Alfonso e Giovanni Tropia,
Canicattì, monografia estratta dal Dizionario illustrato dei Comuni siciliani,
Palermo 1908
Canicattì
Da Licata più con la ferrovia ci
si accosta a Canicattì, migliori si fanno le condizioni del paese.
Oltrepassando Campobello, si
offre alla vista un paesaggio meraviglioso, allietato da un verde perenne. Le
colline si succedono le uno alle altre, l'occhio spazia lontano, scorgendo al
termine dei Campi Geloi, visione radiosa di bellezza e di classiche memorie: i
monti agrigentini, simbolo di lavoro umile e forte; Nissa e i paesi della
solfatara. Il mandorlo, l'olivo, i vigneti, i pirati degradanti dai monti al
mare attraggono l'attenzione del viaggiatore, per trasportarla, dopo una svolta
del treno, dinnanzi il panorama dì Canicattì, laboriosa ed industre.
Canicattì è posta sul declivio di
un monte e di varie colline ed ha la forma di un grandioso anfiteatro; la
collina, sulla quale è la stazione ferroviaria, può essere paragonata alla
scena: la piazza grande e la parte bassa alla platea, e il resto alla
gradinata, salendo sempre sino a 500 metri circa dal livello del mare.
Il panorama che si gode dall'alto
è veramente pittoresco e grandioso:
A S. la fulgentissima Naro, a
fianco dei caratteristici Pizzi di Giummello, i monti a piè dei quali scorre il
Salso; Campobello; e più lontano il mare di Palma e di Licata. Ad E. Delia e il
suo castello, Sommatino, il monte Formaggio, i monti di Barrafranca. A NE. il
monte Bardaro e la Serra Puleri, i monti di Nissa, lontano Castrogiovanni, Calascibetta
e l'Etna gigante.
Canicattì è situata a 37°, 20’ di
latitudine 37°, 30' di longitudine, e dista dal mare circa 20 km.
Coronato è in alto di faggi e
cipressi, verdeggiante di frequenti giardini; la massa bianca delle case si
differenzia ora per una facciata rossastra di chiesa, ora per un elevato edifizio.
Nella sinistra nereggia selvoso di mandorli e carrubbi il Bardaro, mentre
immediatamente segue il dorso nudo ed arsiccio del cuneiforme Puleri e ad
oriente, su colline basse ed azzurre, il paesaggio si perde fra le nebbie
frequenti e lontane del Salso ai monti Erei. Ma a destra. i proni colli che
tendono verso occidente, recingono l'incantevole vallata dove scorre il fiume
Naro, valle piena di memorie e di poetiche leggende, dove Motium e Ducezio si
confondono nell'agile fantasia del popolo con l'Orlando delle saghe paesane riferentisi
al periodo arabo e Roggero, l'inclito paladino, è tutt'uno con l'eroe normanno.
A mezzodì la valle è recinta da lunga catena ondeggiante di Colline, cui sta a cavaliere
la rupe detta Pizzi di Giummello, fantasticamente torreggiante. Nella valle,
che ha recenti vigneti, predomina l'elegantissimo mandorlo coronando le rupi,
ai cui piedi abbondano fontane; lungo i corsi d'acqua verdeggiano pioppi ed
incontri i vecchi mulini ora assai trascurati. Ma dalle arenose colline, per
ciò dette Rinazzi, poste dirimpetto al paese, spazia l'occhio ad oriente e ad
occidente: quindi dai colli di Girgenti alla montagna di Cammarata e dal cono
solitario del S. Paolino, villaggi e città: quindi dalle Serre di Grottarossa
tino a San Giuliano di Caltanissetta, ai cui piedi è la città, l'occhio spazia
su un esteso orizzonte libero e infinito, che dai monti del Salso va fino
all'ultime colline che chiudono i Geloi, ed alle marine di Palma e Licata. Ma a
mezzodì del paese, alto alto, sulla cresta d'un monte brullo, rossiccio, si delineano
le ultime case e due chiese della vetusta baro, ora lucente nel solo del
meriggio, ora recinta i fianchi di nuvole nere.
