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SAN PANCRAZIO

LA PATRIA: ANTIOCHIA


Balcone d'Oriente, aperto sul vasto Mediterraneo, solcato da navi militari e onerarie di Fenici e Greci, di Romani e Cartaginesi, Antiochia di Siria era cerniera di congiungimento tra il mondo orientale e quello occidentale.
Crogiolo di popoli alla ricerca di conquiste e di commerci, la città rifulgeva per arte e cultura della civiltà mesopotamica, egizia, greca e romana. Era pertanto città cosmopolita, popolata da trecentomila liberi e duecentomila schiavi: dopo Roma e Alessandria di Egitto era la più grande dell'epoca.
Adagiata sul crinale dei monti e sulle sponde del fiume Oronte era saldamente difesa da poderose mura, costellate da quattrocento torri militari. Un immenso corso lastricato di lucente granito e adornato da templi e sta­tue, l'attraversava per sette chilometri: il principe degli architetti, Cereo, ne aveva fatto la rivale di bellezza di Atene, Alessandria e Roma.
Fu fondata nel 323 da Seleuco I Nicanore che la dedicò al grande padre Antioco I, chiamandola appunto Antiochia.
La città, capitale del regno siriaco, prospero per lunghi anni, finchè Pompeo non la soggiogò a Roma e la rese provincia dell'impero.
II cristianesimo nascente vi fece le sue prime conquiste e proprio in Antiochia, per numero e fervore i credenti ricevettero il nome di "Cristiani". Qui gli apostoli Pietro e Paolo affrontarono il grave problema di iniziare i pagani alla fede senza l'imposizione delle legalità ebraiche.
Da qui Paolo intraprese i suoi viaggi apostolici per il mondo greco-romano.
Qui Pietro fissò la sua prima sede di Vicario di Cristo e vi si fermò per sette anni, prima di trasmigare a Roma.
Qui accolse alla fede Pancrazio, lo formò e lo consacrò Vescovo, primizia privilegiata che onora la Sicilia, Taormina e Canicattì che lo ha per Patrono.

