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PADRE GIOACCHINO LA LOMIA

di Pietro Drogo

“NACQUE RICCO,
VISSE POVERO,
MORI’ SANTO”


In questi tre verbi e tre aggettivi si compendia tutta la vita del Venerabile Cappuccino canicattinese che tutti considerano Santo e che presto, ci auguriamo, possa assurgere agli onori dell’altare.
Chi era Padre Gioacchino al secolo Gaetano La Lomia?
Perché fa tanto parlare di sé?
Cosa ha fatto per meritare la santità?
Ecco la risposta a questi interrogativi:
Gaetano La Lomia nacque in una famiglia nobile il 03 marzo 1831 da Nicolò e da Donna Eleonora.
Fu battezzato nella chiesa madre dal Reverendo Don Biagio Salamone. I suoi padrini furono don Emanuele La Lomia e donna Carolina La Lomia, figlia del barone Agostino. La mamma, ammalata, non potè allevarlo quindi fu necessario affidarlo ad una balia, comare Giuvannuzza, la quale lo curò amorevolmente.
In famiglia lo chiamavano Gaetanino. Ebbe un bravo maestro di cui non c’è dato conoscere il nome.
“Trascorse la sua infanzia amando Dio e il prossimo. La carità, virtù del cuore, scaturiva dal suo animo naturalmente inducendolo ad operare generosamente” così come scrive Pietro Candiano in “Padre Gioacchino La Lomia”.
Gaetanino, come scrivono i suoi biografi, sin dall’infanzia, si distinse per il suo amore che , un giorno, Lo spinse a distribuire ai poveri la carne che un suo vicino di casa, Calogero Lattuca, aveva messo a cuocere prima di uscire da casa. Più volte fu scoperto a trafugare qualche pane ai bottegai e sempre per aiutare gli indigenti.
Gaetano La Lomia, il futuro Padre Gioacchino, è ricordato dai suoi contemporanei come un vero Angelo Consolatore dei poveri; essi andavano a trovarlo a casa ed a tutti dispensava comprensione, amore ed un segno tangibile della sua generosità. Il venerabile Cappuccino nacque in una famiglia agiata dove non potevano mancargli distrazioni e divertimenti e non poteva avere preoccupazione alcuna per il suo avvenire; i beni materiali di questo mondo, però, non avevano importanza per Lui; nel suo cuore maturava qualche cosa di veramente importante. Era la vocazione. Dio lo chiamava, voleva servirsi di questo giovane per farne un Gigante della Fede, un Messaggero di pace ed amore.
Il padre Lo mandò a Palermo per farLo distrarre, ma tutto si rivelò inutile.
Nel 1851 il Cappuccino Padre Michele da San Cataldo, con altri confratelli, venne a Canicattì per una serie di conferenze; il giovane Gaetano, dopo aver ascoltato le loro prediche, passò tre giorni chiuso nella sua stanza a pregare e poi, dopo una profonda meditazione, disse alla madre:” quei Religiosi hanno abbandonato tutto, servono Dio e si conquistano il Cielo”. Seguì i Cappuccini e raggiunse, a piedi, Caccamo dove sostenne gli esami per poter essere ammesso nell’Ordine Francescano. A Girgenti compì il noviziato assumendo il nome di Fra Gioacchino Fedele e vestì il saio francescano. A testimonianza della sua immensa gioia ebbe a scrivere: “ora sono religioso.
D’ora in poi quindi devo pensare da religioso; vuol dire pensare alla grazia singolare che Iddio mi ha fatto, togliendomi da mezzo il mondo, per servirlo nella sua casa che è la Religione. Pensare a miei peccati, sempre, piangerli, per placare la Divina Giustizia. Fuggire il male ed operare il bene.
Non mai parlerò delle cose di questo mondo, ma sempre parlerò delle cose di Dio; per la gloria ad edificazione del prossimo, procurerò con tutto lo zelo la conversione dei peccatori. Farò sempre opere buone e studierò di essere uno specchio di virtù con le parole, con le opere e di essere di buon esempio a tutti.” Il giovane Gaetano sinceramente , dopo profonda riflessione, ha dato il suo definitivo ed irrevocabile addio al mondo rispondendo alla chiamata del Signore: “ ECCOMI!”.