Canicattì è ornata di belle strade,
fra le quali primeggiano il corso Umberto, il corso Garibaldi, la via
Risorgimento, il viale Regina Margherita, il viale Regina Elena, il corso
Vittorio Emanuele, la via Nazionale, la via XX Settembre e la via Duca degli Abbruzzi.
Nome degli abitanti secondo la
denominazione ufficiale: Canicattinesi, secondo la pronunzia locale: Caniattinisi.
Canicattì è distante da Girgenti
(capoluogo di provincia e di circondario) km. 36
Popolazione secondo i risultati
dei censimenti
Anni 1861 - 20149 1871- 20704 1881
- 19678 1901 – 24687
GEOGRAFIA FISICA E BIOLOGICA.
Area: La superficie territoriale
del Comune è di ett. 5,563. Il territorio del Comune secondo i dati del
catasto, è di palmi q. 262, così diviso
Configurazione: Il
territorio del Comune è accidentato e sparso di varie colline, la superficie è
tutta di, terreni produttivi, mancano i pascoli, abbonda la coltivazione del
grano avvicendato con la fava, e in molti luoghi con la sulla (rotazione
triennale fava, frumento, orzo o timilia). Le alture ed i terreni calcari sono
piantati a mandorlo, la cui coltivazione è ormai diffusa in tutti i terreni che
si prestano, piantato regolarmente a distanza variabile tra i sette e i dieci
metri, ritraendo altresì la produzione erbacea del suolo. Le maggiori
elevazioni sono di circa 600 metri dal livello del mare (monti Bardaro e Puleri).
La configurazione del territorio
è, irregolare, prolungantesi a triangolo verso il nord (ex feudo Giardinelli),
mentre dagli altri lati la linea di confine è vicinissima all'abitato. Il
territorio ha subìto uno spostamento nel 1838, quando ispirandosi alla
convenienza di non obbligare i contribuenti a recarsi in luoghi molto lontani pel
pagamento del tributo fondiario, una legge disponeva, doversi i fondi allibrare
nel catasto di quel Comune cui erano prossimi; ed allora furono compresi nel
catasto di Canicattì vari feudi e tenute sino a quel tempo appartenute a Naro,
a Girgenti ed a Caltanissetta; sicché approvato con ministeriale del 18 marzo
1840 le operazioni catastali compiute, il catasto di Canicattì risultò
costituito di ett. 13363. Ma queste op~ioni furono fittizio e le cose
ritornarono al pristino, stato.
Geologia: Il terreno è di
formazione terziaria con affioramenti e stratificazioni di calcare tenero e qua
e là compatto, con alquanti banchi di gesso. In qualche località (Rinazza) si
hanno calcari sabbiosi quaternari, raramente conchigliferi; nel resto del
territorio abbonda l'argilla, in altri punti la marna (trubi). In contrada Fruscola
ed altrove miocene superiore e strati a congerie (gessoso solfifero).
«Dal monte Pernice di Naro si
stacca una diramazione di rocce dell'epoca solfifera, che acquista una larga
esposizione presso Canicattì. Tutto attorno a questa città e a nord di essa si
scorgono delle colline calcaree abbastanza elevate, delle quali le più
importanti sono il monte Bardaro (652 m.) e il monte. Grotta rossa (657 m.) a
NE. Gli affioramenti calcarei formati dalle creste di forma ardita e,
frastagliata si spingono da un lato fino ai dintorni di Delia, . racchiudendo
una vasta regione di trubi; Canicattì è per la maggior parte edificato sui
calcari dell'epoca solfifera, sui quali riposano, a nord dell’ abitato, dei
banchi di gesso, in parte sulle marne a foraminifere.
« A SE. di Canicattì i trubi
s'immergono sotto le argille azzurre plioceniche, che sono ricoperte da un
banco pianeggiante di tufo, calcareo, sul quale posano a loro volta le sabbie
giallo subappennine, formando le contrade dette Piano del Purgatorio e Grappara:
. a sud di questo altipiano i trubi emergono di nuovo e sono traversati in gran
parte dalla linea ferroviaria. Di sotto ad essi _spuntano qua e là degli
affioramenti di calcare solfifero, dei quali il più esteso , è quello del feudo
Spagnuolo » .