SAN PANCRAZIO


Sulla scorta di documenti molto antichi, quali i Menei e i Menologi dei Greci, recepiti dagli storiografi del Medioevo e del tardo Rinascimento, sappiamo che Pancrazio è nato ad Antiochia di Siria nei primordi del 1° secolo, da nobile famiglia pagana.
II padre mosso dalla fama di Gesù, andò con il figlioletto fino a Gerusalemme, ove ebbero la felice sorte di conoscere e ascoltare il Maestro e ricevere il battesimo dalle mani di Pietro.
Il fanciullo fatto più maturo, ad imitazione di Giovanni Battista, si ritira in solitudine di preghiera e di penitenza nel Ponto.
Nuovo alla fede, si portava dentro l'ombra degli idoli e la tentazione del costume pagano, e pertanto ritenne necessario e doveroso che al dono gratuito della grazia si aggiungesse il contributo personale di purificazione e di penitenza, ritirandosi nel deserto.
Bisognava svestire l'uomo vecchio e versare il "vino nuovo in otri nuovi" per diventare "nuova creatura" in Cristo.
Le fonti annotano che alla scuola di Pietro e con la diligenza personale progredì nell'apprendimento e nella santità di vita, al punto da meritarsi ammirazione e venerazione dalla Comunità. Fu allora che Pietro l'associò al suo apostolato e lo preparò alla responsabilità dell'Episcopato. L'anno 40 lo consacrò Vescovo. Pietro mirava lontano.
II seme cristiano era esploso anche fuori dalla Palestina e il Maestro aveva ordinato di predicare il Vangelo in tutto il mondo. La Sicilia era il nuovo mondo di Pancrazio e a quello Pietro lo inviò.
Abramo aveva lasciato terra e famiglia verso l'ignoto: l'apostolo era atteso dalla terra del sole e delle messi, la ove idolatria e perversioni morali attendevano la luce della verità e la purezza dei costumi. E disse sì. Non aveva detto Pietro: "Sulla tua parola getterò le reti in mare"?
E furono centocinquantatre grossi pesci.
Pancrazio parte per un viaggio senza ritorno... Solo? Sullo stile del Maestro che mandava a due a due, piuttosto spicci: "non portate nè bastone nè bisaccia" qualche buon compagno l'avrà avuto e spiccio del tutto no. Stando alla tradizione, S. Pietro lo fornì di qualche sussidio oltre alla sana dottrina e alla profonda formazione spirituale e apostolica. Si dice che abbia raccomandato di portare con sè un bel dipinto del volto del Signore, perchè le genti lo conoscessero e ne trassero amore e affezione; con esso anche l'icona della S. Vergine. Cosi recita la novena a S. Pancrazio: "Siccome per mano degli Angioli fosti arricchito dell'immagine non manufatta dalla Vergine, portata dal cielo, la quale dopo la tua morte lasciasti a questa nostra città per unica e principale protettrice..." Esistono, infatti, ancora in Taormina il tempio e 1'immagine di S. Maria dei Greci: quella originale? Ma la devozione sì, da allora.
II viaggio fu lungo e fortunoso su un mare che sorprende e minaccia con le sue bizze: ancor oggi restituisce relitti di navi e reperti archeologici. Gli approdi in terra-ferma erano necessari e programmati, sia per gli approvvigionamenti sia per lo scambio delle merci.
L'apostolo era uno dei tanti naviganti, tra una ciurma schiamazzante, tra canti e giochi osceni, che ritmavano la fatica dei remi e alleggerivano il tedio della traversata. Confuso e indistinto tra gli altri, si raccoglieva in preghiera e sommessamente intonava il Salmo: "Cantate al Signore un canto nuovo..." e dava una mano al rematore stanco e una parola allo sconfortato schiavo.
Qualcuno fece senso a quell'ospite diverse: precisamente due nocchieri, Romillo e Licaonide entrarono in confidenza, appresero della sua missione... Si convertirono alla sua fede e chiesero il battesimo.
II legno che li portava era segnato dall'effige di Castore e Polluce; ora veniva insignito di due neofiti che allo sbarco sarebbero stati apostoli di approccio e di collaborazione tra gente sconosciuta per lingua, costumi e fede.
Comincia la pesca miracolosa.

SAN PANCRAZIO A CANICATTÌ PERCHÈ, QUANDO, COME?


II culto di San Pancrazio in Canicattì trova una versione verosimile e lungamente tramandata: intorno al 1500 una colonia di immigrati taorminesi, in cerca di lavoro, s'è trasferita nel nostro fertile territorio, portando con sè la devozione e un quadro del Santo: da qui il titolo della prima parrocchia, presso l'antico castello Bonanno, passato poi alla nostra Matrice. Da allora il Santo titolare è assunto anche come Patrono della città.
Le festività celebrative impegnano il giorno 3 aprile come giorno del Martirio e il 9 luglio come sua venuta in Sicilia.
II benemerito Arciprete Luigi La Lomia (1866-1918) in data 6 dicembre 1867 - tramite l'intessamento del Vescovo titolare di Agrigento, Mons. Gaetano Blandini, ottiene dalla Congregazione romana il nulla osta per l'Ufficio proprio dei Martiri e l'analoga Messa.
II medesimo Arciprete ha tracciato una documentata biografia del Santo.
Canicattì lo celebrava con solenne festa esterna e relativa fiera stagionale di animali e vari attrezzi il 9 luglio. La festa liturgica, oggi, cade il primo giorno libero dopo Pasqua, dato che il 3 aprile è impedita dalla Quaresima.
Nella chiesa Madre di Canicattì si venera un artistico simulacro ligneo della famiglia Obletter dell'anno 1932 nonchè un'altra di S. Pietro: pare che le due devozioni siano andate insieme, anche a Taormina, e si comprende il perché: erano stati come Padre e Figlio Spirituali.
Nell'evolversi dei tempi e nelle mutate condizioni culturali, la festa esterna è caduta in disuso, anche se oggi si ha pieno impegno di ripristinarla nei modi più conve­nienti.
Si aggiunga una nota folcloristica: nella notte di Natale, e in onore del Santo, veniva acceso dinanzi alla chiesa Madre di Canicattì un ceppo: si ricerca il perchè.
Lo vedrei come la luce di fede portata dal Santo in Sicilia, e come irradiazione del nostro natale nella fede.
Si è voluto deliberatamente omettere le fonti di informazione storica o tali ritenute, per dare una lettura agevole, e spero più gradita, senza con ciò voler compromettere la fedele trasmissione del messaggio essenziale.
Si propone comunque una sufficiente bibliografia, per quanti avessero desiderio di approfondire la nostra modesta proposta.

