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Alfonso Arena
 

Alfonso e Giovanni Tropia, Canicattì, monografia estratta dal Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, Palermo 1908

 

Canicattì[DF1]  

 

Da Licata più con la ferrovia ci si accosta a Canicattì, migliori si fanno le condizioni del paese.

 

Oltrepassando Campobello, si offre alla vista un paesaggio meraviglioso, allietato da un verde perenne. Le colline si succedono le uno alle altre, l'occhio spazia lontano, scorgendo al termine dei Campi Geloi, visione radiosa di bellezza e di classiche memorie: i monti agrigentini, simbolo di lavoro umile e forte; Nissa e i paesi della solfatara. Il mandorlo, l'olivo, i vigneti, i pirati degradanti dai monti al mare attraggono l'attenzione del viaggiatore, per trasportarla, dopo una svolta del treno, dinnanzi il panorama dì Canicattì, laboriosa ed industre.

 

Canicattì è posta sul declivio di un monte e di varie colline ed ha la forma di un grandioso anfiteatro; la collina, sulla quale è la stazione ferroviaria, può essere paragonata alla scena: la piazza grande e la parte bassa alla platea, e il resto alla gradinata, salendo sempre sino a 500 metri circa dal livello del mare.

 

Il panorama che si gode dall'alto è veramente pittoresco e grandioso:

 

A S. la fulgentissima Naro, a fianco dei caratteristici Pizzi di Giummello, i monti a piè dei quali scorre il Salso; Campobello; e più lontano il mare di Palma e di Licata. Ad E. Delia e il suo castello, Sommatino, il monte Formaggio, i monti di Barrafranca. A NE. il monte Bardaro e la Serra Puleri, i monti di Nissa, lontano Castrogiovanni, Calascibetta e l'Etna gigante.

Canicattì è situata a 37°, 20’ di latitudine 37°, 30' di longitudine, e dista dal mare circa 20 km.

Coronato è in alto di faggi e cipressi, verdeggiante di frequenti giardini; la massa bianca delle case si differenzia ora per una facciata rossastra di chiesa, ora per un elevato edifizio. Nella sinistra nereggia selvoso di mandorli e carrubbi il Bardaro, mentre immediatamente segue il dorso nudo ed arsiccio del cuneiforme Puleri e ad oriente, su colline basse ed azzurre, il paesaggio si perde fra le nebbie frequenti e lontane del Salso ai monti Erei. Ma a destra. i proni colli che tendono verso occidente, recingono l'incantevole vallata dove scorre il fiume Naro, valle piena di memorie e di poetiche leggende, dove Motium e Ducezio si confondono nell'agile fantasia del popolo con l'Orlando delle saghe paesane riferentisi al periodo arabo e Roggero, l'inclito paladino, è tutt'uno con l'eroe normanno. A mezzodì la valle è recinta da lunga catena ondeggiante di Colline, cui sta a cavaliere la rupe detta Pizzi di Giummello, fantasticamente torreggiante. Nella valle, che ha recenti vigneti, predomina l'elegantissimo mandorlo coronando le rupi, ai cui piedi abbondano fontane; lungo i corsi d'acqua verdeggiano pioppi ed incontri i vecchi mulini ora assai trascurati. Ma dalle arenose colline, per ciò dette Rinazzi, poste dirimpetto al paese, spazia l'occhio ad oriente e ad occidente: quindi dai colli di Girgenti alla montagna di Cammarata e dal cono solitario del S. Paolino, villaggi e città: quindi dalle Serre di Grottarossa tino a San Giuliano di Caltanissetta, ai cui piedi è la città, l'occhio spazia su un esteso orizzonte libero e infinito, che dai monti del Salso va fino all'ultime colline che chiudono i Geloi, ed alle marine di Palma e Licata. Ma a mezzodì del paese, alto alto, sulla cresta d'un monte brullo, rossiccio, si delineano le ultime case e due chiese della vetusta baro, ora lucente nel solo del meriggio, ora recinta i fianchi di nuvole nere.

 

Canicattì è ornata di belle strade, fra le quali primeggiano il corso Umberto, il corso Garibaldi, la via Risorgimento, il viale Regina Margherita, il viale Regina Elena, il corso Vittorio Emanuele, la via Nazionale, la via XX Settembre e la via Duca degli Abbruzzi.

 

Nome degli abitanti secondo la denominazione ufficiale: Canicattinesi, secondo la pronunzia locale: Caniattinisi.

 

Canicattì è distante da Girgenti (capoluogo di provincia e di circondario) km. 36

 

Popolazione secondo i risultati dei censimenti[DF2] 

 

Anni 1861 - 20149  1871- 20704    1881 - 19678  1901 – 24687

 

 

GEOGRAFIA FISICA E BIOLOGICA.

 

Area: La superficie territoriale del Comune è di ett. 5,563. Il territorio del Comune secondo i dati del catasto, è di palmi q. 262, così diviso[DF3] 

 

Configurazione: Il territorio del Comune è accidentato e sparso di varie colline, la superficie è tutta di, terreni produttivi, mancano i pascoli, abbonda la coltivazione del grano avvicendato con la fava, e in molti luoghi con la sulla (rotazione triennale fava, frumento, orzo o timilia). Le alture ed i terreni calcari sono piantati a mandorlo, la cui coltivazione è ormai diffusa in tutti i terreni che si prestano, piantato regolarmente a distanza variabile tra i sette e i dieci metri, ritraendo altresì la produzione erbacea del suolo. Le maggiori elevazioni sono di circa 600 metri dal livello del mare (monti Bardaro e Puleri).

La configurazione del territorio è, irregolare, prolungantesi a triangolo verso il nord (ex feudo Giardinelli), mentre dagli altri lati la linea di confine è vicinissima all'abitato. Il territorio ha subìto uno spostamento nel 1838, quando ispirandosi alla convenienza di non obbligare i contribuenti a recarsi in luoghi molto lontani pel pagamento del tributo fondiario, una legge disponeva, doversi i fondi allibrare nel catasto di quel Comune cui erano prossimi; ed allora furono compresi nel catasto di Canicattì vari feudi e tenute sino a quel tempo appartenute a Naro, a Girgenti ed a Caltanissetta; sicché approvato con ministeriale del 18 marzo 1840 le operazioni catastali compiute, il catasto di Canicattì risultò costituito di ett. 13363. Ma queste op~ioni furono fittizio e le cose ritornarono al pristino, stato.

 

Geologia: Il terreno è di formazione terziaria con affioramenti e stratificazioni di calcare tenero e qua e là compatto, con alquanti banchi di gesso. In qualche località (Rinazza) si hanno calcari sabbiosi quaternari, raramente conchigliferi; nel resto del territorio abbonda l'argilla, in altri punti la marna (trubi). In contrada Fruscola ed altrove miocene superiore e strati a congerie (gessoso solfifero).

«Dal monte Pernice di Naro si stacca una diramazione di rocce dell'epoca solfifera, che acquista una larga esposizione presso Canicattì. Tutto attorno a questa città e a nord di essa si scorgono delle colline calcaree abbastanza elevate, delle quali le più importanti sono il monte Bardaro (652 m.) e il monte. Grotta rossa (657 m.) a NE. Gli affioramenti calcarei formati dalle creste di forma ardita e, frastagliata si spingono da un lato fino ai dintorni di Delia, . racchiudendo una vasta regione di trubi; Canicattì è per la maggior parte edificato sui calcari dell'epoca solfifera, sui quali riposano, a nord dell’ abitato, dei banchi di gesso, in parte sulle marne a foraminifere.

« A SE. di Canicattì i trubi s'immergono sotto le argille azzurre plioceniche, che sono ricoperte da un banco pianeggiante di tufo, calcareo, sul quale posano a loro volta le sabbie giallo subappennine, formando le contrade dette Piano del Purgatorio e Grappara: . a sud di questo altipiano i trubi emergono di nuovo e sono traversati in gran parte dalla linea ferroviaria. Di sotto ad essi _spuntano qua e là degli affioramenti di calcare solfifero, dei quali il più esteso , è quello del feudo Spagnuolo » .

 

Idrografia: Non vi sono fiumi, ma torrenti d'una certa importanza, confluenti tutti del fiume Naro, i quali mettono in moto circa 15 molini idrici. Le principali fontane d'acqua potabile ottima sono: Corrice, Balata di Russi, Gulfì di Trabia, Savuco, Capo d'acqua, Ricotta, Casalotti, quasi tutte con la servitù dei detti molini appartenenti alla signoria di Canicattì. La forza idraulica disponibile è discreta e potrebbe utilizzarsi per altre industrie.

In contrada Sant'Anna esisteva un piccolo lago, prosciugato verso la metà del passato secolo. Esistono varie sorgenti d'acque sulfuree (mintini).

Sottosuolo: Il sottosuolo è asciutto e contiene in abbondanza gesso, marna, zolfo. Canicattì è un importante centro solfifero. Le miniere Palumba, Deliella e Fruscola dànno una grande produzione annua. Esistono cave di pietra ottima per costruzione di selciatura.

 

Clima: Il clima è saluberrimo, e si mantiene sempre temperato.

Per la sua speciale esposizione ad oriente, Canicattì è difeso completamente dal venti di ponente; i monti di Bardáro lo difendono un po' dalla tramontana. Predominano i venti dell'est nebbia (Mungibiddisi), ed i venti del sud. La nebbia è rarissima, quasi sconosciuta. Nel territorio non vi sono zone malariche. Le campagne vicine sono indicatissime per stazioni climatiche ed i monti per sanatori di mezza montagna.

 

Flora: La vegetazione arborea più diffusa è il mandorlo (amigdalus communis) che forma la principale risorsa; abbondano gli ulivi (olea europaea), le piante prunacee, il pesco (prunus persica), i fichi, i fichi d'india (opunzia ficus indica), gli agrumi: aranci, limoni, mandarini, da alcuni anni la vite (vitis vinifera) cultura che erasi abbandonata per la filossera, che aveva distrutto gli abbondanti vigneti.

Fra le piante erbacee: il frumento (triticum sativum), la fava (vica faba), la

sulla (hedysarum coronarium), l'orzo (hordeum vulgare), l'avena (avena, saliva). I piselli (pisum sativum), i ceci ed altre piante leguminose. In molti luoghi del territorio abbondano le more selvatiche. Si coltiva il sommacco che dà un importantissimo reddito annuo.

Lungo i torrenti crescono le canne ed una grande varietà di pianticelle erbaceo ed ortensi.

 

Fauna: La fauna domestica contagli equini, animali largamente rappresentati con allevamento esteso e razionale. Pure estese sono le razze ovine e bovine, nonché gli animali da cortile; numerosi sono gli animali di razza mulattiera, scarsi i suini.

La fauna selvatica stazionaria e migratoria conta: conigli, lepri, gatti selvatici, istrici; e fra i volatili: passeri, tordi, quaglie, pernici,

ecc.

 

 

STORIA.

 

Non si hanno notizie esatte sui'nomi assunti in passato dal Comune. Nella geografia dell'arabo Edrisi, tradotta da Michele Amari, si trova citato il nome di Canicattì colla parola Al Quattà (il tagliatore di pietre). Secondo il geografo arabo Al Quattà dista da Al Minzar (Castrofilippo) verso mezzogiorno dieci miglia. Da Naro a Canicattì pel settentrione 10 miglia.

L'Amari, traducendo questo passo, in una sua annotazione dice: «Basta premettere a questo nome la voce ayn (fonte) per approssimarsi al nome di Canicattì, grosso Comune, la cui postura torna a quella data dall'Edrisi».

Non si rimuove l'Amari da tal supposto per la lezione Canticattini, che corre nel censo feudale del 1408, la quale, porterebbe a supporre il nome arabo di Handag attin (fossato, d'argilla). La designazione in sembra piuttosto aggiunta dai notai del secolo decimoquinto, svanita di recente dalla lingua del popolo; d'altronde in siciliano l'accento sull'ultima, soggiunge l'Amari, rappresenta spesso la ayn finale.

L'avv. Picone, nelle sue Memorie storiche agrigentine, crede che Al Quattà sia da cercare in Cattà, casale del vescovo di Girgenti, secondo un diploma del 1093; ma questo luogo si trova presso Raffadali, dove torna a maestrale di Girgenti e non a levante, come risulta chiaro da questo e da altri passi di Edrisi.

E notisi che il Picone traducendo questo passo cambia in tramontana il ponente che si .legge nel testo, là dove è indicata precisamente la posizione di Girgenti rispetto ad Al Quattà. Confermo adunque, così conclude lo storico del Vespro, la designazione, di Canicattì[DF4] 

 

In una carta della Sicilia antica sotto l'impero dei saracani si trova al posto di Canicattì la parola Hada gattin, e in un'altra dei tempi normanni invece Canticattini.

La lezione Canticattinum la troviamo nel Dizionario di Amico, nella storia di Giuseppe Carnevale e nel Carafa. Si riscontra la voce Canicattini nel Fazello, nel Rocco Pirro e nel Mugnos, come pure Candicatti e Cannigattì nella «Sicilia in prospettiva», Calycadnis e Canicattis nella geografia di Vito Pugliese.

Nel Fazello (tom. I. pag. 98) troviamo Ianticati, ciò che non si díscosta dal radicale arabo Al Quattà. Vito Pugliese crede che la voce Canicattì derivi da Chanicat ebraico, che vuol dire instructus ad arma.

La verità di tutte queste lezioni non deve far meraviglia per la differenza che si riscontra nelle lingue dei popoli che dai saraceni in poi hanno abitato e dominato l'isola nostra. Così il dott. Luigi La Vecchia[DF5] 

Il dott. Giuseppe Antinori Rizzo vorrebbe trovare Canicattì nel luogo chiamato dall'Edrisi Heniset (Chiesa). Un supposto popolare, senza serio fondamento, fa derivare Canicattì da canne cattive.

 

Di Canicattì nelle origini, nulla: l'oscurità dei tempi e l'incuria paesana si sono associate nell'opera distruttrice.

Per avere qualche notizia corta, bisogna arrivare alla conquista normanna. Sotto i saraceni l'agro dove sorse il paese, dovè avere, senza dubbio, molti casali e molti castelli, come rilevasi dalle macerie sparse qua e là, che il popolano accenna, raccontando antichissimo leggende e tradizioni; ma la storia tace. In questo periodo, facilmente sorgevano. castelli, che venivano poi abbandonati per le lotte intestine del popolo arabo; e l'arabo Edrisi ne fa fede, ponendo nell'agro Canicattinese i seguenti casali: Rahal Cagrici, Rahal Gennini, Rahal Kattà, Rahal Gibilaterras, Rahal Solumi, Rahal Calata, Sibene, Rahal Karroel, Rahal Heniset, Raha1 Garangifuni[DF6] 

 

Correva l'anno 1061, allorché Ruggero sbarcava a Messina; vincitore, proseguì alla conquista di tutta l'isola e dopo la celebre battaglia di Cerami, che assicurò l'imperio delle armi normanne, si mosse verso Girgenti insieme al duca Roberto. Non credette però opportuno assediarla e mosso verso Palermo, donde, ritornato una seconda volta ed espugnata Girgenti, debellò gli arabi di monte Saraceno. Monte Saraceno era forse l’avanzo dell'antica Ibla Nera; che Tucidide pone nel territorio di Gela, città assai forte e ben munita presieduta da Melciabile Mulè signore di Canicattì e Ravanusa.

Ruggero, dice il Cajetanus, oppugnabat eam dura obsidione e i soldati normanni, estenuati dalle fatiche, dal caldo e dalla sete, ínsultavano i saraceni chiamandoli vili e solo atti a combattere dietro le mura.

Ma lo strenuo valore del Melciabile Mulè mal poteva sopportare l'insulto, ed egli scese in aspra tenzone con tal Salvatore Palmeri.

Pugnò invero da valoroso qual era, ma fu vinto, presentato morente al conte Ruggero e decapitato.

Salvatore Palmeri, primogenito di Benedetto fu commilitone e cugino del conto Ruggero e lo seguì nella campagna di Sicilia con ottanta cavalieri equipaggiati a sue spese. Si distinse per moltissimi atti di valore e rese importantissimi servizi al cugino; ma ciò onde ne venne grandissima lode e beneficio a lui e a tutti i suoi eredi fu il narrato duello con l'emiro saraceno Mulè.