Idrografia: Non vi sono
fiumi, ma torrenti d'una certa importanza, confluenti tutti del fiume Naro, i
quali mettono in moto circa 15 molini idrici. Le principali fontane d'acqua
potabile ottima sono: Corrice, Balata di Russi, Gulfì di Trabia, Savuco, Capo
d'acqua, Ricotta, Casalotti, quasi tutte con la servitù dei detti molini
appartenenti alla signoria di Canicattì. La forza idraulica disponibile è
discreta e potrebbe utilizzarsi per altre industrie.
In contrada Sant'Anna esisteva un
piccolo lago, prosciugato verso la metà del passato secolo. Esistono varie
sorgenti d'acque sulfuree (mintini).
Sottosuolo: Il sottosuolo è
asciutto e contiene in abbondanza gesso, marna, zolfo. Canicattì è un
importante centro solfifero. Le miniere Palumba, Deliella e Fruscola dànno una grande
produzione annua. Esistono cave di pietra ottima per costruzione di selciatura.
Clima: Il clima è
saluberrimo, e si mantiene sempre temperato.
Per la sua speciale esposizione
ad oriente, Canicattì è difeso completamente dal venti di ponente; i monti di Bardáro
lo difendono un po' dalla tramontana. Predominano i venti dell'est nebbia (Mungibiddisi),
ed i venti del sud. La nebbia è rarissima, quasi sconosciuta. Nel territorio
non vi sono zone malariche. Le campagne vicine sono indicatissime per stazioni
climatiche ed i monti per sanatori di mezza montagna.
Flora: La vegetazione
arborea più diffusa è il mandorlo (amigdalus communis) che forma la principale
risorsa; abbondano gli ulivi (olea europaea), le piante prunacee, il pesco (prunus
persica), i fichi, i fichi d'india (opunzia ficus indica), gli agrumi: aranci,
limoni, mandarini, da alcuni anni la vite (vitis vinifera) cultura che erasi
abbandonata per la filossera, che aveva distrutto gli abbondanti vigneti.
Fra le piante erbacee: il
frumento (triticum sativum), la fava (vica faba), la
sulla (hedysarum coronarium),
l'orzo (hordeum vulgare), l'avena (avena, saliva). I piselli (pisum sativum), i
ceci ed altre piante leguminose. In molti luoghi del territorio abbondano le
more selvatiche. Si coltiva il sommacco che dà un importantissimo reddito
annuo.
Lungo i torrenti crescono le
canne ed una grande varietà di pianticelle erbaceo ed ortensi.
Fauna: La fauna domestica contagli
equini, animali largamente rappresentati con allevamento esteso e razionale.
Pure estese sono le razze ovine e bovine, nonché gli animali da cortile;
numerosi sono gli animali di razza mulattiera, scarsi i suini.
La fauna selvatica stazionaria e
migratoria conta: conigli, lepri, gatti selvatici, istrici; e fra i volatili:
passeri, tordi, quaglie, pernici,
ecc.
STORIA.
Non si hanno notizie esatte sui'nomi
assunti in passato dal Comune. Nella geografia dell'arabo Edrisi, tradotta da
Michele Amari, si trova citato il nome di Canicattì colla parola Al Quattà (il
tagliatore di pietre). Secondo il geografo arabo Al Quattà dista da Al Minzar (Castrofilippo)
verso mezzogiorno dieci miglia. Da Naro a Canicattì pel settentrione 10 miglia.
L'Amari, traducendo questo passo,
in una sua annotazione dice: «Basta premettere a questo nome la voce ayn
(fonte) per approssimarsi al nome di Canicattì, grosso Comune, la cui postura
torna a quella data dall'Edrisi».
Non si rimuove l'Amari da tal
supposto per la lezione Canticattini, che corre nel censo feudale del 1408, la
quale, porterebbe a supporre il nome arabo di Handag attin (fossato,
d'argilla). La designazione in sembra piuttosto aggiunta dai notai del secolo decimoquinto,
svanita di recente dalla lingua del popolo; d'altronde in siciliano l'accento
sull'ultima, soggiunge l'Amari, rappresenta spesso la ayn finale.