Volle seguire il Poverello d’Assisi; nella povertà trovò la vera ricchezza e fece, così, la sua scelta con gioia, senza rimpianti, senza titubanze. Con questa decisione chiudeva per sempre le porte al mondo, alla sua vanità, ai divertimenti, alle ricchezze e alla vita comoda. Con quell’ “ECCOMI” pronunciato con fermezza e con gioia scompariva l’aristocratico Gaetano e nasceva il Cappuccino povero ed umile ma ricco di fede, di quella fede che spalanca le porte del Paradiso.
Canicattì, nel momento in cui perdeva il giovane aristocratico, guadagnava un valido Avvocato presso il Trono di Dio.
Dopo il noviziato fu mandato a Naro per iniziare gli studi, poi a Castronovo ed infine a Palermo dove ebbe la guida di padre Luigi da Termini Imprese.
Pietro Candiano ci presenta Fra Gioacchino come un chierico esemplare: “Modesto nonostante la nobile origine, era felice quando poteva compiere una buona azione, anche privandosi del necessario. E’ preparò l’animo alle grandi imprese, spinto dal suo amore ardente di carità. Aiutava il prossimo con tenerezza e sapeva porgere con una grazia ineguagliabile.”
Intanto maturavano i tempi per la tanto agognata ordinazione sacerdotale. Il 2 marzo 1855, nella Basilica della Magione, a Palermo, ricevette la tonsura ed i quattro ordini minori ed, infine, il 2 giugno dello stesso anno fu sacerdote, potè celebrare la sua prima messa tra l’emozione dei presenti, i quali rimasero colpiti dal suo entusiasmo, dal fervore e dalla sua indescrivibile felicità.
L’umiltà e lo spirito di sacrificio furono le doti che contrassegnarono la missione sacerdotale di padre Gioacchino. Egli uniformò la propria vita a tre “U“:
Ubbidienza, Ubbidienza, Ubbidienza.
Sacrifici, privazioni, penitenza, cilizi caratterizzarono la sua esistenza che fu un continuo calvario.
Di Lui scrive Pietro Candiano: “ Magro, scarno, pallido, martirizzò il suo corpo con lunghi digiuni ed aspri cilizi, mettendo a dura prova la precaria salute. Dormiva sulla nuda terra (per cuscino aveva una tegola) trascorrendo in preghiera le notti insonni. Dalla pratica costante della virtù scaturì un sentimento amoroso verso i bisognosi che ne regolò la vita integerrima; la vita di un Santo!”.
A questo punto per meglio poter mettere in risalto le virtù veramente eroiche del Venerabile Padre Gioacchino, reputo opportuno riportare quanto scrive il suo biografo, Padre Giuseppe M. Raimondi dei Frati Minori, il quale ci presenta un suo fedele ritratto:” Sul suo labbro doveva comparire quel sorriso gentile che fu poi sempre il segno caratteristico dell’ingenuo fraticello e che lo diceva lontano dalle tempeste della vita. Sulla sua fronte doveva lampeggiare la luce della serenità dell’animo, che doveva in appresso farlo vedere tutto e sempre assorto in una visione di bellezza infinita, visione che lo sollevava e lo avvolgeva in un sentimento di tenerezza indicibile”.
Nel 1861 fu destinato a Caltanissetta per completare gli studi filosofici e ricevette la pagella di predicatore. Si rivelò un grande oratore capace di trascinare le folle e di operare conversioni. Sapeva parlare al cuore degli ascoltatori. A piedi si spostava da un paese all’altro ed ovunque veniva accolto con gioia ed acclamato come un Santo.
A completare la sua missione sacerdotale mancava ancora la facoltà di confessare che gli venne conferita dal Vescovo di Caltanissetta Mons. Giovanni Guttadauro il 3 gennaio 1862. Tale facoltà Gli consentì di esercitare la funzione più importante del suo ardente apostolato e Lo rese un vero maestro di vita. Trascorreva intere giornate nel confessionale ad ascoltare, consigliare, consolare e convertire. Il suo sogno era la vita di missione, desiderava ardentemente di fare il missionario per portare la luce del Vangelo tra coloro i quali non avevano mai sentito parlare di Gesù. Il 27 giugno 1864 andò a Roma presso l’Istituto San Fedele ed infine in Corsica per prepararsi alla vita di missione. Ritornò a Roma per apprendere la lingua portoghese. Superate alcune difficoltà, il 13 gennaio 1868, dalla Sardegna, si imbarcò per il Brasile dove il Prefetto Apostolico e Commissario Generale per le missioni, Padre Gaetano da Messina, lo nominò cappellano militare della Guardia Armata dell’Esercito brasiliano mentre infuriava la guerra contro il Paraguay.