Ruggero, infatti, com'era suo costume, ricompensò il cugino donandogli i beni posseduti dal motto signore, con privilegio dato in Gírgenti il 1° marzo 1089[DF7] 

 

E si vuole che gli abbia in quell'occasione donata ancora la sua spada, conservata poscia gelosamente nel castello di Canicattì.

È opinione di, molti storici che questo, castello esistesse sin da quei tempi, anzi un manoscritto, che si conserva nell'archivio municipale di Canicattì, lo dice addirittura fabbricato dal conto Ruggero. Gustavo Chiesi dice che il conte ivi siasi fortificato; e ciò non è improbabile, poiché il luogo ove sorge il castello è un punto strategico importantissimo, posto com'è sulla via da Girgenti a Castrogiovanni, via necessariamente battuta da Ruggero, per le sue operazioni strategico militari.

Il cav. Casaccio[DF8]  dice che i principali feudi del Melciabile Mulè erano Canicattì e Ravanusa.

 

Nel 1089, dunque, Canicattì era posseduta da Salvatore Palmeri, congiunto del conte.

Da quell'epoca sino al 1393 più nessun cenno di Canicattì, forse per la sua poca importanza, forse perché chiamato con altro nome.

Nel 1393 nei libri regi si trova che Canicattì ora posseduto da Luca Formoso, nobile agrigentino, il quale prese parte alla congiura di Andrea Chiaramonte, signore di Girgenti, contro l'autorità di re Martino.

La ribellione di Andrea Chiaramonte, sorta a Girgenti per sostenere i dritti di Gilforte Rieccobono, vescovo nominato dal papa, in opposizione a Pietro De Curtibus, vescovo nominato dal re, ebbe un esito esiziale: Girgenti in iscompiglio ed i beni di Andrea confiscati.

Ma il potentissimo barone insorgeva con lo aiuto dei suoi partigiani, e negavasi di ottemperare agli ordini di Lodovico Montaperto, castellano del re. Alla pertinacia dei ribelli il re rispose confermando la confisca, e finalmente a 1 giugno 1392 colla decapitazione in Palermo di Andrea Chiaramonte. Per poco a Girgenti sottentrò la calma, poi che nel luglio 1393 i ribelli superstiti si lanciarono sui beni del vescovo catalano Do Curtibus, e su quelli della chiesa. Martino a 1 agosto 1393 confiscava i beni dei ribelli e comandava che quel prelato ne fosse fatto indenne.

Fra i ribelli si trovava Luca Formoso, signore di Canicattì, al quale fu confiscato il castello e la signoria. Costui, intollerante. della confisca, si unì agli altri baroni, ed a Guglielmo Peralta, che fu il primo ad insorgere; ma l'impresa ebbe esito infelicissimo: ché il conte d'Agosta, sceso da Palermo a combattere gl'insorti, li debellò a Castrogiovanni; e a Naro fu costretto a punirli a viva forza. Il Formoso fu allora carcerato assieme al figlio. Poco dopo però, domandò ed ottenne perdono dal re; e per privilegio di remissione, a 8 maggio 1400 fu reintegrato nella signoria di Canicattì, come per fede estratta dalla regia cancelleria del regno dal pro maestro e notaro Vincenzo d'Alessandria[DF9] 

 

Nel 1408 si trova Canicattì in possesso di Salvatore Fulco Palmeri, già signore di Ravanusa.

Fulco o Fulcone Palmeri fu in Naro un potente barone, che possedeva il feudo di Milicia e i tenimenti di Forana, Spadafora, Ravenza, Cugno di Dama, Migitello, Ragusetta, Aimona, lo stretto del fiume Salso, nonché i tenimenti di Monterosso, Maligi, le saline e le tonnare di Trapani. Ebbe due figli: Antonio e Filippa. Ad Antonio assegnò la baronìa di Canicattì, ed a Filippa altri beni, riserbando per sé il casale e feudo di Ravanusa, che poi perdette perché ribelle.

Intanto dalla vicina città di Girgenti, sua patria, andò a domiciliarsi in Naro, Andrea De Crescenzio, nobile discendente dell’antica famiglia dei Crescenzi di Piacenza. Egli sposando una nipote di Fulco Palmeri, figlia di Filippa e Tommaso Crispo, comperò dallo zio Antonio, vecchio cadente e senza figli, per onze duecentocinquanta, la terra di Canicattì, divenendone signore. L'atto fu stipulato il dì 12 novemb. 1448 in notar don Salvatore Piazza di Gìrgenti, e per esso passò al De Crescenzio la proprietà del castello e feudo, «esente di «ogni,peso, tutto in esso esistente: vigne, palmento, giardino,, fiumara, alberi, acqua,  e tutto in esso territorio esistente giusta i confini descritti, in detto contratto. Fra gli altri patti era anche quello che le armi di Palmeri non si possano levare dal castello »[DF10] 

Quest'atto fu ratificato da Simone di Bologna, arcivescovo di Palermo, presidente del regno, con privilegio, dato in Palermo addì 9 settembre 3 ind. 4453. Con questo privilegio si investiva il De Crescenzio e suoi eredi del castello e feudo di Canicattì colla clausola dell'infra merum, nempe quod major natus minoribus fratribus et coeredibus suis ac masculis foeminis praeferantur, e sotto il dovuto servizio militare di onze venti per ogni cavallo armato, secondo gli annui proventi di esso feudo.

Aumentavano, i bisogni del paese, si accresceva la popolazione, onde il Crescenzo chiese ed ottenne dal re Giovanni di Aragona la facoltà di allargare i confini. Il privilegio dato in Palermo a 3 febbraro 1467, attesi alcuni servigi dal De Crescenzo prestati al re, accordava la facoltà di potere[DF11] 

Una tradizione ci racconta che furono immigrati molti taorminesi, i quali fecero sì che si eligesse a padrono il loro primo vescovo san Pancrazio, discepolo di san Pietro; ed a lui dedicarono la chiesa parrocchiale, situata sotto l'attuale chiesa di santa Barbara[DF12] 

Andrea De Crescenzo, può dunque dirsi il secondo fondatore di Canicattì: e da quel tempo il paese cominciò sempre a progredire divenendo, da casale trascurabile, un importante contro di popolazione.

Dal matrimonio di Andrea De Crescenzo con la nipote di Fulco Palmeri, nacque Giovanni Crescenzo. Succeduto al padre, egli fu un vero benefattore di Canicattì; a lui si deve l'apertura di nuove strade, il restauro e l'ampliamento del magnifico castello baronale.

Antonio non ebbe figli maschi, bensì due femmine: Ramondetta e Blanca o Liandra. Ramondetta fu data in isposa a Calogero Bonanno, Liandra a Girolamo, entrambi figli di Cesare, nobile caltagironese, figlio di Giacomo, maestro razionale del real patrimonio.

A Calogero fu costituita in dote la terra di Canicattì, ed a Girolamo quella di Ravanusa. Morta Liandra, senza eredi, fu ereditiera Ramondetta e per essa Calogero Bonanno, che divenne allora barone di Canicattì e Ravanusa, e che, dopo espletate le formalità che allora richiedevansi, per la bufera suscitata inquei tempi da Giovan Luca Barberio, fu confermato, e nel 1507 decorato del potere delle armi.

Nel 1514 fu mandato in ambasceria a Ferdinando il Cattolico, per chiedere il trasporto della zecca da Messina a Palermo; ed in quell'occasione fu decorato dal re del Cingolo militare.

Da Calogero Bonanno e Ramondetta nacque Filippo, il quale, nella minore età  rimase orfano di padre; e Ramondetta, divenuta vedova contrasse in Naro un secondo matrimonio con Angolo Lucchese.

Filippo, alla morte della madre, ebbe lunghe e criminali contese col padrigno, che poi continuarono con Giovanni Antonio Palagonia, prossimo parente del Lucchese, pei quali litigi il Palagonia fu costretto a vendere lo stato di Camastra ed il feudo di Dammisa.

Filippo Bonanno, dice il Mugnos, fu in Naro un cavaliere assai spiritoso: non vi fu festa né giuoco a cui egli non intervenisse; si dilettò oltremodo di vendicarsi dei suoi nemici. Una volta venne a combattimento nella rodea di Terranova contro Vassallo Gravina, signore di Belmonte e Ganzeria, che mise in fuga coi, suoi; piacentesi di cavallereschi ludi, diede un famoso saggio di destrezza e di perizia.

Ordinò con cura l'armeria del castello, abbellendola d'ogni sorta di militari ornamentí e principalmente cavallereschi d'argento e di oro, di comune e di gigantesca statura: scudi, elmi, spade, puntoni, schioppi, meraviglie tutte dell'arte medioevale.

Filippo fece parte di, un'ambasceria a Carlo V.

In quei tempi il paese progrediva sempre: eransi costituiti regolarmente gli uffici della Università, un esercizio per la sicurezza pubblica, un magistrato e due mazzieri tutti alla dipendenza del castellano, che allora era certo Martino Cutaia. Il castellano era nominato dal barone e ne faceva le veci.

Il castellano Cutaia mise in opera ottimi provvedimenti per impedire la diffusione della peste scoppiata a Raffadali e Mezzoiuso (1525).

Filippo Bonanno sposò in Siracusa Eleonora Platamone, dalla quale ebbe Giambattista, che gli successe nella baronia di Canicattì.

Giambattista Bonanno, barone di Canicattì, fu in Siracusa maestro segretario della regia camera.

Canicattì allora continuava a progredire; cresceva la sua popolazione e il commercio, onde Giambattista ottenne dal viceré duca di Medinaceli, la facoltà di aprire nuovi molini e di usare le acque per la forza dei medesimi[DF13] 

 

Dal matrimonio di Giambattista Bonanno con Isabella Rocca nacque Filippo II, il quale pensò di dilatare Ravanusa; ma prima, per potere esercitare legalmente i diritti feudali, giusta il sistema allora vigente, aveva bisogno della ricognizione regia, perché così si facesse un riconoscimento dei pesi e del rilevio. Fra i pesi vi era quello del servizio militare, venendo considerati i feudi come stipendio di tale servizio.

Filippo II si affrettò a chiedere conferma di quei privilegi che gli furono concessi il 18 gennaio 1557.

In quei tempi radunavasi di tanto in tanto il parlamento siciliano per legiferare ed offerire i così detti donativi ai re lontani. In esso i baroni di Canicattì occupavano il 17' posto nel braccio feudale.

Il paese allora dipendeva dal governatore militare della comarca di Naro, cui prestava 3 cavalieri e 17 fanti.

Da Filippo e da Antonia Colonna, signora di Montalbano, naclue in Siracusa Giacomo.

Giacomo I ebbe dotati la baronia «propter nuptias» e ne prese investitura a 8 giugno 1619. Morta la madre sua ereditiera dello Stato di Montalbano, Giacomo ne fu creato duca, con privilegio di re Filippo III di Spagna, dato a Madrid il giorno 8 agosto 1623.

Era Giacomo un duca studiosissimo, gran protettore degli artisti e dei letterati, e letterato egli stesso. Scrisse una pregevolissima storia della sua Siracusa, compose bellissimi epigrammi e forse è suo quello che si legge sulla fontana del Nettuno nella gran piazza.

Adornò il paese di molti pubblici ed eleganti edifizi, aprì una bellissima passeggiata sulla via che va a Naro, innalzò tre monumentali fontane, adorno di statue marmoreo di ottima fattura. Di queste opere crediamo utile riportare dalle cronache del tempo la descrizione:

«Due sono le piazze commerciali, altra ornata di un fonte di marmo di Genova, abbondante in acque, con una statua di Mercurio, detto « la ninfa di Burgalini»; altra più grande, nella bassa regione, nel cui contro sorge più elegante fonte a tre ordini, adorno d'una vasca, della statua di Nettuno, di altri emblemi, e sull'alto di quella della Fama, che sembrano meraviglie dell'arte; sparge acque in abbondanza ed è chiuso da cancelli di ferro; sul confine della città, verso mezzogiorno stendesi per circa un miglio una larga via che va a Naro, da entrambi i lati chiusa da alberi verdi ed opachi, che nel principio ha una fonte cospicua di marmo abbondante in acqua, nel mezzo un'altra più magnifica verso ponente , con le statue di Adamo ed Eva[DF14]  con obelischi, monete, statue di fiere, e lo stemma della famiglia Bonanno[DF15]  immensa vasca accoglie le acque, dove nutronsi de' pesci; cui succede amenissimo verdeggiante orto: i quali monumenti nell'altra via ed insieme nella piazza, avendo nel 1630 a spese suo fondato il duca Giacomo, dove giustamente appellarsi il novello fondatore di Canicattì ».

Nei suoi viaggi, Giacomo I, contrasse amicizia col cardinale Pietro Crescenzio, dalla cui famiglia egli riconosceva il retaggio della terra di Canicattì.

Nell'anno 1621 comprò dalla real Corte, per onze 6000, il mero e misto imperio, colla facoltà di popolare e di imporre tasse.

Sposò Antonia Balsamo, figliuola ed erede del marchese di Limina e Roccafiorita, dama religiosissima, co' soccorsi della quale il servo di Dio fra Antonio Nocera costruiva il convento dello Spirito Santo dei frati M. O., che inauguravasi solennemente il 2 luglio 1633.

Da questo primo matrimonio nacquero due figli: Pietro e Filippo.

Alla morte della prima moglie contrasse un secondo matrimonio con Lucrezia Marchesana di Catania, ma non ebbe altri figli. Mori l'anno 1636, lasciando al primogenito Pietro la signoria.

Pietro Bonanno e Balsamo, primo principe di Roccafiorita, e barone di Castellammare del Golfo, per le sue grandi ricchezze, fu ammesso ai primi onori della nobiltà. Nel 1648 ottenuto un privilegio reale, creò a suo spese una compagnia di cavalleria di cento soldati borgognoni, albanesi ed alemanni, per la guardia del viceré, a condizione che egli, sua vita durante, ne fosse il capitano.

Pietro non ebbe alcun figlio dal suo matrimonio con Violanta Notarbartolo, onde il dì 15 settembre 1661 fu investito il nipote Giacomo, figlio di Filippo e di Anna Crisafi.

Giacomo negli anni 1658 e 1663 fu governatore della compagnia della Pace. La sua unione con Francesca Marini e Graffeo, figlia di Francesco I, duca di Gratteri, fu allietata dalla nascita di un figlio, al quale fu imposto il nome di Filippo (terzo nella serie dei signori di Canicattì).

Filippo III, successo al padre Giacomo, contrasse matrimonio con la cugina Rosalia Bosco, figlia di Francesco principe di Cattolica, cavaliere d'Alcantara e prefetto della milizia siciliana e Tommasa Gomez de Sandoval, sorella di Giuseppe, cavaliere della SS. Annunziata e maggiordomo di Vittorio Amedeo di Savoia. Questo importantissimo matrimonio fu per la casa Bonanno l'inizio di una maggiore grandezza. Ed essendo la madre, Rosalia Tommasa Gomez di Sandoval sorella di Rodrigo duca de Infantados, viceré di Sicilia, ben presto Filippo assurse ai più alti onori ed alle prime cariche del regno: fu colonnello di fanteria e gentiluomo di camera del re Carlo Il, per rilevanti servizi resi e perché in occasione della presa di Messina levò molte genti e cavalli a suo spese. Nel 1680 fu eletto governatore della Pace e scelto dal senato di Palermo per ambasciatore deputato al re Filippo II. Questo cure di Stato però gl'impedivano di occuparsi di Canicattì; ed essendo egli quasi sempre assente dal castello era ignaro perfettamente dei bisogni dei suoi vassalli.

A 5 settembre 1711 gli successe nella signoria il figlio Francesco, il quale continuò le tradizioni della casa.

L'anno 1726 la Sicilia era tribolata da un capo bandito chierico della terra di Grotte, nella diocesi di Girgenti, Raimondo Sferlazza. Costui, alla testa di trenta facinorosi, tenea la campagna poco sicura, spogliando i viandanti e sequestrando i ricchi, che non metteva in libertà se non dopo il pagamento di grosse somme.

Volendo il marchese di Almenza liberare il regno da questa perniciosa compagnia di ladri, mandò da Messina la patente di vicario generale al principe della Cattolica, incaricandolo della cattura dei banditi.

