa la sua comparsa per la prima volta, per esortarlo a crearsi un linguaggio in grado di dipingere nuovi scenari, esprimere nuove percezioni, concepire nuovi progetti. Per noi il segno che ancora un orizzonte è stato superato. Ora, dalla nuova posizione conquistata, la Sicilia per esempio, personale topografia del qui e ora, non è più la terra desolata che fa da sfondo a quell’ incommensurabile disagio esistenziale di ieri, ma

…Isola del Sole
che pullula di crisantemi e rose
d’oleandro in fiore tutta l’estate,
che odora d’arancia, di limone
e d’aspra polvere da sparo esplosa
contro teneri agnelli, massacrati
ai margini d’autostrade infuocate…


(La mia storia).


    Da questa percezione così tragica e carnale della sua terra il Poeta trae il vigore “per testimoniare/la bellezza del mondo/ che il mondo più non vede,/la speranza che nessuno più insegue.”

Diego Guadagnino

solfano@virgilio.it


















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