Pietro Candiano scrive: “nel suo incarico di cappellano militare rifulse la virtù del padre Gioacchino e la completa dedizione all’Onnipotente: medico, consigliere, ma principalmente sacerdote. Si faceva capo a Lui come ad un padre. Tutti nutrirono per Lui una profonda venerazione ed una affettuosa ammirazione.”
Era sempre presente dove più sanguinosa infuriava la battaglia e sempre pronto a confortare i feriti ed a benedire i morenti. Per la sua completa dedizione nell’espletamento della sua missione, conseguì la nomina a Maggiore, gli fu concessa la medaglia d’argento al valor militare e la medaglia generale della campagna del Paraguay con decreto n. 4560 del 6 agosto 1870 di cui trascrivo il testo: “ Compete all’ex cappellano Alfiere di Commissariato Missionario Cappuccino, fra Gioacchino da Palermo, l’uso della medaglia della campagna del Paraguay, nella forma del citato decreto, con la fascetta d’argento, portante la data di tempo in cui servì nell’esercito che operò contro il governo della repubblica del Paraguay. Dipartimento dell’Aiutante Generale, ammesso alla Segreteria di Stato per gli Affari di guerra, 16 agosto 1876. Barone di Gavia.”
In Brasile riuscì a salvare dalla fucilazione un ufficiale che si era reso responsabile d’un grave delitto. Questo fatto è la testimonianza della venerazione di cui godeva presso le massime autorità di quel paese. L’Imperatore Don Pedros II° d’Alcantara, durante il suo viaggio in Sicilia , venne a Canicattì e visitò la madre di Padre Gioacchino e Le parlò del figlio in modo abbastanza lusinghiero.
Il Brasile gli diede la possibilità di poter seguire e servire Gesù come lui ardentemente desiderava e amarlo nei poveri. Fu mandato a San Paolo per convertire i selvaggi. Si concretizzava così il sogno vagheggiato dall’Umile Cappuccino che si presentò loro cantando e suonando un tamburo per invitarli alla preghiera. Essi furono conquistati dall’atteggiamento fraterno di Padre Gioacchino , lo seguirono e ricevettero il suo abbraccio, la sua benedizione e furono evangelizzati. La vita di missione durò dodici anni; il 14 gennaio 1880 dovette interromperla perché le sue precarie condizioni di salute non gli consentivano di continuare quindi, accettando per ubbidienza l’invito del Prefetto Apostolico di Rio de Janeiro, si preparò, molto a malincuore, a fare ritorno in Italia. Quando s’imbarcò per lasciare il Brasile proruppe in lacrime per il dolore di dover abbandonare gli Indii i quali Lo veneravano come un Santo ed erano accorsi a salutarLo dal molo. Mentre la nave si inoltrava nell’Oceano infinito, Egli rivedeva, con gli occhi del suo immenso amore per il prossimo, i suoi selvaggi che aveva evangelizzato, le loro povere capanne e pianse per il dolore di doversene allontanare.
Giunto a Roma il primo giorno di aprile del 1880, fu ospite del convento dei Quattro Martiri e apprese dal nipote Nicolò La Lomia la dolorosa notizia della morte della madre avvenuta il 15 marzo 1879. Dopo pochi giorni fece ritorno a Canicattì. Alla stazione ferroviaria che allora era a Bivio, vicino la chiesa della Madonna dell’Aiuto, fu salutato da un’enorme folla che Lo considerava santo. Andò ad alloggiare nella casa natale dove, ogni giorno, riceveva un gran numero di fedeli; tutti gli chiedevano la benedizione e preghiere per ottenere grazie .Predicò nella chiesa di San Diego e le sue parole lasciarono un segno indelebile nel cuore di molti fedeli. Evitava di uscire perché molte persone lo seguivano e fu, perciò, accusato di perturbare l’ordine pubblico. Fu necessario l’intervento dei carabinieri per evitare disordini allorché Padre Gioacchino partì per Messina. I fedeli canicattinesi e dei paesi vicini si erano opposti alla sua partenza. A Sortino svolse le funzioni di maestro e di esaminatore dei novizi delle tre province cappuccine della Sicilia.