Questo magnate, marciando da Palermo con un numeroso seguito di gente armata, tratta la maggior parte dalle sue terre, andò in cerca di costoro ed ebbe la sorte di avere nelle mani il loro capo Sferlazza, che in un fatto d'armi fu ferito dagli uomini del principe e preso. Lo si condusse a Canicattì, dove fu impiccato a 5 maggio, nella località chiamata Fulchi[DF16] 

La testa fu mandata a Palermo, e, appesa ad un'asta, fu portata per le strade della città.

La restante compagnia fu in parte uccisa e in parte imprigionata, e così fu liberata la Sicilia da pericolosi assassini.

Francesco Bonanno e Bosco era ascritto ai cavalieri del Toson d'oro ed ai Grandi di Spagna, ambasciatore presso Vittorio Amedeo di Savoia, ed intimo consigliere dell'imperatore Carlo VI d'Austria. Fu più volte pretore di Palermo e presidente dei 12 Pari del regno, vicario del re e decorato di altre cariche. Nella sua qualità di pretore di Palermo assistè all'incoronazione di Carlo III infante di Spagna, presentò al re le chiavi della città, e sedette alla sua sinistra.

Alla morte della prima moglie Isabella Morra, sposò Anna Maria Filangeri, dalla quale ebbe Giuseppe. Morì nel 1734.

Fin qui la storia del Comune è stata coinvolta con quella delle famiglie che ne ebbero la signoria; ma da questo punto, per l'assenteismo de' principi, il popolo cominciò a fare da sé. Lentamente sorsero i diversi edifizî, con l'aiuto delle famiglie nobili. La munificentissima famiglia Adamo, dei baroni del Monte e della Grasta, faceva costruire la chiesa degli Agonizzanti e quella del Purgatorio, e dava grande aiuto per la costruzione della chiesi madre. Le famiglie Bartoccelli, La Lomia, Sammarco ed altro, fecero a gara nell'arricchire il paese di edifici civili e nel dare incremento di vita novella.

L'esempio di Andrea De Crescenzo e di Giacomo Bonanno Colonna ebbe pochi imitatori ne' principi, intenti solo ad esigere le tasse per mezzo de' governatori, i quali non mancavano di far provare agli abitanti le angarie feudali.

Il popolo aspettava l'occasione propizia per ribellarsi, ed infatti il malcontento lungamente represso scoppiò verso la fine dell'anno 1800. Stanchi di pagare le imposte baronali, ritenute ingiuste e pesanti, i cittadini di Canicattì e Ravanusa adibirono i tribunali per farle dichiarare angariche, abusive, ingiuste, negando il secolare tributo.

S'iniziava per Canicattì un nuovo periodo di lotte e di riforme vitali. La domanda dei cìttadini era stata bene accolta dalle autorità, quando Ferdinando III Borbone, con i decreti del 2 agosto e 1 settembre 1806, aboliva le feudalità con tutte le attribuzioni, proventi ed angherie. Il parlamento siciliano del 1812 dava l'ultimo crollo all'edificio feudale, roso dal tempo e dall'odio dei popoli.

Canicattì, acquistata la sua autonomia, risentì molto i benefizi del nuovo ordinamento; ma per l'esiguità del suo territorio, e per la noncuranza dei suoi decurioni, non godette tutti i vantaggi che si speravano.

Nel corso di quattro secoli, per virtù ed industria dei suoi abitanti, per munificenza di alcuni principi, nonché per fortunate condizioni topografiche, essa potè elevarsi ad una certa importanza. Quando Andrea De Crescenzo ebbe nel 1467 la facoltà di dilatare i confini del paese, essi non si estesero al di là di duecento salme legali: cioè 350 ettare circa.

Ma questo era un campo troppo ristretto per l'attività dei cittadini, ì quali furono costretti di acquistare poderi ne' territori di Naro, Girgenti e Caltanissetta.

Da questo stato di cose risultavano vari e molteplici inconvenienti; sicché i cittadini, dopo varie petizioni, fecero sì che fosse riconosciuto dal governo borbonico il diritto di Canicattì per un'adeguata circoscrizione territoriale.

La noncuranza poi degli amministratori del Comune fu veramente deplorevole: i pubblici monumenti, senza manutenzione,. senza custodia, ben presto rovinarono: col marmo delle statue delle monumentali fontane i magnani affilavano le falci: i monelli s'incaricavano poi di compire l'opera distruttrice! Leonardo Safonte e Lumia, sindaco di Canicattì, nel 1827, per non pagare una piccola somma per la manutenzione, regalava l'armeria del castello, con la storica spada del conte Ruggero, a Sua Maestà borbonica!

L'armeria fu celebre in tutta l'isola, per le armature d'ogni sorta, intessute d’oro e d’argento, di comune e di gigantesca statura, tra le quali uno scudo ed una celata a mezzo bassorilievo, bellici stromenti a mano di vario e straniero artificio, a due e tre canne adatte a cacciar più palle in un colpo; schioppi pneumatici, daghe, spade, puntoni, lancie, spade alla spagnuola, clave con le else elegantissime, la spada del conte Ruggero, e molte altre armi raccolte dagli antichi baroni avidi di gloria[DF17]  Nel 1818 don Giuseppe Bonanno, principe di Cattolica, concedeva a perpetua enfiteusi l'intero stato di Canicattì al barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro, per l'annuo canone di onze 1700.

 

I moti del 1829 non trovarono che piccolissima eco in Canicattì, dove mancava ancora l'elemento per un'agitazione in pro della sospirata autonomia della Sicilia.

Sopraggiungeva il 1832, con la invasione delle cavallette, che distrussero le messi e portarono una grande carestia. S. A. R. Leopoldo di Borbone, luogotenente generale di Sicilia, visitando i luoghi infestati, fu anche a Canicattì.

Nell'ottobre del 1838, per la via di Caltanissotta, giungeva re Ferdinando II di Borbone, a cavallo, con la regina in lettiga. Si fecero grandi feste al sovrano, ospite del barone Bartoccelli[DF18] 

Nel 1848 Palermo insorgeva a 12 gennaio, e Canicattì rispondeva il 18, e il giorno 24 dello stesso mese, infiammato dalla parola ardente e generosa del p. Francesco Caro.

Il comitato provvisorio riuscì così composto: Presidente:   Gaetano Bartoccelli;   Componenti:   sac. Gioacchino Caico, sac. Vincenzo Camílleri, Luigi Stella, Salvatore Gangitano, Giambattista Racalbuto, Giuseppe Caramazza, Pietro Testasecca, Giuseppe Bordonaro, Giuseppe Lombardo, Giacinto Gangitano, Andrea MuIone, Domenico Caro, Alfonso Martines, Emanuele Gangitano, Raimondo Mongiovì, Giuseppe Curto Pelle, Antonio Corsello, Salvatore Insalaco, Angelo Di Rocco, Raimondo Li Calzi,   Segretario:   Antonio Meli.

Uno dei primi atti del comitato fu la riduzione dell'odioso balzello sulla molenda, detto la polizza, poscia furono distribuito ai poveri 200 salme di frumento, raccolto per contribuzione volontaria dei possidenti.

Fu costituita la guardia nazionale ed il comando venne affidato allo stesso presidente, coadiuvato dal signor Giacinto Gangitano.

Il venerdì 3 marzo, alcuni individui di Canicattì, recatisi a caccia nelle vicinanze del lago di Trebastoni, furono uccisi da. una squadra di persone armate della città di Naro. Il giorno dopo una folla di popolo, sia perché spinta dalle voci e dai pianti dei parenti degli uccisi, sia per curiosare, si condusse nella località dell'eccidio, reclamando a viva voce i cadaveri degli uccisi, che stavano per trasportarsi a Naro. Avvenne un violentissimo attacco, nel quale molte delle persone armate della città di Naro rimasero vittime.

Questo fatto accese una fiera inimicizia fra i canicattinesi ed i naresi, e le cose giunsero a tal punto che il comitato di Girgenti pensò di intervenirvi; ed infatti il vice presidente di quel comitato a 8 marzo così scriveva:

«Questo comitato con molto dispiacere ha inteso le violenze ed i funesti successi tra gli abitanti di Canicattì e quei di Naro. È ben doloroso che il sangue cittadino lungi di versarsi in favore della nazione tenda allo sfogo di private vendette; e mentre questo capo Valle si consolava nel vedere Canicattì pronunziarsi per la prima in questa Valle per la gloriosa riuonerazione mira colà spuntare un germe esiziale alla salute pubblica »[DF19]  Fu mandato da Girgenti come paciere il cav. Calogero Caratozzolo, il quale fu accolto in Canicattì con pubbliche manifestazioni. Le pratiche per la pacificazione ebbero esito felicissimo.

 

Riunitosi il comitato il 10 marzo, elesse a pacieri i signori don Gaetano Bartoccelli e don Giacinto Gangitano, i quali il giorno dopo scambiarono con i naresi signori Baldassare Gaetani e baronello Ignazio Specchi le bandiere bianche con la Trinacria e l'iscrizione: «Pace tra i diletti fratelli delle città di Naro e Canicattì, mediatore l'affettuoso fratello comandante della truppa nazionale agrigentina cav. Calogero Caratozzolo»[DF20] 

Il popolo festeggiò con calorose dimostrazione l'avvenuta conciliazione e il ritorno dell'ordine e il 19 marzo passò all'elezione dei deputati distrettuali.

Intanto il predicatore quaresimalista padre Francesco Caro infiammava gli animi e teneva desto con la sua affascinante parola lo spirito della ribellione. Ma altri fatti luttuosi valsero ad intimidire i più deboli: l'incendio di alcuni atti della cancelleria circondariale, e l'uccisione di Antonino Patti (18 aprile), di Giuseppe Ventura (30 aprile), dei fratelli Giuseppe e Giambattista Racalbuto (27 luglio), ad opera dei così detti sgarristi, per questioni personali e vendette private.

Il comitato cercò provvedere con l'aumento delle guardie nazionali e l'istituzione di una squadra a cavallo alla sicurezza delle campagne.

Il 5 settembre 400 armati girgentini, riunitisi a Canicattì e ingrossati da una schiera di volontari mossero verso Messina ch3 resisteva al Borbone. Era il primo concorso di armati che Canicattì dava alla causa della rigenerazione dell'isola.

 

Il parlamento nazionale decretava un mutuo coattivo per onze 500.000 (L. 6.375.000), il quale fu poi aumentato ad onze l. 000. 000 (L. 12.750.000), al quale erano chiamati a concorrere coloro che spiccavano per notoria agiatezza ed opulenza. Il Comitato centrale lanciava allora questo appello

« Viva ancora Palermo, in meno di 24 ore, ei diè già spontaneo alla Nazione che ne '1 chiese onze 105.000, or con pari virtù, all'invito di pagare in tre giorni metà di altre onze 100.000 ne ha versate 60.000, possa sì nobile esempio emularsi dal resto della classica isola».

Al manifesto affissato in Canicattì, come nelle altre città dell'isola, i canicattinesi rispondevano in gennaio 1849 versando le onze dodicimila richieste, per raccogliere le quali, data l'esiguità del bilancio e le spese sostenuto dal Comitato, (onze duecento al mese), alcune guardie rinunziarono al soldo ed i cittadini fecero a gara nel versare generose e spontanee offerte.

Fa deputato per Canicattì al parlamento nazionale il barone Salvatore La Lomia.

Venuta meno la rivoluzione, esiliati i rivoluzionari e restaurato il governo borbonico, Canicattì mandava la sua rapprssentanza a Napoli per fare atto di omaggio al re.

Rasserenati gli animi e tornata la calma l'eterna quistione territoriale ricominciò ad agitarsi.

I tre decreti: 18 giugno 1828 (preparazione della riforma delle circoscrizioni territoriali), 8 agosto 1833 (rettilica dei catasti), 17 dicembre 1838 (che disponeva doversi i fondi allibrare nel catasto di quel Comune citi erano prossimi) avevano ufficialmente costatato che i fondi dei canicattinesi nel territorio di Naro, Caltanissetta e Girgenti erano troppo lontani dalle sedi dei Comuni cui dipendevano e che, allo svolgimento dei pubblici servizi era più utile comprenderli nel catasto di Canicattì.

Il semplice riquadramento catastale non contentava i desiderata dei canicattinesi ; ma, malgrado le opposizioni del Comune di Naro, il quale faceva valere le regalie ottenute nel 1552 e 1615, un sovrano rescritto del 17 febbraro 1841 dichiarava essere deciso volere del re che fosse definita la nuova circoscrizione territoriale di Canicattì.

Un altro sovrano rescritto del 17 settembre 1844, come provvisorio provvedimento, in attesa della generale e radicale riforma delle circoscrizioni territoriali in Sicilia, sull'avviso del Consiglio d'Intendenza di Girgenti, del 16 maggio 1842 disponeva: «Al territorio del Comune di Canicattì, in provincia di Girgenti, saranno aggregate le tenuto di Gulfi di Trabia, Balate di Russi e Cannarozzo, che ora fan parte di quello di Naro; la tenuta di Giardinelli appartenente al territorio di Girgenti; e quelle di Graziano, di Buccheri e di Corrici, che in atto si appartengono a Caltanissetta».

Tale decreto accordava a Canicattì poca cosa, onde i reclami continuarono; e mentre nella solitudine e nel silenzio si preparavano nuovi avvenimenti, Canicattì faceva sentire al governo le sue proteste.

Nel 1853 il Consiglio provinciale di Girgenti emetteva un voto per l'ampliamento del territorio, e il 10 febbraro 1854 un sovrano rescritto prendeva in considerazione i lagni del Comune.

Nel 1860 Canicattì ebbe poca parte nei moti del resto dell'isola. Vincenzo Macaluso, avvocato, inalberava prima d'ogni altro la bandiera tricolore nell'agro agrigentino.

 

 

Il 19 maggio 1860 giungeva da Girgenti il maresciallo borbonico Afan de Rivera, con un reggimento di cacciatori e un altro di carabinieri. Le truppe bivaccarono nella via principale fino al giorno 18, in cui furono richiamate a Girgenti, dove erano successi dei torbidi.

Ritornate le truppe a Canicattì il giorno 23 maggio, ripartirono poco dopo; e, non erano ancora molto lontano dall'abitato, quando sulla torre dell'orologio inalberavasi la bandiera tricolore e le campane rispondevano col saluto augurale.

In luglio Nino Bixio e Menotti Garibaldi furono per poco a Canicattì.

Il plebiscito per l’annessione al regno di Italia fu organizzato da Salvatore Gangitano e diretto da Pietro Testasecca:.   Gli elettori iscritti furono n. 2844 i votanti n. 2643. Risposero per il Sì 2642, pel No l.

Al primo Parlamento italiano, convocato in Torino, fu mandato dal collegio di Canicattì il barone Vito D'Ondes Reggio.

Le condizioni topografiche, lo sviluppo delle industrie e del commercio, favorirono la graduale elevazione del Comune.

Le ferrovie, la costruzione di ponti e strade, lo svolgersi dei partiti politici, sostituiti agli antichi partiti personali, l'aumentata cultura popolare, hanno fatto di Canicattì uno dei primi Comuni della provincia di Girgenti.

Durante le agitazioni dei fasci non si ebbero a deplorare eccessi; e nei vari tumulti per il territorio, per l'abolizione dei dazi, e per la carestia, il popolo si è mostrato cosciente della sua forza e dei suoi diritti.

L'acquedotto Savuco, inaugurato solennemente nel 1895, risolvendo l'importantissimo problema dell'acqua potabile, per opera principalmente del sindaco avv. Vincenzo Falcone, dava nuovo incremento di vita e di civiltà.

E qui, a completare questo rapido cenno sulla storia comunale, basterà ricordare lo sciopero elettorale del 1897 1898 per la questione territoriale. Un Comune che si mantiene per diciotto mesi fuori legge, i cittadini che si dimettono dalle cariche occupate in città e fuori per la tutela dei propri diritti, offrono un esempio unico nella storia dei Comuni siciliani.

Il congresso cattolico agrigentino, tenuto nei giorni l. 2, 3 ottobre, con l'intervento di cinque vescovi, i diversi comizi e le riunioni politiche hanno mostrato il progresso e l’educazione civile dei canicattinesi.

Canicattì fu prescelta a sede della Lega siciliana per la riforma delle circoscrizioni territoriali, presieduta dal barone Francesco Lombardo Gangitano. Un importantissimo congresso di sindaci dei Comuni aderenti alla Lega vi si adunò nel dicembre del 1904.