IL TRIONFO DELLA CROCE


“Il discepolo non è da più del Maestro... Vi Mando come agnelli in mezzo ai lupi ... Vi consegneremo ai sinedri e vi flagelleranno”.
Parole vissute nella sua viva carne da Cristo, profezia e realtà nella vita del discepolo, di tutti i discepoli, di tutti i tempi.
Sembrava che i successi pastorali e più la santità di vita e più ancora lo strepito dei miracoli, dovessero garantire a Pancrazio, ammirazione, gratitudine e onori. Ma il bene ha un suo prezzo e il sommo bene ha il prezzo del dono supremo: la vita. Così il Maestro, così i discepoli: Paolo parla del mistero della croce, sapienza di Dio, stoltezza per i pagani.
La schiera dei credenti, ormai imponente, aveva disertato i templi e la classe sacerdotale che ci campava, ne era indignata e presa da preoccupazione. La classe dirigente pagana che incentrava nell’imperatore il duplice potere di Cesare e di Pontefice, e i tanti che la nuova religione non aveva potuto aggregare, tutti costoro tramarono e decretarono la fine del caporione della “setta” cristiana.
Se la forza con la ragion contrasta vince la forza e la ragion non basta.
Vessazioni e minacce, calunnie e lusinghe a nulla valsero per smuovere la roccia. Un killer, Artagale, un nobilotto esaltato e prezzolato - e che non osa la perfida fame del denaro? - si presta a un insidioso tranello su mandato di una masnada di fanatici.
Il prefetto Bonifacio, fervido cristiano e tutore della legalità e protettore di Pancrazio, è purtroppo assente. Simulando amicizia e ospitalità, Artagale invita Pancrazio ad un pranzo.
L’uomo di Dio accetta, quando si scatena una oscena sarabanda di balli e di riti orgiastici. Gli si offre a baciare l’idolo Scamandro, ma Pancrazio lo fulmina col segno di croce e lo sbriciola in mille schegge.
Allora gli piombano addosso come cani, con pugni, calci e morsi e trascinandolo lo calano dentro una fossa: un mortale colpo di spada spegne l’ultimo gemito di preghiera: “Nelle tue mani, Signore, rimetto il mio spirito”.
Il Martirologio romano per il giorno 3 aprile così recita: “S. Pancrazio, discepolo del beato Principe degli Apostoli e Vescovo di Taormina, con nobile martirio, quale egregio campione di Cristo, viene cinto della celeste corona”.
Le spoglie furono recuperate dai cristiani e degnamente tumulate nel tempio di S. Maria dei Greci. La tomba fu altare di pellegrinaggi, di grazia, di prodigi.
Intorno all’anno 900, per sottrarla alla profanazione degli invasori musulmani, furono trasferite a Roma nell’omonima chiesa di San Pancrazio, martire giovanetto romano, e con il medesimo onorate nello stesso sarcofago di porfido.
Sopra vi si legge:

“Ossa S. Pancratii etaliorum martirum”. Sul fregio del coro, vicino all’icona: il giorno 11 aprile 1626 veniva consacrato questo insigne altare di S. Pancrazio martire, in cui fu raccolto il corpo di S. Pancrazio Vescovo e Martire.

BIBLIOGRAFIA


1. Menologi e Martirologi della Biblioteca di Grottaferrata.
2. L'Orilogo e I'Ontologio di Arcudio, del Card. Baronio, Ottavio Gaetani, Basilio il monaco.
3. Atti di Evagrio.
4. Breviario Gallico - Siculo.
5. Gregorio Bizantino.
6. Giovanni Bollande...
7. Mons. Luigi La Lomia - Vita di S. Pancrazio Martire.

          Mons. Vincenzo restivo
da: "Canicattì Cultura"


solfano@virgilio.it


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