Padre Gioacchino non si limitò a predicare il Vangelo, ma lo visse e ciò possiamo rilevarlo da un suo scritto: “ devo fuggire le conversazioni dei mondani, devo essere il loro Angelo tutelare; togliere le discordie, le inimicizie, apportare pace alle famiglie.”
Il suo biografo, Padre Vincenzo Sena, raccontava che Padre Gioacchino andava nelle case in cui regnava l’odio, si frapponeva fra coloro i quali litigavano anche con le armi in pugno e la sua presenza carismatica riusciva a disarmarli ed a far tornare la pace e l’amore dove aveva regnato l’odio.
Monsignor Domenico Turano, vescovo di Girgenti, che lo aveva in grande considerazione, il 14 aprile 1881 consigliò Padre Giacomo Cusmano, gravemente ammalato, di rivolgersi a padre Gioacchino per la guarigione, con la lettera che qui di seguito trascrivo: “ c’è un buon frate semplice e pieno di doni in Canicattì; ora gli scriverò per pregare per te, perché tu ami meglio andartene in paradiso, ma per noi e pe’ i poverelli di Gesù Cristo….”
Dopo alcuni giorni, è sempre Mons.Turano che scrive: “ il buon frate cappuccino semplice prega per te; egli ha il dono dei miracoli, e ne farà qualcuno per te che vuol dire per tutti noi.” Le preghiere dell’Umile Cappuccino furono esaudite e padre Cusmano guarì.
Padre Gioacchino ed il suo confratello Padre Fontana si adoperavano per fondare un convento nella nostra città, sul poggio dove, nel 1851, i Cappuccini avevano innalzato una Croce in occasione di una missione, nello stesso luogo in cui sorgeva una chiesetta nella quale, come scrive Padre Agostino Gioia in “ Canicattì città dell’Immacolata” si venerava Maria Santissima della neve e dedicata alla Madonna della Rocca.
Il Vescovo di Girgenti, Mons. Turano, fu favorevole alla fondazione del convento e il 27 dicembre 1880 concesse ai Cappuccini, in perpetuo, la chiesa della Madonna della Rocca. Tale concessione fu approvata dalla Santa Sede con decreto del 27 giugno 1884. Iniziati i lavori e costruite quattro celle Padre Fontana si recò a Sortino per invitare Padre Gioacchino a presenziare all’inaugurazione del convento che ebbe luogo nel 1882. Padre Gioacchino, intanto, dalla provincia monastica di Siracusa , si trasferì a quella di Palermo e con padre Fontana andò ad abitarvi. I locali erano umidi e privi di cucina; per alcuni mesi il vitto veniva preparato dalla madre di Padre Fontana. Per ampliare il convento si dovettero superare molte difficoltà e, con l’ammissione dei frati laici, si rese necessaria la costruzione della cucina e del refettorio.
Nel 1887 Padre Gioacchino fu nominato fabbriciere della Provincia per la sua operosità. Intanto il suo amore verso il prossimo, la sua dedizione completa a Dio e la sua fama di santità richiamavano l’attenzione di tanta gente che da molti paesi della Sicilia veniva a Canicattì per incontrarlo e per implorare grazie. La sua parola confortava, leniva i dolori, risvegliava la fede in Dio.
Raggiungeva ,a piedi, i paesi in cui andava a predicare; ovunque veniva accolto come Santo e compiva prodigi. Quando le chiese non riuscivano a contenere la folla, predicava all’aperto. Nelle annate di siccità, ai contadini che lo supplicavano di pregare per la pioggia, rispondeva che a Dio si doveva chiedere il pane e non la pioggia e malgrado la siccità, il raccolto era abbondante. Un giorno mentre tornava, a piedi, da Roccapalumba dove era stato a predicare, si fermò una carrozza ed il viaggiatore che lo aveva riconosciuto lo invitò a salire. Padre Gioacchino rifiutò umilmente l’invito: “ la regola non mi consente di viaggiare comodamente, San Francesco andava sempre a piedi; che direbbe la gente se mi vedesse viaggiare in vettura come un gran signore?”