Un avvenire migliore è riservato all'industre operosità degli abitanti.

Pochi Comuni hanno saputo sì rapidamente trasformarsi per costante volere, utilizzando le energie latenti e aprendo libero il varco al commercio, all'industria ed al pensiero moderno.

Nel campo economico, politico, sociale, larga messe prometto il seme sparso lentamente ma con assiduità ed amore nella continua e paziente ascensione a migliori destini.

 

 

ARCHEOLOGIA, MONUMENTI ED OPERE ARTISTICHE, EDIFICI NOTEVOLI

 

Motyum (Vito Soldano): A sei chilometri da Canicattì, verso Castrofilippo, esisteva Mozio (da non confondersi con la città fenicia Mozia).

Di questo castello la storia ci dimostra la sua esistenza ai tempi di Ducezio.

Ducezio collegava tutte le città sicule contro i siracusani e gli agrigentini, e nell' olimpiade LXXXII (anni 452 av. G. C.) moveva verso la regione agrigentina, dove assalì gagliardamente il castello di Mozio, che trovavasi fortificato e custodito da una guarnigione siracusana. Le truppe agrigentine rinforzate dalle siracusane sopraccorsero, ma Ducezio, mosse ad oste contro le une e le altre ed entrambe mise fuori dai loro accampamenti. Tirato a sé, per doni o promesse, Bolcone comandante dei siracusani, e vittorioso di quella giornata, potè impadronirsi di quel castello. Ma sopraggiunto l'inverno, ciascuno si ritirò dal campo e Bolcone, accusato di tradimento, fu punito con la morte.

Siracusa nel principio dell'està nominò un altro capitano, inviandolo contro Ducezio ed i siculi, che furono messi in fuga, mentre gli agrigentini rioccupavano Mozio.

 

La storia più nulla ci narra di Mozio, ma i rottami, gli acquedotti ed altri avanzi, estesi per un buon tratto di campagna, ci fanno supporre che in seguito al castello siasi aggiunta una città, e che questa sia esistita sino al tempo degli arabi; come il nome attuale di Vito Soldano fa supporre.

A conferma di questa opinione, si può addurre che in questa località fu trovata una Madonna di marmo, attualmente posta nella chiesa madre, evidentemente dell'epoca bizantina.

A Vito Soldano si trovano molti rottami, gli avanzi di un tempio e di acquedotti, molte terrecotte, iscrizioni e monete.

Rahal Kal'at (Casalotti): A tre chilometri da Canicattì, nel luogo chiamato Casalotti, si trovano una gran quantità di rottami e di avanzi di laterizi che fanno supporre antiche abitazioni. Questa opinione è confermata dall'esistenza di alcune grotte funerarie e dalle monete che l'inculto contadino ritrova lavorando la terra.

Diego Corbo, autore delle Notti Sicule, vorrebbe, non sappiamo con quale criterio, porvi la città di Calacta.

Noi crediamo però, e con fondamento, che si tratti di Kal'at (Rahal Calata) dall'Edrisi posto nell'agro canicattinese.

Scavi: In una cava del tronco ferroviario Canicattì Campobello, a destra, presso il chilom. 42 dal mare, aprendosi nel 1878 una cava di pietre, furono rinvenuti vari sepolcri, con ossami e cinque lucerne cristiane. Queste lucerne, insieme ad oggetti preistorici, furono dall'ing. Tabasso spedite al museo preistorico etnografico di Roma.

In altra località lungo la stessa linea, a circa 12 chilom, da Canicattì, presso il chilom. 47 400 aprendosi la trincea ferroviaria, si rinvenne una piccola grotta scavata in un gran trovante di roccia calcare. Vi si rinvennero dentro cinque o sei scheletri umani, e nel mezzo, a pochi centimetri sotto il suolo interrato della grotta, fu accertata l' esistenza di uno strato di cenere, sparsa di moltissimi gusci di lumache e di ossa di animali. La volta della grotta era annerita dal fumo.

Tra i fittili vi era qualche tazza di stile geometrico, nonché qualche vasetto dei così detti corinzi, decorati a figura di animali, taluni altri erano grossolani (certamente di manifattura locale), di argilla non cotta al forno.

Due di questi vasi fittili ripieni di ossa di animali, ritrovati nella grotta, e pezzi di un altro vaso trovato fuori, un piccolo lagrimatoio ed ossa diverso, furono raccolti dal predetto ing. Tabasso, e spediti allo stesso museo preistorico di Roma[DF21] 

 

 

Castello e torre dell'orologio: Il castello sorge nella piazza omonima su di un poggetto. Edificato dal conte Ruggero, trasformato ed ingrandito da Andrea Do Crescenzo, dai baroni di Canicattì abbellito ed arricchito di cimelii ed opere artistiche, oggi è abbandonato ed in completa rovina.

Altrove abbiamo riportato una descrizione dell'armeria che nelle sale terrene di esso si conservava gelosamente. Quest'armeria regalata al re nel 1827, fu collocata nel museo della reggia di Capodimonte (Napoli).

Nella piazza di questo castello sorge la torre dell'orologio antica e solidissima costruzione.

Una leggenda popolare vuole che una volta ivi fosse stato tenuto prigioniero un re.

La macchina dell'orologio è stata cambiata nel 1811 dall'orologiaio Gangi, e nel 1901 dalla ditta Fontana di Milano.

Le antichissime campane servono, oltre che alla soneria dell'orologio a convocare il Consiglio e a segnalare gli avvenimenti cittadini civili e religiosi.

 

Chiesa madre : Fu fabbricata nella metà del secolo. XVIII, a spese del popolo, con largo concorso dei fratelli sac. D. Carlo, vicario foraneo e barone D. Gaetano Adamo dei baroni del Monte e della Grasta, dedicata a san Pancrazio vescovo martire.

Bellissimo tempio di stile rinascimento, con alcune ornamentazioni barocche, a croce latina con cappelle laterali, tre absidi, cupola centrale e cupoletto sulle absidi laterali.

Il nuovo prospetto di questa chiesa, opera dell'illustre architetto comm. Ernesto Basile, è un vero capolavoro.

È degna di nota la cappella del SS. Sacramento, dove osservasi una custodia di legno dorato, lavoro del secolo XV1I, di stile, barocco, con leggiadrissime statuette. La balaustra di questa cappella è di marmo policromo.

Nella cappella dell'Addolorata vi è un preziosissimo reliquiario, dono del cav. Desiderio Sammarco La Torre.

Bellissimi quadri sparsi qua e là nella chiesa; tra i migliori: la predicazione di S.Giovanni Battista, la Natività, la Samaritana, attribuiti a Giuseppe Velasquez, e san Gaetano Thiene, bellissima fattura evidentemente del Patania.

Inoltre S. Maria del Lume, con cornice barocca di legno dorato, la decollazione di S. Giovanni Battista, santa Rosalia, san Gerlando.

Notasi la statua bizantina di marmo della Madonna delle Grazie, deturpata recentemente da una incrostazione policroma ad olio. Però è intenzione dell'attuale arciprete sac. Luigi La Lomia di farne eseguire lo scrostamento da mano di artista.

Buone statue in legno sono quelle di S. Pietro e di S. Maria delle Vittorie.

Nella cappella della Madonna delle Grazie si legge la seguente iscrizione:

 

CAJETANUS BLANDINIUS AGRIG. E.PUS

PALICONIE ORT. III CAL. SEPT. A. MDCCCXXXIV

SACRAM  PROVINCIAM  RITE  LUSTRANS

CANDICATTENI  SANCTISSIME  DECESSIT

XIV CAL. IUN. A. MDCCCXCVIII

CANDICATTINENSEM GENTEM MULTUM ADAMAVIT

REI CATHOLICAE SECUNDUM CONVENTUM

DIE I. II. III. OCTOBR. MDCCCXCVII HIC HABUIT

NETIN, JACENS, CALATANISECTAE, MAZARAE  PONT.

ARCHYPRESB.  PRAESULUM INTERVENTU

GRATI ANIMI ET AMORIS ERGO

NE MEMORIA TANTI  E..PI  IN POSTERUM  LATEAT

CLERUS POSUIT

 

Questa chiesa fu consacrata da mons. fra Benedetto La Vecchia Guarneri, arcivescovo di Siracusa, il giorno di Pentecoste 25 maggio 1874.

 

Chiesa di S. Biagìo: Parrocchia succursale, con buoni stucchi e mediocri affreschi rappresentanti episodi della vita di Gesù. Conservansi ottime tele di S. Luigi, S. Giovanni Nepomuceno, e SS. Crocifisso. È da notarsi una bella statua In legno della Madonna della Consolazione.

 

Chiesa di S. Diego: Parrocchia succursale, di stile rinascimento a tre navate. Bellissimi gli stucchi, pregovolissimi gli affreschi del Guadagnino. Il magnifico prospetto fu costruito nel 1865.

 

Chiesa di S. Francesco d'Assisi: Vi è annesso il convento dei pp. conventuali, ora trasformato in ospedale ed ospizio di mendicità. La chiesa fu edificata nel 1559 e contiene buoni stucchi ed affreschi; la bellissima statua di S. Francesco d'Assisi, capolavoro del Bagnasco, e l'Immacolata, simulacro che suscita la devozione e gli entusiasmi popolari, di cui una leggenda attribuisco il bellissimo volto a fattura angelica.

 

Chiesa di S. Domenico: (già convento dei pp. domenicani. Ampio ed artistico tempio, innalzato nel 1613. Notansi bellissimi stucchi del Signorelli e del Sesta, buoni affreschi, ottime tele de1 Provenzani da Palma, rappresentanti i santi dell'Ordine, la Madonna del Rosario, S. Vincenzo Ferreri, il Bambino Gesù (detto di capo d'anno), e tre statue in legno, capolavori dei Bagnasco.

 

Chiesa dello Spirito Santo: (convento dei frati minori). L'imponente prospetto di questa chiesa è adornato di due statue in terracotta smaltata e policroma, imitazione Luca della Robbia, le quali sono degne di nota perché in Sicilia esistono pochi esemplari del genere. L'interno, a tre navate, è arricchito di molto statue, alcune delle quali ottime, e fra esse quella in marmo di S. Maria Gratiarum della scuola Gaginiana, eseguita nel 1649 a devozione di fra Arcangelo da Canicattì; ed il Gesù Bambino, artistica terracotta colorata. Questa chiesa fu edificata nel 1633 e consacrata da mons. Lanza vescovo di Girgenti il 3 ottobre 1771.

All'ingresso, sulle due pile per l'acqua santa, si leggono i seguenti sonetti, che riportiamo a titolo di curiosità:

 

A sinistra:

Per render conto del perduto tempo

Puoco tempo volerei ho fatto conto

Basta dolermi un punto sol di tempo

Col cuor pentito ed è già saldo il conto.

 

Un punto sol che dona, Dio di tempo

D'ogni altro tempo Dio non fa più conto

Mi preme sol poter aver di tempo

Il punto in cui dole io renda il conto.

 

Questo punto val più di tutto il tempo

E di questo io ne fo cosi gran conto

Che darci per averlo anni di tempo.

 

Signor per render di mia vita il conto

Se mi nieghi tal punto è perso il tempo

Se mi dai questo punto è reso il conto.

 

A destra:

 

Mi chiede il tempo di mia vita il conto

Rispondo, il conto mio richiede tempo

Né di tanto si può perduto tempo

Senza tempo ed error rendere il conto.

 

Non vuole il tempo differire il conto

Perchè il mio conto ha disprezzato il tempo

E perchè non contai quand'era tempo

Invan tempo dimando a render conto.

 

Qual conto conterà mai tanto tempo

Qual tempo basterà per detto conto

A me che senza conto ho perso il tempo.

 

Mi premo il tempo e più m'opprime il conto

E muoro senza dar conto del tempo

E perchè il tempo perduto è fuor di conto.

 

 

Chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo: (Badia) Fondata nel 1650. L'intorno è di stile barocco, con molte statue di stucco; l'abside del Signorelli, di epoca posteriore, è di stile diverso. Bellissimo l'Ecce Homo di marmo policromo. Il marmo, senza alcuna colorazione artificiale, imita a perfezione le lividure e il sangue. Pregevole anche la tela di S. Bernardo di Chiaravalle, di ottima scuola.

Chiesa di Maria SS. del Carmelo: Recentemente edificata, dopo il crollo dell'antica, a spese dei zolfatai, con stucchi e buone pitture In questa chiesa si conserva il miglior quadro della città, che rappresenta la S. Famiglia, cioè la Vergine col Bambino, S. Anna, S. Gioacchino e S. Giuseppe, con l'iscrizione: Monoculus Racalmutensis MDCXXXIII.

 

Chiesa del Purgatorio: Pregevoli gli affreschi e le tele del Guadagnino e la statua del Sacro Cuore, del Bagnasco.

 

Chiesa di S. Giuseppe: Notevole il soffitto di legno a cassettoni e la statua di san Giuseppe, del Bagnasco.

 

Chiesa di S. Rosalia: Vi sono ottimi stucchi e buone tele del Provenzani figlio, da Palma.

 

Convento dei pp. predicatori: ora edifizio delle regie scuole tecniche e delle scuole elementari maschili. È un vasto fabbricato con ampi locali.

 

Convento dei pp. conventuali: ora ospedale e ricovero di mendicità, con spaziosi corridoi e belle sale. È da notarsi una sala operatoria di recentissima costruzione.

 

Palazzo comunale: È di recente costruzione. Ha una vasta sala per le adunanze del Consiglio, decorata splendidamente dagli artisti.milanesi Tavella e Belloni.

 

 

Sul prospetto si leggono le seguenti iscrizioni:

 

AI  PRODI SUOI FIGLI

CANNIZZO CALOGERO

ISAIA GIUSEPPE

MANNARÀ VINCENZO

SGAMMEGLIA GIUSEPPE

CHE NELLE NUOVE TERMOPILI DI DOGALI

IL 26 GENNAIO 1887

AFFERMARONO COL SANGUE

L'ANTICA VIRTÙ  DI ROMA

E I NUOVI DESTINI D'ITALIA

CANICATTÌ

AUSPICE IL CONSIGLIO COMUNALE

QUESTA I.APIDE

CONSACRAVA

IL 14 MARZO 1887

                                                          

                         

 

 

A GARIBALDI LIBERATORE

PERCHÈ VIVA PERPETUA LA CONOSCENZA

ALL'EROE BUONO

CHE TRA IL FRAGORE DELLE NECESSARIE BATTAGLIE

RASSERENAVA L'ANIMA PRESAGA

NELLA VISIONE DEI POPOLI AVVENIRE

ILLUMINATI DALLA SCIENZA

NOBILITATI DAL LAVORO

AFFRATELLATI  NEL CULTO DELLA LIBERTÀ

NEL  I CENTENARIO DELLA SUA NASCITA

IL POPOLO DI CANICATTÌ

IV LUGLIO MCMVII

 

[DF22] 

 

Fontana del Nettuno: (Petrappaulu). Fu edificata dal duca Giacomo I, che volle farne un monumento veramente artistico. Ora però è in uno stato deplorevole: priva d'acqua, vi mancano la vasca e le ornamentazioni, e le due statue sono orribilmente mutilate.

Il regio commissario cav. Antonio Abate di Lungarini, nel 1906, tentò una ricostruzione, aggiungendo una delle cariatidi e la targa con l'epigramma che si conservavano al Municipio. La statua del Nettuno è chiamata dal pubblico «Petrappaulu», quella della Fama   «l'angilu».. Entrambe furono adottate come stemma comunale, dopo che l'antico (quello di casa Bonanno) fu abbandonato.

L'epigramma, scritto, forse, dal medesimo duca Giacomo, è il seguente:

 

NON VAGA PLUS RESONAT TAMEN HINC

IN MARMORE SISTENS

CONTICUIT FAMA EST NAM

LAPIS IPSE LOQUAX.

 

 

Fontana dell'Acqua nuova: Anch'essa edificata dal duca Giacomo I. Le acque che l'alimentano provengono dalla contrada Reda. Gli ultimi avanzi di statue ed ornati deturpati nonché una composizione araldica, furono trasportati al Municipio, in attesa di una sperabile ricostruzione.

 

Teatro sociale: È tuttora in costruzione. I progetti sono opera dell'architetto Ernesto Basile.

Nel 1906 1907 è stato aperto al pubblico con recite di Italia Vitaliani e di Gustavo Salvini.

È sperabile che presto si ripiglino i lavori del prospetto e delle decorazioni.

 

Serbatoio d'acqua: Solida ed elegante costruzione dell'ing. De Angelis.

 

Edifizi diversi: Buone fabbriche si trovano nell'abitato, e degne di speciale menzione sono: i palazzi Bordonaro, Lombardo, La Lomia, Sammarco, Gangitano, Bartoccelli ed altri, nonché i conventi dei pp. minori osservanti e dei pp. cappuccini ed il monastero delle benedettine.

 

Villa Ferriato: Trovasi a pochi chilometri dall'abitato presso la località Casalotti.

Il proprietario barone Francesco Lombardo Gangitano vi ha profuso le maggiori cure facendone un gioiello artistico di grande valore e la sua villeggiatura preferita. Quasi tutti i progetti delle varie costruzioni sono opera dell'illustre architetto comm. Ernesto Basile. Le decorazioni sono dovute a valenti artisti.

Il corpo principale dell'edificio, torrione e torretta, ha la figura di un maniero medioevale, la torre danese con orologio e terrazza coperta contrasta vivamente col resto elevandosi fra il verde del mandorlo e degli aranci.

Ben messe e coltivate le aiuole: modelli del genere sono l'alveare e la casa colonica. Il tutto un luogo di bellezze artistiche e naturali, grato e tranquillo soggiorno.

 

Cimitero: È adorno di bellissimi monumenti marmorei e di severe cappelle gentilizie.

 

Numismatica: Spesso nei dintorni si trovano monete d'ogni metallo, specialmente dell'epoca saracena e romana.

 

 

 

SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI. UOMINI ILLUSTRI.

 

l. Ludovico Leone La Lumia, domenicano. Umilissimo frate, fece risplendere la sua dottrina in una disputa teologica fra gesuiti e domenicani a Roma. Fu valorosissimo professore di teologia dommatica nel seminario di Girgenti nel 1714 e 1715.

Nella biblioteca « Sammarco » si conservano i suoi manoscritti.

 

2. Desiderio Sammarco La Torre. Fu il primo collegiale ammesso a frequenare il celebre collegio dei Ss. Agostino e Tommaso di Girgenti, quando mons. Gioeni lo riapriva nel 1731. Riuscì eminente nella scienza del diritto. Mons. Valguarnera, vescovo di Cefalù, lo chiamò a sé e lo creò suo vicario generale. Lo Scinà ne fa elogio di lui nel suo Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, come personaggio di gran fama e di somma perizia nel diritto.

Pubblicò a Napoli presso i fratelli Raimondi nel 1776, insieme al sacerdote Attardi, un'opera Sulla regalia piena dei re di Sicilia in tutte le chiese vacanti del reame, ossia dissertazione con cui si dimostra, che compete ai re di Sicilia, unitamente colla percezione dei frutti di cui sono in possesso, la collazione benanco di tutti i benefici, che vacano in tempo della vedovanza della chiesa.

Fu arcidiacono della cattedrale di Girgenti.

Amatore di belle arti, raccolse nella sua casa di Canicattì una pinacoteca di gran pregio. I quadri, che si conservano nella madrice attribuiti al Velasquez e la Madonna di Guido Reni nella cattedrale di Girgenti, sono suoi doni.

Morì a 28 luglio 1793, lasciando al pubblico la sua biblioteca privata, che prese il suo nome, ed ai poveri una rendita annua.

 

3. Vito Marco Giuseppe La Lomia, nato a 27 marzo 1767, canonico ed arcidiacono della cattedrale di Girgenti.

Lesse per otto anni dommatica nel seminario di Girgenti, poscia salì la cattedra di teologia morale nel collegio dei Ss. Agostino e Tommaso, tenendola per altri otto anni.

Meravigliosa era la sottigliezza del suo ingegno, onde alle volte compiacevasi di sostenere opinioni singolari pur di esercitare i discepoli nella dialettica. In una causa che ebbe a sostenere la sua prebenda arcidiaconale presso la corte d'Appello in Palermo, dopo che il suo avvocato, il celebre Di Franco, ebbe esposto le ragioni che militavano a pro del suo cliente, questi volle aggiungerne delle altre, e parlò così bene, con tale dialettica e copia di dottrina, che giudici ed avvocati restarono sorpresi, né sapevano persuadersi come in un uomo di chiesa potesse trovarsi tanta scienza di diritto.

Vecchio ed infermo ritirossi in patria, e morì vittima di un'imprudenza:

Mentre trovavasi nella sua villeggiatura di Landolina, avvicinandosi di sera con in mano il lume ad un tavolo ov'era della polvere, questa esplose, e le scottature riportatene gli cagionarono la morte, nel settembre 1843.

 

4. Padre Michelangelo Failla, definitore perfetto dei frati minori conventuali, dottore in sacra teologia e predicatore valentissimo. Salì i primi pulpiti d'Italia: Napoli, Roma, Firenze. Per la sua eloquenza fu soprannominato il Faillone di Sicilia. Morì di anni 52 il 5 aprile 1815.

 

5. Gioacchino La Lomia, ministro di grazia e giustizia e del culto.

Sommo nelle scienze del diritto, occupò via via le maggiori cariche del regno delle Due Sìcilie. Fu tenuto in gran conto dal re Ferdiliando II, che lo volle suo consigliere ed intimo familiare.

Dopo gli avvenimenti del 1848, sotto il governo del principe di Satriano, fu chiamato alla direzione della luogotenenza pei dipartimenti di grazia e giustizia ed ecclesiastico.

Morì nel 1859.

 

6. Ferdinando La Lomia, fratello del precedente, esercitò in Palermo eminentissime cariche nella magistratura e fu consigliere della gran corte dei conti.

Dottissimo nel diritto civile e penale fu un giureconsulto eminente. Morì nel 1859.

 

7. P. Antonio Antinoro dei frati minori osservanti. Nacque nel novembre del 1818 e sedicenne abbracciò il serafico istituto nel convento di S. Lorenzo a Carini. Ordinato sacerdote, acquistò presto fama di valente oratore predicando a Palermo, a Napoli ed in altre città.

Fu vice cattedratico (con esercizio) di storia naturale e di filosofia nel regio liceo di Trapani e professore di filosofia nella R. Università di Palermo.

Sono suoi lavori: una dissertazione sulla S. Eloquenza,, l'opera Sul modo d'incivilire le infime classi (Palermo 1843). Un cenno storico sui progressi della fisica, ed un Trattato di meteorologia. Lasciò manoscritti due volumi di fisica, dei quali faceva sperare la pubblicazione.

Mori' in Palermo il 2 maggio 1856, compianto dalla gioventù studiosa.

 

8. Vincenzo Macaluso, avvocato e giornalista, nato il 31 ottobre 1824.

Nel 1848 fu capitano d'artiglieria nella guerra per la indipendenza siciliana, comandando 'la batteria «Trinacria». Si distinse all'assedio di Messina, e fu il primo fra i siciliani, che passarono in Calabria, per piantare in Villa S. Giovanni la bandiera della rivoluzione.

Venuta meno la quale, con l'aiuto del comitato di Messina, ottenne che una lancia della flotta francese fosse messa a sua disposizione per imbarcarvi i più compromessi rivoluzionari, salvandoli così dalla ghigliottina. Rientrato il Borbone egli fu esiliato.

Nel giugno 1859 inalberò la prima bandiera tricolore tra Comitini ed Aragona. Questo fatto gli fruttò una sentenza capitale. Liberato nel 1860 da Garibaldi dalla Vicaria di Palermo fu subito nominato commissario generale per la provincia di Girgenti. Fu tre volte sottoprefetto, ma venne poscia destituito per le sue idee autonomistiche e repubblicane.

Fondò nel 1861 a Girgenti il giornale «La Pietra » (dalla pietra sulla quale avea inalberata la bandiera nel 1859) che poi trasportò a Canicattì, a Licata, a Palermo, a Firenze a Roma. Diresse Le Forche Caudine, dopo l'arresto di Pietro Sbarbaro. Una sua splendida campagna giornalistica fu quella per protestare contro la tortura dei sordomuto Antonio Cappello, avvenuta nell'ospedale militare di Palermo l'anno 1863.

Fu candidato in vari collegi politici di Sicilia, e morì povero in Roma il 27 dicembre 1893.

 

9. P. Francesco Caro m. o. Nacque nell'ottobre del 1820. Ad undici anni impressionò con la sua facondia S. A. R. Leopoldo di Borbone, ottenendone una grazia. Ammesso tra i frati minori osservanti, fu ordinato sacerdote in Montalto nelle Marche il 21 maggio 1843. Fu professore di sacra eloquenza e dottore in teologia; socio dell' Accademia Volsca e dell'Accademia arcadica peloritana.

Nel 1848 predicò la quaresima a Canicattì e fu anima dei moti rivoluzionari. Arrestato a Trapani durante il quaresimale del 1849, fu tradotto in Palermo e poscia esiliato in America.

Fu parroco in Now York, visitatore apostolico della California, delegato generale di tutta l'America del nord, commissario generale di Terra santa e con breve pontificio del 13 dicembre 1875 missionario apostolico della S. Sede.

Ritornato in Italia si stabilì per poco a Napoli, dove contrasse amicizia con l'alta società cosmopolita.

Fu poeta elegantissimo ed improvvisatore felice. Morì in patria nel novembre 1894.

 

10. Mons. Benedetto La Vecchia Guarneri, arcivescovo di Siracusa. Nacque il 2 luglio 1813. A quindici anni vesti l'abito dei minori osservanti in Alcamo, dove fece il suo noviziato. Studiò filosofia a Palermo e teologia a Napoli, dove fu ordinato sacerdote il 20 maggio 1837. Primo fra trenta concorrenti fu nominato professore di filosofia nel convento di Ara Coeli in Roma. Sostenne su varie Riviste importantissime questioni di filosofia. Trascorsi parecchi anni fece ritorno in Sicilia, dove attese costantemente alla predicazione. Nel 1846, eletto Provinciale della Val di Mazzara, si ritirò in Palermo a reggere con sapienza il convento della Gancia, e nei bollori della rivoluzione seppe difendere i suoi. Ed allorquando i frati furono strappati al chiostro e costretti ad esulare, egli, rassegnato, peregrinò per l'Italia, stando saldo all'urto dei tempi.

Il 23 febbraio 1872 fu da Pio IX preconizzato primo vescovo dì Noto; indi, a 5 luglio 1875, traslato alla sede arcivescovile di Siracusa.

Per lo spazio di venti anni governò con evangelica prudenza ed alta sapienza la chiesa siracusana, amato ed ammirato da tutti. Intanto, sempre al bene dell'archidiocesi, non risparmiò cure né fatiche, talora con pericolo della sua salute, per adempiere scrupolosamente il suo pastorale ministero.

Visse e morì povero, dando ai miseri, quando non aveva denaro, tutto ciò che gli capitava, e spesso il suo letto si trovò senza lenzuola e senza coperta. La sua casa ora aperta a tutti. Rinunciò lusso, carrozze, aristocrazia, ed ebbe sempre parole di conforto, di amore, di pace, verso coloro che ebbero la fortuna di avvicinarlo.

Riordinò il seminario ed egli stesso imparti agli alunni lezioni di filosofia. Scrisse un copiosissimo Commento latino alle «Institutiones theologiae dogmaticae scolasticae et moralis» del p. Domenico Schram, banedettino. Palermo 1860. Nel 1880 pubblicò un trattato di Matematica. Però gli scritti che hanno maggiormente illustrato il suo nome sono gli «Elementi di fisica razionale cristiana » e gli « Elementa philosophiae fundamentalis ».

Morì il 6 marzo 1896.

 

11. Gaetano Antinoro. Nel 1848, giovanissimo, si aggregò ai rivoluzionari in Palermo col grado di furiere. Tornato in patria scrisse per una compagnia di comici e recitò egli stesso un dramma, che fu ripetuto con lusinghiero successo in molti teatri dell'isola. Ottenne la laurea in legge l'anno 1852 ed esercitò in Palermo l'avvocatura. Nel 1856, coinvolto nella congiura del barone Bentivegna e reo di aver ospitato i congiurati in casa sua, fu condannato a morte.

Fuggito a Malta e poscia in Egitto, scrisse una fiera lettera al direttore di polizia Maniscalco.

Fino al 1860 rimase in Egitto e, tornato in patria, fu nominato dal nuovo governo consigliere di prefettura, sottoprefetto ed infine prefetto a Lodi, Caltanissetta, Trapani e Bergamo. Morì in Palermo.

 

12 Salvatore Gangitano, senatore del regno.

Nacque il dì 24 giugno 1828. A vent'anni fu membro attivissimo del comitato rivoluzionario (1848). Dal 1863 al '67, dal '70 al '71 e dal '73 al '75 coprì la carica di sindaco del Comune; dal 1861 al 1892, quasi ininterrottamente, consigliere provinciale e dal 12 agosto 1879 al l° dicembre 1889 presidente del Consiglio della provincia; deputato al Parlamento nazionale per Canicattì rappresentò il collegio nelle legislature X, XV, XVI.

Contrasse in Roma l'amicizia con i principali uomini politici, esercitando grandissima influenza per le sue doti spiccatissime.

Fu grande uffiziale della Corona d'Italia, commendatore dei Ss. Maurizio e Lazzaro e nell'anno 1890 senatore del regno.

Morì in Canicattì il 18 dicembre 1892. A lui è intitolata la R. scuola tecnica.

 

13 14. Ferdinando Gangitano, consigliere di Corte d'appello e Francesco La Lomia, giuroeconsulto valorosissimo, resero onore a Canicattì colla loro dottrina e col loro ingegno circa la metà del secolo XIX.

 

15 16 17. Francesco, Gaetano e Pietro Guadagnino. Tre buoni pittori canicattinesi, vissuti successivamente dalla metà del secolo XVIII al XIX. Del primo, il più valoroso, si hanno ottimi lavori. in Canicattì e in molti paesi della Sicilia. Sono notevoli l'Addolorata nella chiesa degli Agonizzanti, il san Luigi ed il san Giovanni Nepomuceno nella chiesa di san Biagio.

Il secondo ha lasciato le tele della chiesa del Carmine, san Vito e S. Maria di Odigitria.

L'ultimo decorò con magnifici affreschi la chiesa di san Diego ed emigrato in Russia trovò alla corte di Pietroburgo onori e fortuna.

 

18. Diego Corbo, autore delle «Notti sicole, amene, storiche e filosofiche alle vette dell'Etna ».

 

19 20 21. Leonardo Martines, Giuseppe Corbo e Calogero Marotta, poeti vernacoli degni di speciale menzione.

 

22. Sciascia dott. Antonino medico chirurgo, inventore della Fototerapia.

Il dott. Antonino Sciascia nel 1890 scoperse che la luce può applicarsi come mezzo terapeutico ed infatti con un apparecchio speciale si presentò al XIII Congresso dell'Associazione oftalmologica italiana, tenutosi in Palermo l'anno 1892.

Una seconda comunicazione che aveva per titolo: La Fototerapia in medicina e chirurgia e la cura specifica della resipola, presentò al Congresso medico internazionale di Roma l'anno 1894.

Sorprese allora, ma con continue pubblicazioni seguirono molti professori in medicina e chirurgia ad occuparsi della scopertafatta dal dott. Sciascia.

Nel 1897 il Finsen di Copenaghen pubblicava per la prima volta l'uso della Fototerapia, prescrivendo gli stessi strumenti inventati e pubblicati dal dottore Sciascia sette anni prima.

Il Finsen fu salutato l'inventore della Fototerapia ed il dottore Sciascia che non seppe, per modestia, circondarsi di réclame, rimase ignorato nel mondo scientifico.

Ma la gloria dell'invenzione spetta soltanto allo Sciascia, che in varie occasioni e su diversi periodici è stato rivendicato.

Pria che nel mondo medico si parlasse di Fototerapia, il dottore Sciascia aveva ottenuto il brevetto d'invenzione e il dott. Kossonis di Smirne gli avea rivolto una lusinghiera lettera sul giornale «La Riforma » (Roma 6 aprile 1894).

Nel 1902 pubblicava per la Società editrice Dante Alighieri il libro «La Fototerapia».