Nel momento in cui rifiuta l’invito del gentiluomo , Padre Gioacchino tocca l’apice della fedeltà alla Regola del Santo poverello di Assisi.
Il viaggiatore, dottor Carlo Candiano, gli offrì venticinque lire per i poveri; Padre Gioacchino le accettò, tornò a Roccapalumba, radunò un gruppo di poveri e gliele distribuì. Alle anime buone Dio concede tutto.
Molte persone si rivolgevano a padre Gioacchino per chiedergli di intercedere presso l’Onnipotente in loro favore. Molti prodigi e miracoli Padre Gioacchino compì durante la sua vita.
Un giorno gli portarono, su un carro, il terziario fra Salvatore da Racalmuto perché lo guarisse. Padre Gioacchino, nel vedere tanta gente che lo supplicava, disse: “Inginocchiamoci e recitiamo un Pater Noster e il Serafico Padre farà la grazia”. Mentre si pregava, il paralitico saltò giù dal carro perfettamente guarito e la folla, esultante, lodò San Francesco.
Una donna, con tanta fede, supplicò Padre Gioacchino per la guarigione del figlio affetto da pazzia. Il Venerabile cappuccino si avvicinò al malato e lo guarì. Un certo Alfonso Messana lo chiamò al capezzale della propria figlia moribonda: Il Santo Cappuccino pregò Dio Misericordioso e la ragazza guarì. Il padre, riconoscente, regalò al convento una mula che fu usata per trasportare il materiale necessario per il suo ampliamento. Un giorno mentre predicava a Palma di Montechiaro, un gruppo di marinai lo pregarono di benedire le loro barche perché, da molto tempo, la pesca era scarsa. Dopo la benedizione, i marinai pescarono molti pesci. Un povero fotografo, sordomuto, proveniente da Castelvetrano, non riusciva a trovare lavoro. Padre Gioacchino gli disse: “fa la fotografia a quest’orso; il pane non ti mancherà”.(L’orso era Padre Gioacchino).
Fu la fortuna di quel povero fotografo. Le fotografie di Padre Gioacchino furono richieste da migliaia di fedeli. Un giorno una pattuglia di carabinieri a cavallo incontrò Padre Gioacchino che, a piedi, si recava a Butera. La loro meraviglia fu grande quando, al galoppo, giunsero a Butera e lo trovarono che predicava in piazza.
Mi piace riportare quanto scrive il suo biografo, Padre Antonio da Stigliano: “mentre il Servo di Dio tornava a piedi da una missione, fu avvicinato da due suoi compaesani: Calogero Pirrara e Diego Agrò i quali si offersero di pagare il biglietto del treno da Grotte a Canicattì. Egli ringraziò e preferì continuare il viaggio a piedi. I due però per devozione, preferirono fare con lui la strada a piedi. Ad un certo punto il padre Gioacchino invitò i due compagni di viaggio ad avviarsi per una scorciatoia piena di ciottoli. Quando furono alla contrada S. Giovanni, il Servo di Dio si fermò e, presi sotto braccio i due, disse: “ volete vedere, figlioli, come ci stringe forte l’amore di Dio?”. Strettili fortemente a sé, in men che si dica, si trovarono prodigiosamente presso la chiesa dei Frati Minori di Canicattì.
Il Venerabile Cappuccino sapeva anche leggere nel futuro e tale è stato il caso di Vincenzo Munna, un bimbo di due anni affetto da una grave malattia. Lo prese in braccio, lo guarì e, consegnandolo alla madre disse: “ curalo bene questo tuo piccolo. Un giorno sarà un santo sacerdote”. La profezia si avverò infatti il bimbo da lui guarito divenne sacerdote salesiano e nel 1938 morì, martire in India. Padre Gioacchino si prodigava nell’amore verso il prossimo e nell’aiutare i bisognosi poiché, in ciascuno di essi, vedeva Gesù. Un giorno, incurante della pioggia torrenziale, andò a bussare alla porta della baronessa Lombardo per aiutare alcune orfanelle. Per amore di Gesù digiunava tutti i sabati e, per fioretto, non mangiava la frutta. Componeva versi per lodare il Signore e la sua Santissima Madre.