 

23. La Lumia cav. Emanuele. Uomo politico e poeta di grande valore. Ha scritto moltissimi canti apprezzati da insigni letterati e i pochi saggi concessi dalla di lui modestia mostrano larga e facile vena, grandezza di immagini, di forme e di sentimenti.

 

 

 

Cittadini benemeriti:

 

1. Armonia Filippo, castellano ed amministratore del principe di Cattolica, nel sec. XVII dotò gran parte del suo patrimonio all'antico ospedale del Comune, che venne poi trasformato in collegio di Maria.

 

2. Sacheli cav. prof. Vincenzo. Benemerito dell'istruzione popolare.

Fu direttore delle scuole elementari e indi professore e direttore delle R. scuole tecniche.

Fu amato da tutta la gioventù studiosa per le sue doti di mente e di cuore e per le sue cure paterne amorosamente praticate. Fu prodigo con gli studenti poveri, che aiutò negli studi, e si segnalò come ottimo prosatore, poeta ed epigrafista.

A lui sono intitolate le scuole elementari dei Comune.

Morì il 20 luglio 1903.

 

3. Moncada mons. Carmelo. Fu parroco ed arciprete di Canicattì per circa quarant'anni. Uomo di costumi semplicissimi e di cuore generoso, il suo lungo parrocato fu una continua benemerenza, e nell'epidemia colerosa del 1866, con eroismo raro, assistette e curò gli ammalati, ottenendo dal governo la medaglia dei benemeriti.

Fu arcidiacono nella cattedrale di Girgenti e morì il 2 febbraro 1907, di anni 91.

 

4. Lombardo Gangitano barone Francesco. Benemerito dell'agricoltura e della circoscrizione territoriale.

I suoi vasti poderi sono coltivati con sistemi agricoli razionalí, e i miglioramenti da lui fatti sono stati premiati in diverse esposizioni.

Lottò strenuamente per la riforma della circoscrizione territoriale di Canicattì, non tralasciando alcun mezzo per ottenerla.

Questa classica lotta gli meritò la presidenza della Lega siciliana per la riforma delle circoscrizioni territoriali, nel congresso dei sindaci siciliani, tenuto in sua casa.

È stato più volte presidente e promotore di varie agitazioni politiche locali.

 

 

 

AGRICOLTURA, INDUSTRIA, COMMERCIO ED ARTI.

 

Agricoltura: Il sistema di coltivazione è l'antico, però da alcuni anni si è esteso l'uso dei concimi chimici, specie dei fosfati, nella coltivazione della fava.

Prima la fava, come pianta di rinnovo, ora passiva, oggi dà un rilevante utile sia per l'economia ricavata dal costo e dal trasporto del concime, sia per l'aumentata produzione.

Importante è la coltivazione del mandorlo (cultura arborea), pianta della quale si fa una estesissima piantagione.

Nell'ultimo quinquennio si è rapidamente diffusa la cultura della vite, innestata su vitigno americano, con ottimo successo nei terreni argillosi, i quali hanno acquistato grande valore essendo prima destinati alla coltura del grano con infelici risultati.

Nell'agro canicattinese predomina la piccola proprietà, che si fa valere a colonia parziale. I signori Caramazza, nel feudo Graziano, ed il barone Francesco Lombardo nelle sue proprietà, han messo in uso buoni sistemi di cultura e van facendo continue migliorie. Quest'ultimo, premiato più volto pei miglioramenti agrari, viabilità rurale, case coloniche, sistemi di coltivazione, ottenne la medaglia d'oro nella II. Esposizione agricola siciliana di Catania.

 

Prodotti: Frumento, fave, orzo, sulla (cultura erbacca); mandorle, pistacchi, carrubbe, olive e frutta in genere (cultura arborea).

 

Caccia: Tempo addietro, la caccia ora abbondantissima e non priva di sorprese. Abbondavano gl'istrici, ora quasi scomparsi, e le pernici. Ora rimangono in quantità notevole i conigli.

 

Pastorizia: Per la mancanza di pascoli l'industria pastorizia è trascurata; pure non manca la produzione di formaggi e ricotte. Il formaggio di Canicattì ha una discreta rinomanza ed è oggetto di esportazione.

In alcuni feudi di proprietari canicattinesi vi sono impianti razionali di caseificio.

L'allevamento ovino è esteso.

 

Zootecnia: La produzione equina sembra voglia prendere incremento, quantunque manchi una razza propriamente detta.

Si ha una stazione di monta nei feudi di Gibbesi e Grasta.

Con perseveranza di propositi i signori Lombardo Gangitano, crearono un tipo distinto carrozziero, tenuto molto in pregio da tutti gli ippofìli.

La produzione mulattiera è assai diffusa. tenuta in molto pregio e costa anche cara. Con cure adatte si potrebbe migliorare di molto.

La razza asinina è in vero decadimento; quella però che si distingue per eleganza di forma e per velocità di cammino è la razza di Pantelleria.

La produzione pecorina è estesa ma irrazionale. Non si ha un tipo selezionato che potrebbe, mediante l'allevamento e gl'incroci, darle tutt'altro aspetto.

 

È estesa la razza tunisina, che ha tutti i requisiti commerciali e industriali.

Le capre formano una razza distinta.

Scarso l'allevamento dei suini e poco razionale, poiché mancano le ghiande, cibo considerevolissimo che viene importato dal continente.

In proporzioni limitato è conosciuta l'apicoltura. Si sconosce la coltura del baco da seta.

 

Industrie: Canicattì da diversi anni s'avvia a divenire un importante centro industriale, fornito com'è di stabilimenti ed officine.

L'industria principale è quella dei molini a cilindri.

Stabilimento industriale «Trinacria» di proprietà del comm. Cesare Gangitano. Sorge nel viale Carlo Alberto in  locali spaziosissimi ed eleganti. È mosso da macchina a vapore, che aziona il molino a cilindri perfezionato, la buratteria, l'olieria (con estrazione dell'olio da ardere dalle sanze col sistema dell'alta pressione) e la fabbrica di ghiaccio cristallino.

Stabilimento Acqua nuova per la produzione di sfarinati, con motore a gas povero. È proprietà dei sig.ri Giacinto De Caro e C.

Stabilimento Santa Lucia: Farine, semole, ecc. Motore a gas povero; proprietari: Giuseppe Marotta e C.i.

Pastificio meccanico «San Francesco» per la produzione di paste alimentari, illuminato a luce elettrica e azionato da motori a gas povero; proprietari: Vincenzo La Vecchia e C.

Fabbriche di calce idraulica: Giuseppe La Manna, Fratelli Cuva, Angelo Natale (con motore a gas).

Fabbriche di saponi: Nicolò Narbone e C. (Specialità nella lavorazione di sapone verde); Antonio e Domenico Ruoppolo; Luigi Di Benedetto.

Fabbrica di fiammiferi di legno: Argento e Faldetta.

Segheria meccanica: Vincenzo Lentini.

Officine meccaniche e fonderie: Antonio Giardina, Giuseppe Cigna e figlio, Leonardo Pepe, ed altre.

Altre industrie sono in via di formazione per iniziativa di privati intraprendenti.

La piccola industria ha due specialità: la fabbricazione delle scarpe e quella dei coltelli. Ambedue sono oggetto di esportazione in tutta la Sicilia e in alcuni luoghi delle Calabrie.

Alberghi: Vi sono alberghi di secondo e terzo ordine, con comfort moderno: Hótel restaurant Venezia, Albergo Natale, Albergo Regina Elena, Albergo Palermo ed altri minori.

Commercio: Il commercio è attivissimo e va aumentando sempre più.

Esportazione: Sfarinati, coloniali, saponi, fiammiferi; prodotti agricoli: grano, orzo, fave,, mandorle; zolfo, gesso, calce, ecc.

Importazione: Tessuti, macchine, concimi chimici, ortaglie, latticini e simili.

 

Viabilità: Il Comune è congiunto a mezzo di strade intercomunali e provinciali con Delia, Serradifalco e Montedoro, Castrofilippo, Naro e Campobello.

Una buona rete di strade mulattiere rotabili e di trazzere allaccia le diverse contrade del territorio.

 

Banche e Casse: Banco di Credito canicattinese, Società anonima per azioni.

Banca agricola cooperativa di Canicattì, Società anonima per azioni.

Cassa rurale «San Francesco d'Assisi». Società cooperativa a nome collettivo.

Fiere e mercati: Sabato e domenica in albis; 2 e 3 maggio   (SS. Crocifisso); 1 e 2 luglio (S. Pancrazio); prima domenica di agosto e vigilia (S. Calogero); 15 agosto; ultima domenica d'agosto e sua vigilia (S. Diego); terza domenica d'ottobre e vigilia (SS. Rosario); prima domenica di novembre (S. Giuseppe da Copertino); 12 e 13 dicembre (S. Lucia).

 

Fotografie: E' notevole lo studio fotografico del prof. Giovanni Rao, con deposito e vendita di macchine ed accessori per fotografie.

 

 

USI E COSTUMI.

 

Lo squadrone della real Maestranza: Quando sul principio dell'era moderna, il regno di Sicilia giurava di difendere il dogma dell'Immacolato concepimento di Maria, sino all'offusione del sangue, la corporazione della real Maestranza di Canicattì rispondeva entusiasticamente.

Allora si stabilì di formare uno squadrone, comandato da un capitano, e di portare processionalmente, il giorno della commemorazione dell'Immacolata (Domenica in albis), le armi del castello, che una leggenda popolare diceva essersi acquistato con l'aiuto della Madonna all'assedio di monte Saraceno.

Dopo il 1827 le armi furono sostituite da alabarde e lancie di ferro e sino ai nostri giorni, benché con qualche intervallo, si costuma ancora di fare questa processione.

La vigilia della festa i cosiddetti artiglieri, insieme al capitano, al caratteristico suono dei tamburi, allo sparo di bombe e mortaretti, invitano gli ascritti alla solenne processione del giorno dopo.

La mattina della festa i mastri conducono in giro ciascuno una lancia o un'alabarda, precede il gonfaloniere, mentre in mezzo alla schiera dei processionanti un vessillifero compie esercizi con una bandiera gialla, e il tamburo eseguisce il rullìo speciale per il cadenzato ritmo non appena finiscono le esercitazioni.

Il dopopranzo la corporazione accompagna, con ceri, la processione religiosa.

Anticamente il capitano godeva molti privilegi, fra i quali quello di liberare il giorno della festa un prigioniero.

 

Altre usanze : Caratteristiche sono la lamentazioni funebri della quaresima e della settimana santa.

La vigilia dell’8 dicembre le immagini dei sovrani vengono portate processionalmente  nella chiesa di san Francesco; e a sera si accendono grandiosi falò (vamparotti).

Anticamente si costumava gettare del grano agli sposi in segno di prosperità ed abbondanza.

Si facevano rappresentazioni sacre in costume nelle vie e nelle piazze. Rimangono ancora: l'arrivo dei magi il giorno dell'Epifania e il pranzo alla sacra famiglia (lu san Giuseppi) durante il mese di marza.

 

Caratteri fisici degli abitanti: Gli abitanti sono generalmente di statura regolare, colorito bruno, occhi e capelli castagni.

Il dialetto è rude e caldo.

 

Caratteri psichici: Il canicattinese è intollerante dell' offesa, geloso custode dell' onore, di spiccata operosità.

Non curante di tutto ciò che per lui è indifferente, è solo occupato all'economia domestica, all'aumento della ricchezza mediante il lavoro e l'industria. Ha tratti generosi di ospitalità.

L'intelligenza sviluppata gli consente avere ed agitare delle idee.

 

Tradizioni e leggende: La spada d'Orlando, il tesoro di Vito Soldano, la storia del re turco, sono argomenti preferiti dal popolino.

Orlando, per dar passaggio alle sue truppe, spacca con un sol colpo la montagna che ancor oggi si chiama «la purtedda d'Orlannu»,

            Un gran tesoro è sotterrato a Vito Soldano (Motyum), ed ivi, ogni sette anni, si tiene una fiera incantata nella quale tutti gli oggetti posti in vendita sono d'oro.

Un villano canicattinese andò un giorno a far visita al gran turco, il quale gli domandò se il tesoro di Vito Soldano fosso stato disincantato. Il villano rispose che no, ed il gran turco, di rimando, esclamò: «Povera Sicilia!»

Un altro tesoro è riservato a chi giungerà sulla Serra Puleri senza versare goccia di una boccata d'acqua, attinta alla fonte Cannolelli!

 

Scienza popolare: I contadini usano come medicinali alcune erbe; qualche donna del volgo protende di saper rimettere a posto le ossa slogate e contuse.

 

Spettacoli: La maggiore tendenza è per gli spettacoli drammatici e il teatro delle marionette.

Il paese è molto festaiuolo: i fuochi pirotecnici costituiscono pel popolino la maggiore attrattiva.

 

Alimenti: La cucina canicattinese è semplicissima; si fa un gran consumo di farinacei e di verdura. Il mercato quotidiano è abbondantissimo di generi alimentari, di verdure, di carne d'ogni specie e di pesci.

 

Abitazioni: Le abitazioni sono costruite con pietra calcarea compatta e gesso: da recente si usa la calce con il cimento.

Le abitazioni dei contadini poveri si compongono generalmente di un solo vano, ma gli agiati hanno case a primo piano decentemente arredate.

 

Fogge di vestire: L'antico costume dei contadini è quasi scomparso.

Dapprima si usavano calzoni corti di velluto, calzettoni di lana, giacchetta corta di velluto o panno bleu, berretta di lana pendente sul collo.

Le donne portavano un grembiale di panno verde e la caratteristica mantellina.

 

 

 

RELIGIONE.

 

Clero: Il capo del Clero è l'arciprete parroco; il vicario foraneo è il superiore disciplinare.

Nelle due parrocchie succursali, S. Diego e S. Biagio, l'amministrazione dei sacramenti è affidata a due coadiutori.

 

Santo patrono; San Pancrazio vescovo e martire. Nacque in Antiochia, andò a Gerusalemme per vedere Gesù Cristo, e fu battezzato da san Pietro. Consacrato vescovo in Antiochia fu compagno di san Pietro nella predicazione e mandato in Sicilia approdò a Taormina. Predicò e fe' prodigi; Bonifazio, prefetto della città, e molti cittadini furono da lui battez- zati; ma per opera di Artogato, con replicati colpi di spada ricevette il martirio nel luglio del 40.

A lui è dedicata la chiesa madre. La divozione al santo patrono fu introdotta a Canicattì nel 1453 quando alcuni taorminesi la popolarono.

 

Santo protettore: San Diego d'Alcalà. Canonizzato da Sisto V il 2 luglio 1588.

A Canicattì, nel 1640 se ne celebrava sontuosamente la festa nella chiesa dello Spirito Santo dei FF. M. O.; poscia nella chiesa di S. Sebastiano (oggi S. Diego).

Il breve di Urbano VIII Cum sicut accepimus, chiama la confraternita di san Sebastiano anche col nome di S. Diego: ciò prova che sin da quei tempi S. Diego era il santo protettore di Canicattì. Ciò vien confermato da una lettera di don Giacomo San Filippo, vicario generale di Girgenti del 1576 (1), e da un'altra della Corte vescovile di Girgenti deIl'anno 1621, 8 giugno, nella quale si accordava il permesso della processione della statua[DF23] 

La sua festa si celebra l’ultima domenica di agosto.

 

Altre solenni feste: Tralasciando le meno importanti, data la natura festaiuola del popolo, segniamo qui le principali:

Domenica in albis: Commemorazione di Maria SS. Immacolata; 3 maggio, SS. Crocifisso; ultima domenica di maggio: SS. Annunziata; ultima domenica di agosto: S. Diego; terza domenica di ottobre: SS. Rosario; 8 dicembre: Immacolata Concezione.

 

 

 

Santi, beati, venerabili, ecc.:

 

l. Ven. Fra Domenico Lo Verme, minore conventuale. Uomo di vita innocente e penitente. La tradizione ci narra di lui molti miracoli, tra i quali la bilocazione.

Visse lungamente in Palermo nel convento di S. Francesco, questuando per l'Immacolata e per S. Antonio, dei quali ora divotissimo.

Morì nel 1713 di anni 73 e fu sepolto nella sua chiesa di S. Francesco di Palermo.

Monsignor Gasch, arcivescovo in quel tempo, pose in luogo di deposito il prezioso carpo e cominciò ad istruire il processo di beatificazione.