“ Per tuo amore ogni cosa lasciai, mi donai al benigno tuo cuor”
In questi versi si legge tutta la sua vita, la rinunzia agli onori ed alle ricchezze e la sua vocazione di donarsi totalmente a Dio.
Grande era la sua devozione verso la Madonna; spesso diceva: “ Siate devoti di Maria, perché i devoti di Lei non vanno all’inferno”.

“ Ti amo sempre in tutte l’ore, Ti amo ognora,ogni momento, Ti amo Madre del Signore Del tuo amor bruciar mi sento”.

Con questi versi si rivolgeva alla Vergine Santissima e Le presentava il suo infinito amore.
Le continue penitenze, la sua dedizione completa alla missione sacerdotale, fiaccarono la forte fibra di Padre Gioacchino. La sua ultima missione fu quella di Comitini che ebbe inizio il giorno 6 aprile 1903. Al ritorno da questa missione fu costretto ad osservare un regime di assoluto riposo a causa di gravi disturbi cardiaci. Il venerdì Santo del 1905, per l’ultima volta, predicò al Calvario durante la funzione della crocifissione di Gesù. In quella occasione disse al Padre Visitatore: “ Mio padre, questa predica che ho fatto è l’ultima; la fine si avvicina”.
Nei primi giorni del mese di luglio dello stesso anno, il Dottor La Vecchia constatò che le condizioni di salute di Padre Gioacchino erano gravissime ragion per cui la sua fine era imminente.
Il Santo Cappuccino, per nulla preoccupato, disse:” Per ora non muoio; per morire dev’essere qui presente il Padre Ignazio da Polizzi.
Sabato poi attendo il mio confessore che non si trova in paese.
Padre Gioacchino ebbe ragione, ogni cosa si avverò come lui aveva detto.
Alla notizia della imminente fine, la gente accorse nella speranza di poterlo vedere e di poter ricevere, per l’ultima volta, la sua Santa Benedizione.
Il 28 luglio si fece portare davanti alla finestra della sua cella per impartire la benedizione ai numerosi fedeli che assiepavano la piazzetta antistante il convento e le vie adiacenti. Il 30 luglio, alle ore 20, all’età di 74 anni, lasciò per sempre la terra per ricongiungersi con il Creatore.
Alla notizia della sua morte, da Palermo, da Caltanissetta, da Girgenti moltissimi fedeli vennero a Canicattì per rendere l’ultimo omaggio al santo cappuccino e per implorare grazie. Per il mantenimento dell’ordine pubblico, si rese necessario chiedere l’intervento del 68° reggimento di fanteria oltre ai carabinieri ed alle guardie di città.
La sera del 31 luglio il Dottor Sciacca procedette all’imbalsamazione del corpo di Padre Gioacchino. Il primo agosto, il suo corpo fu portato , a spalle al cimitero. Il corteo al quale partecipò una folla immensa, durò tre ore. Nella piazza principale, il sacerdote Giuseppe Pagano e l’avvocato Marco Testasecca pronunziarono l’elogio funebre. Durante il corteo funebre, una donna affidò a Padre Gioacchino la propria figlia paralitica che fu completamente guarita. Molte sono le guarigioni miracolose attribuite alla intercessione del Venerabile Cappuccino.
Dopo sette anni di attesa, Egli ritornò nella chiesa della Madonna della Rocca. Era il 21 aprile 1912, un corteo di oltre quarantamila persone esultanti partecipò alla traslazione della salma e, da allora, la chiesa dei Cappuccini è meta continua di pellegrinaggi. Il venticinquesimo anniversario della sua morte, un apposito comitato presieduto dal Vescovo Mons. Lagumina volle degnamente ricordare il grande Figlio di Canicattì, il Missionario ed il benefattore Padre Gioacchino. In tale occasione, il podestà Antonio Curcio invitò i canicattinesi esortandoli a celebrare degnamente la ricorrenza al fine di onorare il Santo cappuccino che “ dedicò tutta la sua vita alla diffusione della Fede, riuscì sempre col suo santo zelo, con la parola affascinante, con l’esempio, con l’austerità, con la virtù spinta ai gradi eccelsi a travolgere, avvincere, conquistare moltitudini di anime. Canicattì che tanto lo amò in vita esalta oggi il Figlio Eletto del Signore per le grandi dote mai smentite di intemerate virtù, degne di essere venerate”.
In un opuscolo edito da un apposito comitato per le onoranze del 25° anniversario si legge: “Canicattì non vuole essere immemore né ingrata e appunto per questo si appresta a rievocare solennemente, nel 25° anniversario della sua dolorosa scomparsa, la bella e luminosa figura del suo inclito Figlio Padre Gioacchino La Lomia….Fin dalla sua prima giovinezza Egli rinunziò volentieri per Cristo a tutti gli agi e comodi della vita, a tutte le dolcezze intime della famiglia e della patria. E Cristo che aveva conquiso e affascinato il suo cuore, Egli volle seguire nella povertà e nella penitenza , nella preghiera e nel sacrificio”. Nel 1955, il cinquantesimo anniversario della sua morte fu ricordato con la celebrazione di una Santa Messa solenne officiata dal provinciale dei Cappuccini padre Saverio da Aliminusa e con l’inaugurazione del magnifico monumento in piazza IV novembre, opera dell’artista Rosone da Palermo avvenuta il 5 agosto 1955 e benedetto da Mons. Angelo Ficarra, vescovo di Patti. I discorsi commemorativi furono pronunziati dall’arciprete Mons. Vincenzo Restivo, dal sindaco avvocato Giuseppe Signorino e dal senatore Salvatore Sammartino.
Canicattì ricorda sempre il suo grande Figlio, Padre Gioacchino e fa voti perché possa essere proclamato Santo.
A completamento di questo modestissimo lavoro di ricerca, scandagliando nella vita dell’Umile Cappuccino canicattinese, non posso non prendere atto di una grande realtà: dopo centouno anni dalla sua morte, Egli vive ed opera in mezzo a noi , con i suoi fedeli che Lo invocano e Gli chiedono di intercedere presso Gesù in loro favore.
Il suo corpo riposa nel santuario della Madonna della Rocca ma i suoi prodigi ed i suoi miracoli Lo fanno vivere sempre con noi.