La sua tomba profanata nel 1860 dai rivoluzionari, fu ricognizionata in seguito dal cardinale Celesia.

 

2. Fra Antonio Nocera, terziario dei frati minori. Nacque nel 1561. A vent'anni vesti le serafiche lane e cominciò a menare una vita penitente e perfetta. Nel 1631 il provinciale p. Antonio da Trapani, otteneva da Urbano VIII la licenza di fabbricare un convento in Canicattì, e fra Antonio Nocera fu incaricato di iniziare e compire l'opera.

Durante la fabbrica Dio volle illustrare con miracoli la santità del suo servo e la tradizione ci ricorda parecchi prodigi.

Morì santamente il 10 ottobre 1644, e fu sepolto in luogo distinto, sotto l'altare maggiore della chiesa fabbricata da lui con tanto amore. Quando nel 1898 si pavimentò a nuovo il sancta sanctorum, nel riparare la volta della sepolture fu visto, quasi incorrotto, e fu raccolto in una decente cassa di zinco.

 

3. Sac. d. Elia Lauricella nato a Racalmuto. Già maestro di spirito nel seminario di Girgenti (1763).

Uomo di molta perfezione e pieno dì ardente zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, allorché Mercurio Teresi da Montemaggiore, ed Arcangelo Blandini da Palagonia formarono una congregazione di sacerdoti missionari, che con la loro dottrina e pietà santificarono in quell'epoca la Sicilia; il Lauricella abbandonò il seminario e loro si uni nelle fatiche dell'apostolico ministero. Fu confessore delle moniali di Palma Montechiaro e visse a lungo in Canicattì, dove morì santamente l'8 novembre 1780, di anni 72.

È sepolto nella chiesa degli agonizzanti.

 

4. P. Francesco Lombardo, cappuccino, di vita austerissima, fu maestro dei novizi e portò a perfezione, spirituale i suoi discepoli. Morì con grande fama di santità in Termini Imerese nel principio del secolo XIX.

 

5. P. Gioacchino La Lomia cappuccino. Nacque il 4 marzo 1831. Spinto dalla vocazione, abbandonando nobiltà e ricchezze, vestì le lane del povero cappuccino nel convento di Girgenti il 12 novembre 1852. Fu ordinato sacerdote in Palermo il 2 giugno 1855.

Nel 1868 fu destinato a Rio do Janerio nella missione del Brasile.

Qui comincia la sua vita veramente apostolica, non tralasciando fatiche per portare ai selvaggi la civiltà cristiana.

   Fu nominato cappellano delle truppe imperiali e nella guerra col Paraguay (1865), accorse sul campo di battaglia, curando i feriti, e assistendo i moribondi.

Nel 1880 ritorna in patria e fonda il convento della Madonna della Rocca.

Un nuovo campo è qui aperto alle sue apostoliche fatiche: fa missioni in molti paesi dell'isola, tanto da esser chiamato l'apostolo della Sicilia.

Morì la sera del 30 luglio 1905.

I suoi funerali furono un'apoteosi e mai fu visto a Canicattì un popolo così straordinario piangere le virtù di un santo.

 

 

 

Chiese :

 

Chiesa madre, dedicata a S. Pancrazio vescovo e martire[DF24] 

Chiesa di san Biagio. Parrocchia succursale[DF25] 

Chiesa di S. Diego. Parrocchia succursale.

Chiesa di Maria SS. degli Agonizzanti.

Chies  di S. Francesco d'Assisi.

Chiesa di S. Domenico (già del convento dei pp. predicatori)[DF26] 

Chiesa di Maria SS. del Carmelo, già del convento dei pp. carmelitani[DF27] 

Chiesa di S. Edoardo.

Chiesa di S. Lucia

Chiesa del monastero dei Ss. Filippo e Giacomo[DF28] 

Chiesa di S. Giuseppe, con annesso collegio di Maria[DF29] 

Chiesa del convento dei frati minori (Spirito Santo)

Chiesa del convento del cappuccini. Madonna della Rocca[DF30] 

Chiesa del SS. Redentore (in costruzione nei nuovi quartieri).

 

Chiese rurali: Purgatorio (in contrada Rinazzi) ; Madonna dello Grazie (in contrada Gulli); Oratorio pubblico del barone La Lomia (in villa Giacchetto); Oratorio pubblico del cav. Gioacchino La Lomia (nel feudo di Cazzola); Madonna dell'Aiuto (contrada omonima, diocesi di Caltanissetta).

 

 

Associazioni e congregazioni religiose:

 

l. Confraternita di S. Sobastiano (nella chiesa di San Diego).

2. Confraternita del SS. Salvatore (nella chiesa dello Spirito Santo).

3. Confraternita di S. Biagio.

4. Confraternita di M. SS. degli Agonizzanti.

5. Confraternita del SS. Rosario (chiesa di S. Domenico).

6. Confraternita della S. Croce (chiesa del Carmine).

7. Confraternita della S. Famiglia (chiesa. di san Nicolò).

8. Confraternita di S. Edoardo.

9. Confraternita di S. Barbara.

10  Terz'ordine dì S. Domenico.

11. Terz'ordine  di S. Francesco (nelle chiese di S. Francesco dei conventuali, S. Spirito dei frati minori, Madonna d. Rocca dei cappuccini)

12. Terz'ordine agostiniano (S. Biagio).

13. Pia Opera del Suffragio (Purgatorio).

14. Pia Unione delle figlie di Maria.

 15. Pia Unione delle madri cristiane,

 16. Figlie del S. Cuore.

 17. Opera del pane di S. Antonio, (nelle chiese di S. Francesco e S. Spirito e nell'Istituto del Boccone del Povero).

 

 

Tradizioni e leggende sacre:

 

I. Le armi dell'Immacolata, poste nel castello:

Narra il popolano:

Quando il conte Ruggero assediava monte Saraceno, i soldati, desiderando terminare la battaglia e vincere prima del tramonto del sole, rivolsero fervorose preghiere all'Immacolata, ed il sole si fermò nel suo corso fino a che, ottenuta la vittoria, poterono conquistare le armi saracene, che collocate su un carro da buoi, furono portate al castello dì Canicattì.

Un'altra lezione dice, che le armi furono trovate da alcuni contadini, i quali pregarono l'Immacolata di S.Francesco, perché il sole si fermasse, permettendo così i lavori d'escavo prima di notte e che il sole si fermò.

 

II. La Madonna di Gulfi:

Un contadino pascolava i buoi in contrada Gulfi, presso la fontana del Paradiso. Ad un tratto i buoi inginocchiatisi rifiutarono di andare avanti, indicando le roccia. Il contadino, avvertito per tal mezzo della presenza di qualche cosa di sacro, con l'aiuto di alcuni suoi compagni , scavando la roccia, ritrovò una grotta con un'immagine della Madonna delle Grazie dipinta sul sasso. La grotta fu trasformata in chiesetta ed ogni anno vi si celebra la festa.

III. Antonio Di Blasi Testalonga, il famigerato bandito, mosse ad assaltare il monastero delle benedettine. Un vecchio venerando dalla lunga barba bianca (S. Benedetto) gl'impedì col pastorale l'entrata nella badia.

IV. Un'altra leggenda, come abbiamo detto altrove, attribuisca agli angeli la fattura del volto della statua dell'Immacolata.

Il frate scultore, che la lavorava, rapito in estasi, dopo la comunione trovò la statua miracolosamente completata.

V. Un ladro che tentava derubare dai gioielli la prodigiosa immagine, fu messo in fuga dal miracoloso suono della campana.

 

 

IGIENE.

 

Media dei morti nell'ultimo decennio n. 680.

Canicattì ha sottosuolo asciutto ed esposizione ad oriente difeso dai venti di tramontana e completamente di quelli di ponente, ha perciò condizioni climatiche che impediscono lo sviluppo delle malattie contagiose.

L'igiene si è molto avvantaggiata dell'abbondanza di acqua potabile.

Ogni anno fra i contadini e gli zolfatai avvengono molti casi di malaria, contratta in località appartenenti ad altri territori. Però la mortalità per inalarla è minima, poiché la assistenza sanitaria è efficace e la somministrazione gratuita del chinino, anche prima della legge contro la malaria, è stata sempre abbondante.

I bambini, in estate, per la cattiva ed incongrua alimentazione, ed in inverno per il pregiudizio di tenerli molto coperti con pannolini ed indumenti pesanti, dànno il maggiore contributo a stabilire la percentuale dei morti, sebbene in complesso la percentuale sia abbastanza bassa.

 

MORALITÀ.

 

Le condizioni morali della popolazione, data l'aumentata istruzione, sono migliorate di molto, quantunque in generale gl'instinti primitivi non sono ancora totalmente domati.

In un impeto d'ira il canicattinese dimentica tutti i buoni propositi e commette reati di sangue.

Frequente il pascolo abusivo e piuttosto rari i furti (consumati d'ordinario durante i periodi di disoccupazione o di carestia).

Da alcuni anni le statistiche giudiziarie segnano una notevole diminuzione de' reati in genere.

 

 

ISTRUZIONE.

 

Istruzione elementare: I locali scolastici sono alcuni adattati nell'ex convento di san Domenico, altri in stanze prese in affitto; mancano quindi in alcune aule le condizioni igieniche necessarie al buon andamento della scuola.

Però è prossima la costruzione di vari padiglioni scolastici, secondo le norme moderne, sia per la didattica che per l'igiene.

Il personale insegnante che disimpegna conlode la ima missione è composto di 60 individui

Frequentano le scuole maschili 1162 alunni, e le femminili 1118.

Le scuole serali sono frequentate da 334 alunni e le festive da 132 alunne.

Patronato scolastico: Sorto in quest'anno 1907 con un comitato di dame patronesse si propone sommnistrare agli alunni poveri oggetti di vestiario e materiale scolastico.

La refezione scolastica è stabilita a spese del Municipio.

Istruzione secondaria Canicattì ha una R. Scuola tecnica, fondata il l. gennaio 1864 con circa 130 alunni. Essa è corredata di una bella sala di disegno, un gabinetto di scienze naturali, una bibliotechina, una palestra gin- nastica ed un elegante giardino.

Collegio di Maria: Fu fondato da mons. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti, in corso di sacra visita nel febbraio del 1737.

Scopo dell'istituto è l'istruzione elementare la civile e la religiosa alle fanciulle ed inoltre l'ammaestramento nei diversi lavori donneschi di ricamo, cucito, ecc.

È retto da suore collegine, sotto la regola del card. Corradini.

Prima del 1860 Canicattì era provveduta di scuole pubbliche, mantenute dall'Università, dove s'impartiva l'istruzione primaria e 1a secondaria fino all'umanità e all'eloquenza.

Biblioteca «Sammarco»: Fondata dal cavaliere Desiderio Sammarco nel 1783.

Ne è amministratore il fidecommissario dell'Opera pia Sammarco, che è per dísposizione testamentaria del fondatore, il parroco pro tempore di Canicattì.

Da gran tempo chiusa al pubblico, la biblioteca si sta riordinando e sarà riaperta subito al pubblico ed i privati concorreranno alle spese necessarie per il rifornimento di nuovi libri.

Attualmente consta di circa duemila volumi, alcuni manoscritti e pregiati incunaboli.

 

Stampa, tipografie, ecc.: Ottime sono le tipografie esistenti nel Comune, fornite di macchine e tipi moderni.

Sono degne di menzione quelle di Alfonso De Castro, Vinc. Sedita e Giuseppe Cigna e C.

Hanno avuto vita in Canicattì diversi giornali: « La Pietra », « Pensiero ed Azione », « La Luce », « Il Risveglio » democratico cristiano, «La Folgore socialista », « Il Popolo Siciliano », politico letterario illustrato, il « Bollettino della lega contro le decime », « La Bohème », umoristico; attualmente si pubblica  «La Folla » giornale socialista.

I più importanti giornali politici quotidiani dell'isola e del. continente hanno a Canicattì buoni corrispondenti.

 

 

MERCEDI, PREVIDENZA, ASSISTENZA PUBBLICA, BENEFICENZA.

 

Mercedi: La media della mercede giornaliera dei lavoratori è di L. 2 circa. Nel periodo della mietitura aumenta fino a 4 e 5 lire.

 

Cooperazione: La Cassa agricola « Sacro Cuore di Gesù » oltre al credito esercita la cooperazione di produzione e lavoro.

I tentativi di cooperative di consumo, fatti dai cattolici e dai socialisti, per questioni ambientali, non hanno potuto attecchire.

Le cooperative di credito, che abbiamo sopra notate, sono in condizioni floridissime; le Banche fanno anche  operazioni su pegno.

Società di mutuo soccorso: l. « La Redenzione del lavoro » tra murifabbri, scarpellini e braccianti.

Mutua assistenza fra zolfatai.

 

Ospedale: È diretto dalle religiose Serve dei poveri dell'Associazione del Boccone del povero, ed è amministrato da una Cominission(11 di cittadini eletti dal Consiglio comunale.

I locali sono spaziosi e ben messi. Di recente s'è costruita una sala operatoria secondo i nuovi dettami della scienza e dell'igiene.

 

Ricovero di mendicità: Ospita in media 55 invalidi. A questo istituto è annesso un orfanotrofio femminile che racchiude cinque orfane di padre e di madre ed è sostenuto da una rendita lasciata espressamente dalla signora Anna Maria Corsello. Altre 20 orfanelle sono mantenuto dalla carità cittadina.

 

Ambulatorio medico chirurgico: È sussidiato dal Municipio e dalla beneficenza cittadina. I medici chirurghi si alternano a vicenda nella cura degli ammalati poveri.

 

 

AMMINISTRAZIONE.

 

Uffici pubblici residenti nel Conwne:

 

Municipio

Pretura mandamentale

Ufficio di conciliazione

Tenenza dei RR. Carabinieri

Comando di battaglione

Agenzia delle imposte dirette e del catasto

Ufficio del registro e demanio

Magazzino dei tabacchi

Delegazione di P. S.

Brigata delle guardie di P. S.

Esattoria e tesoreria comunale

Ufficio postale e telegrafico

Uffici Dazio consumo.

 

 

Sindaci e RR. Commissari che hanno rappresentato il Comune dal 1860 ad oggi:

 

1860    Bartoccelli barone Gaetano.

1861    Gangitano Federico.

1862    Scozzari Gerlando, Commis. str.

1863-67 Gangitano Salvatore.

1868-69 La Lomia cav. Emanuele.

1870    Gangitano Salvatore.

1871    Caramazza Giuseppe.

1872    Sclafani Giacomo, Comm. prefett.

1872    Testasecca Pietro.

1873-75 Gangitano Salvatore.

1876-80 Lombardo Salvatore.

1881-85 La Lomia cav. Emanuele.

1886    Bevacqua Proto comm. Paolo, R. C.rio

1887-90 Lombardo Gangitano cav. Nicolò.

1891-92 Sammarco Giuseppe.

1892-93 Falcone avv. Vincenzo,

1894    Stella dott. Nicolò.

1895-96 La Lomia barone Agostino.

1897    Ferri rag. Raffaele, Comm. prefett.

1898    Perito avv. Vincenzo    »

1898    Vaccaro rag. Giuseppe            »

1898    Lalìa avv. Vincenzo, R. Commiss.

1898    Miccio Carmine, Commiss. prefett.

1898    Rossa cav. dott. Vincenzo, R. Com.

1899-901 Gangitano cav. Enrico.

1902    Gangitano avv. Giacinto.

1902    Perricone d.r Ferdinando, Com. pret.

1902    Palumbo Cardella av. Ernesto, R. C.rio

1903    Antinori not. Vincenzo: Pro sindaco.

1903    La Lomia dott. Antonio.

1904   Caramazza prof. Francesco.

1905    Portalone Adamo Luigi.

1906    Palermo di Lazzarino rag. Francesco, Commis. prefett.

1906    Abate di Lungarini cav. Ant., R. Com.

1906-907 Rao Gaetano.

 

 

Consiglio comunale: È composto di numero 30 membri.

 

Imposte locali: Focatico, sulle bestie da tiro, sui domestici, sulle vetture.

Servizi municipali diversi: Esiste un ufficio tecnico municipale per la sistemazione delle strade, la redazione di progetti e perizie, diretto da una ingegnere; un gabinetto per l'analisi chimica diretto dall'ufficiale sanitario e dal veterinario.