PADRE GIOACCHINO

Il tempo copre sempre inesorabilmente il ricordo degli Uomini che non sono più sulla terra e le loro azioni. Ciò, però, non avviene per quegli Uomini che hanno lasciato sulla terra, una più vasta orma.
E’ il caso del Venerabile Padre Gioacchino La Lomia; a distanza di centouno anni dal Suo ricongiungimento con il Creatore è presente tra noi, è più vivo di prima; i suoi prodigi, i numerosi miracoli a Lui attribuiti, sono la testimonianza della Sua santità.
Noi tutti ( ci auguriamo ) attendiamo che essa venga ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa e che presto possa assurgere agli onori dell’Altare.

Febbraio 2006

PIETRO DROGO


BIBLIOGRAFIA

- Scritti del Postulatore per la causa di beatificazione di Padre Gioacchino La Lomia del Padre Domenico da Partinico;
- Sicilia Serafica 1906;
- G.Alaimo: “La Torre” (periodico canicattinese);
- Antonio La Vecchia e Diego Lodato: “La città di Canicattì”;
- Padre Agostino Gioia: “Memorie storiche di Canicattì”;
- Pietro Candiano: “Padre Gioacchino La Lomia”;
- Padre Antonio da Stigliano: “Nobiltà eroica”;
- Giacinto Gangitano: “La Terra di Canicattì”;
- Vincenzo Ferrigno: “ Uomo di Dio”;
- Padre Vincenzo Sena biografo di Padre Gioacchino.

Le immagini sono di Mario Barberis


solfano@virgilio.it

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