Le principali strade urbane sono inghiaiate, le secondarie selciate, le esterne sono inghiaiate, e le vicinali selciate o naturali.

La fognatura è incompleta e non del tutto razionale.

La città è provvista di acquedotto che deriva le acque dalla sorgente Savuco, per un percorso di km. sette. Ha una portata di poco più di sei litri in tempo di magra: vale a dire 360 litri al minuto.

La rete di distribuzione interna è piuttosto vasta, ma non comprende la parte alta dell'abitato per ragioni di livello.

 

Numerose fontanine, parecchie bocche d'incendio nelle vie principali, acqua a chiave libera negli edifici pubblici, a bocca tassata nelle case private.

L'edilizia è stata un po' trascurata, ma ora si va notando un certo risveglio, tanto per opera del municipio, che per opera dei privati: tanto, nei riguardi estetici, quanto negli igienici.

Il municipio ha preparato ed ha in corso di approvazione un regolamento edilizio, un nuovo regolamento igienico, il progetto di un grande edifizio scolastico e quello di diverse importanti opere di risanamento.

Vi è una banda musicale privata sussidiata dal municipio, fondata l'anno 1868 dal maestro Montelepre, diretta dal maestro Giuseppe Ginex, e dal sostituto Salvatore Russo.

 

 

CIRCOLI RICREATIVI.

 

Sono aperti nel Comune diversi ed eleganti Casini di compagnia.

l. Casino dei civili.

2. Casino dei negozianti « Umberto I ».

3. Circolo operaio.

4. Società murifabbri.

5. Società zolfatai.

 

 

STEMMA MUNICIPALE.

 

Anticamente il Comune aveva per suo lo stemma della famiglia Bonanno: un gatto nero passante in campo d'oro, col motto: « nec sol per diem, neque luna per noctem». Nel periodo rivoluzionarlo del 1848 il Comune assunse per stemma: la Trinacria ed un'aquila.

Oggi lo stemma è d'azzurro, diviso: nel 1° la Fama, e nel 2° Nettuno, ambedue d'oro. Corona di città.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA.

 

Amico Vito   Lexicon topograficum Siculum

    »   Dizionario topogr. di Sicilia, traduzione e note di G. di Marzo, Palermo 1855.

AMARI Michele   Storia dei musulmani in Sicilia.

   »   Biblioteca arabo sicula.

   »      Carte comparée de la Sicile.

ANNALI di statistica industriale pubblicati dal ministero di agricoltura industria e commercio (Direzione generale della statistica) fasc. LX. Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Girgenti.

ANNUARIO ecclesiastico della diocesi di,Girgenti.

APRILE  Francesco   Cronologia universale di Sicilia.

ATTARDI p. Bonaventura   Sul monachismo in Sicilia.

ATTI dei censimenti della popolazione del regno negli anni 1861, 1871, 1881 e 1901 pubblicati dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, (Direzione generale della statistica).

ATTI della Giunta per l'inchiesta agraria, volume XIII.

BALDACCI Lorenzo   Descrizione geologica dell'isola di Sicilia.

CAETANI   Vitae Sanctorum Siculorum.

CARAFA    Storia.

CARNE VALE   Storia di Sicilia.

CARTA TOPOGRAFICA del R. Istituto geografico militare, alla scala 1: 50,000 foglio 267, II.

CARUS0   Memorie storiche.

CASACCIO   Sulla famiglia ROSSI

CHIESI Gustavo   La Sicilia illustrata.

CORBO Diego  Notti sicule, amene, storiche e filosofiche alle vette dell'Etna.

DE BURIGNY   Storia generale di Sicilia.

   »     Descrizione geografica di Sicilia.

DI        BLASI   Storia dei viceré.

DI        GREGORIO Rosario   Considerazioni sulla storia di Sicilia.

DI        PUMA Pietro   Annuario della diocesi di Girgenti.

EDRISI   Geografia.

FAZELLO Tommaso   teche.

GIOIA p. Agostino   Vita di Fra Antonio Nocera.

GIORNALE  «Il _Risveglio»   Diversi articoli su Canicattì dei dottori Giuseppe Antinori Rizzo, e Luigi La Vecchia. Altri articoli raccolti in opuscoli su la questione territoriale di Canicattì.

GUARINO AMELLA Giovanni   La questione territoriale.

LA LUMIA arc. Luigi    Vita di S. Pancrazio.

LAURICELLA cav. Antonio   Storia del Seminario di Girgenti.

LAURICELLA dott. Ferdinando   Ricerche storiche su Ravanusa.

MAGGIORE sac. Nicolò   Compendio della storia di Sicilia.

MALATERRA Goffredo    Storia.

MARSALA (da) p. Gaetano  Vita di S. Diego.

MASSA G. A.  Della Sicilia in prospettiva.

MUGNOS   Teatro genealogico.

NOTIZIE DI SCAVI, Rivista   Anni 1878 e 1879.

ORTEGA Giuseppe  Diario (manoscritto).

PANCRAZI   Antichità siciliane.

PICONE Giuseppe  Memorie storiche agrigentine.

PIRRO Rocco   Sicilia. sacra.

PITRÈ Giuseppe   Biblioteca delle tradizioni popolari.

PUGLIESE Vito   Geografia.

SACCO   Dizionario geografico di Sicilia.

TAVOLA poliometrica delle distanze in chilometri tr1 a i         Comuni della prov. di Girgonti, compilata dall'ufficio del Genio civile il 10 maggio 1808.

VILLABIANCA (marchese di) Sicilia nobile.

 

 

 

 

INDICE

 

INTRODUZIONE.

 

BIBLIOGRAPIA.

 

NOTIZIE STATISTICHE:

 

            Circoscrizione del Comune.

            Distanze dai capoluoghi

            Popolazione del Comune

            Emigrazione

            Elettori

            Stazione ferroviaria

 

GEOGRAFIA FISICA E BIOLOGICA

            Area

            Configurazione

            Geologia.

            Idrologia.

            Sottosuolo

            Clima

            Flora

            Fauna

 

STORIA

 

ARCHEOLOGIA, MONUMENTI ED OPERE ARTISTICHE, EDIFICII NOTEVOLI .

 

SCIENZE, LETTERE E BELLE  ARTI. UOMINI ILLUSTRI. CITTADINI BENEMERITI .

 

AGRICOLTURA, INDUSTRIA, COMMERCIO ED ARTI:

            Agricoltura

            Prodotti.

            Caccia .

            Pastorizia

            Zootecnia

            Industrie

            Alberghi

            Importazione ed esportazione

            Viabilità.

            Banche e Casse

            Fiere e mercati

        Fotografie           

 

USI E COSTUMI:

 

Lo sqadrone della real Maestranza                 

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RELIGIONE:

            Clero

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            Altre solenni feste

            Santi, beati, venerabili, ecc.

            Chiese

            Associazioni e congregazioni religiose »

            Tradizioni e leggende sacre

 

MORALITÀ

 

ISTRUZIONE:

Istruzione elementare.

Patronato scolastico .

Istruzione secondaria .

Collegio di Maria

Biblioteca «Sammarco»

Stampa, tipografie, ecc.

 

MERCEDI. PREVIDENZA, ASSISTENZA PUB     BLICA, BENEFICENZA:

                        Mercedi.

                        Cooperazione

                        Società di mutuo soccorso

                        Ospedale

                        Ricovero di mendicità

                        Ambulatorio medico chirurgico

 

AMMINISTRAZIONE:

Uffici pubblici residenti nel Comune.

Sindaci e RR. Commissari che hanno rappresentato il Comune dal 1860 ad oggi

Consiglio comunale.

 

 

 

CIRCOLI RICREATIVI

 

STEMMA MUNICIPALE

 


 [DF1]Gli egregi ch.o Giovanni e Alfonso Tropia, col concorso dei signori Calogero Sacheli e avv. Giovanni Guarino Amella, furono collaboratori per questa monografia di Canicattì; ed io sento il dovere di manifestar loro la mia gratitudine per l'aiuto apprestatomi. Eguali sentimenti di gratitudine li manifesto anche per l'ottimo mio amico Rosario Narbone Falcone, che si interessò grandemente per la pubblicazione della monografia del suo paese natio e mi fornì le fotografie per le illustrazioni di essa.

N. d. D,

 

 [DF2]Atti dei censimenti della popolazione del regno negli anni 1861, 1871, 1881, 1901 pubblicati dal Ministero di agricoltura, industria e commercio (Direzione generale della statistica).

Nel 1798 la popolazione di Canicattì ascendeva a n° 16355 abitanti, nel 1831. a 17484, nel 1852 a 17789.  Secondo il risultato dei registri dell'anagrafe alla fine del 1937 gli abitanti erano 30270.

Rilevasi che le operazioni del censimento 1881 furono male eseguite, e perciò figura  una diminuzione della popolazione in confronto al censimento fattosi precedentemente.

 

 

La superficie territoriale del Comune è di ett. 5563, corrispondenti ad are 22 e centiare 25 per abitante.

Emigrazione: È piuttosto scarsa. Si nota da alcuni anni un sensibile aumento.

Elettori: Sono iscritti nelle liste elettorali: politica n° 2016; amministrativa n° 2122, commerciale n° 439.

Stazione ferroviaria più prossima al Comune: È l'omonima sulle linee Siracusa Licata Girgenti e Palermo S.Caterina Girgenti, importantissimo centro di diramazione per Aragona Caldare, S. Caterina Xirbi e Licata.

È in costruzione la nuova linea Canicattì-Naro.

1 Assai sviluppato è il traffico di importazione e di esportazione per i cresciuti bisogni del Comune, per le industrie sempre progredienti e per le produzioni agricolo e minerarie. 19 in progetto l'ingrandimento della stazione e la costruzione di nuovi binari.

La stazione è dentro l'abitato; il viale Carlo Alberto, dove trovansi importanti magazzini di deposito, lo stabilimento industriale «Trinacria» e moltissime abitazioni moderne rimangono al di là.

 

 

 [DF3]Questi rilievi furono eseguiti l'8 agosto 1833 ed ebbero effetto il 12 settembre 1846. Oggi però s'impone una nuova revisione del catasto per le molteplici migliorie agricolo di recente fatto nel territorio, per lo impianto di nuovi mandorleti e vigneti, e per la cresciuta viabilità delle campagne.

 [DF4]L'avv. Guarino Amella ci fa osservare che il Picone ha qui ragione perché esistono ancora Kattà e Mizzaro presso S. Angelo Muxaro.

 [DF5]Dott. Luigi LAVECCHIA, nel «Risveglio»   Anno II. N. 28

 [DF6]Rahal Carrici  (della terra alberata) forse ex feudo Corrìci.

Rahal Kattá (del picconiere) vedi etimologia.

Rahal Gibelaterras (del tessitore) sotto Naro.

Rahal Solumi (nome proprio) sei miglia ad ovest.

Rahal Kal'at (castello) forse Casalotti.

Rahal Gariel (in una delle sponde del Naro).

Rahal Henisot (contrada medesima).

Rahal Garangifuni (contrada medesima).

EDRISI Bibl. arabo sicula

 [DF7]«Rogerius, Dei gratia, Comes Trinachriae. Grata, et accepta servitia praestita per Vos Nobilem, et circumspectum Virum Salvatorem de Palmerio, Primogenitum Benedicti de Palmerio, Barones nostrae in partibus Normanniae, qui vestris sumptibus, et cxpensis cum octuaginta Equis, Nobis, et nostrae Curiae bene servistis; Et propter duellum noviter factum inter te, et Melciabilem Mule Pcrfidum Baronem, Ostem nostrum, vivum Caput obtruncasti, et illud nobis praesentasti, cum suds laethalibus vulneribus victoriam obtinuisti; Dignus laude, et praemio: Ideo damus, et concedimus tibi, Haeredibus, et Successoribus tuis in perpetuum Castra, et Fortilitia, quae habobat dictus Melciabilis Mule, nomine potentiarum, et Castellorum, cum omnibus, et singulis suds justis juribus, et pertinentiis; Concedimus item insignia Leonis Albi, cum Arbore Palmarum in Campo Azzurro, in medio. Unde ad certitudinem veritatis fieri fecimus praesens Privilegium, nostra propria menu signatum. Datum Agrigenti Die I. Mensis Martii 6. Ind. 1069. Comes Rogerius Rolandus».

 [DF8]CASACCIO, Sulla famiglia Rossi, pag. 54.

 [DF9]Archivio comunale di Canicattì, vol. 1847, fase. 7,

 [DF10]Archivio comunale. loc. cit.

 [DF11]Vedi Archivio comunale.

 [DF12]Nel 1875, eseguendosi alcuni lavori stradali in quei pressi, si rinvennero vestigia delle fabbriche e la cupoletta del campanile, sepolti forse da qualche frana e dal materiale derivato dallo spianamento del luogo ove fu poi fabbricato il monastero.

 [DF13]«Cum sit chi in la terra di Cannicattini si fazzano grossi arbitrii de massarizi per esser loco frumentario et per non esser in la dicta terra più che un molino etc. supplica per quisto la Excellentia Vostra si digni donarli licencia chi detto spettabili, Ioanni Battista Bonanno, Barone di Cannicattini, possa fabbricari detti molini... onde meglio li verrà comodo con pagari la Riconoscenza alla Regia Corti etc».

(Dal privilegio del Duca Medinaceli, dato a Messina il 7 Dicembre, VIII Ind. 1565).

 [DF14]Oltre queste statue eranvi ancora una Venere ed alcuni mezzobusti di poeti e guerrieri.

 [DF15]Qui lo scrittore sbaglia, poiché lo stemma in questione era una composizione araldica, risultanto dagli stemmi delle varie famiglie successe nella signoria di Canicattì, insieme agli stemmi della madre e della moglie di Giacomo. Questo stemma conservasi al Municipio.

 [DF16]Nell'archivio parrocchiale trovasi il libro dei morti dell'anno 1726, ove è notata questa sentenza capitale. Assieme allo Sferlazza furono impiccati i suoi compagni Antonino Cacciatore da Girgenti e Sigismondo Lauretta d’Aragona; i giustiziati furono assistiti dalla congregazione di Maria SS. delle Grazie, detta dei Bianchi, e sepolti nella chiesa di S. Calogero.

 [DF17]Amico, Lexicon, voce Canicattì.

 [DF18]Si racconta che re Ferdiriando abbia allora detto: «Questo paese offrirà meglio». Che la sua induzione siasi avverata, è chiaro!

 [DF19]Lettera del V. Pres. F. De Luca, 8 marzo 1848, nell'archivio municipale di Canicattì.

 [DF20]La conciliazione avvenne nella casina dei pp. a. agostiniani, nell'allodio di Rocca di Mendola, con atto steso dal cay. Caratozzolo e firmato dagl'intervenuti.

 [DF21]Notizie degli scavi d'antichità comunicate alla R. Acrademia dei Lincei per ordine di S. E. il Ministro della pubblica istruzione, febbraio 1878, pag. 73 e agosto 1$79 pag. 231.

 [DF22]La prima di queste iscrizioni fu dettata dal cav. Vincenzo Sacheli, la seconda da Mario Rapisardi.

 [DF23]Archivio comunale di Canicattì.

 [DF24]Nel 1725 vi fu fondata e dotata dal principe  di Cattolica, don Giuseppe Bonanno e Bosco una Comunia con sei mansionari, quattro sopprannumerari e due supplenti con  l’assegno di ducati tremila, come per atto del notar Vincenzo Piazza di Canicattì, rogato il 4 maggio 1725.

Mous. Anselmo La Pegna con bolla del 6 novembre 1715 la erigeva canonicamente insignendo i mansionari di almuzio.

 [DF25]Vi è annesso il convento dei pp. agostiniani, dove ha sede il vicario generale della Congregazione di S. Maria del Bosco.  [DF25]

 [DF26]Fondata nel 1709.

 [DF27]Fondata nel principio del secolo XVIII.

 [DF28]Badia delle monache benedettine, eretta dal barone di Canicattì nel 1650.

 [DF29]La, casa ov'è il collegio, in origine fu l'ospedale civico, fondato da Pietro Armonia; essendo stato questo abolito, mons. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti, in corso di sacra visita, con decreto 10 febbraio 1737 ne destinò le rendite ed i locali alla fondazione dei collegio di Maria.

 [DF30]Vi è annesso il convento dei cappuccini fondato nel 1880 da p. Gioacchino La Lomia.


solfano@virgilio.it

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