L'avv. Picone, nelle sue Memorie
storiche agrigentine, crede che Al Quattà sia da cercare in Cattà, casale del
vescovo di Girgenti, secondo un diploma del 1093; ma questo luogo si trova
presso Raffadali, dove torna a maestrale di Girgenti e non a levante, come risulta
chiaro da questo e da altri passi di Edrisi.
E notisi che il Picone traducendo
questo passo cambia in tramontana il ponente che si .legge nel testo, là dove è
indicata precisamente la posizione di Girgenti rispetto ad Al Quattà. Confermo adunque,
così conclude lo storico del Vespro, la designazione, di Canicattì
In una carta della Sicilia antica
sotto l'impero dei saracani si trova al posto di Canicattì la parola Hada gattin,
e in un'altra dei tempi normanni invece Canticattini.
La lezione Canticattinum la
troviamo nel Dizionario di Amico, nella storia di Giuseppe Carnevale e nel Carafa.
Si riscontra la voce Canicattini nel Fazello, nel Rocco Pirro e nel Mugnos,
come pure Candicatti e Cannigattì nella «Sicilia in prospettiva», Calycadnis e Canicattis
nella geografia di Vito Pugliese.
Nel Fazello (tom. I. pag. 98)
troviamo Ianticati, ciò che non si díscosta dal radicale arabo Al Quattà. Vito
Pugliese crede che la voce Canicattì derivi da Chanicat ebraico, che vuol dire instructus
ad arma.
La verità di tutte queste lezioni
non deve far meraviglia per la differenza che si riscontra nelle lingue dei
popoli che dai saraceni in poi hanno abitato e dominato l'isola nostra. Così il
dott. Luigi La Vecchia
Il dott. Giuseppe Antinori Rizzo
vorrebbe trovare Canicattì nel luogo chiamato dall'Edrisi Heniset (Chiesa). Un
supposto popolare, senza serio fondamento, fa derivare Canicattì da canne
cattive.
Di Canicattì nelle origini,
nulla: l'oscurità dei tempi e l'incuria paesana si sono associate nell'opera
distruttrice.
Per avere qualche notizia corta,
bisogna arrivare alla conquista normanna. Sotto i saraceni l'agro dove sorse il
paese, dovè avere, senza dubbio, molti casali e molti castelli, come rilevasi
dalle macerie sparse qua e là, che il popolano accenna, raccontando
antichissimo leggende e tradizioni; ma la storia tace. In questo periodo,
facilmente sorgevano. castelli, che venivano poi abbandonati per le lotte
intestine del popolo arabo; e l'arabo Edrisi ne fa fede, ponendo nell'agro Canicattinese
i seguenti casali: Rahal Cagrici, Rahal Gennini, Rahal Kattà, Rahal Gibilaterras,
Rahal Solumi, Rahal Calata, Sibene, Rahal Karroel, Rahal Heniset, Raha1 Garangifuni
Correva l'anno 1061, allorché
Ruggero sbarcava a Messina; vincitore, proseguì alla conquista di tutta l'isola
e dopo la celebre battaglia di Cerami, che assicurò l'imperio delle armi
normanne, si mosse verso Girgenti insieme al duca Roberto. Non credette però
opportuno assediarla e mosso verso Palermo, donde, ritornato una seconda volta
ed espugnata Girgenti, debellò gli arabi di monte Saraceno. Monte Saraceno era
forse l’avanzo dell'antica Ibla Nera; che Tucidide pone nel territorio di Gela,
città assai forte e ben munita presieduta da Melciabile Mulè signore di
Canicattì e Ravanusa.
Ruggero, dice il Cajetanus, oppugnabat
eam dura obsidione e i soldati normanni, estenuati dalle fatiche, dal caldo e
dalla sete, ínsultavano i saraceni chiamandoli vili e solo atti a combattere
dietro le mura.
Ma lo strenuo valore del Melciabile
Mulè mal poteva sopportare l'insulto, ed egli scese in aspra tenzone con tal
Salvatore Palmeri.
Pugnò invero da valoroso qual
era, ma fu vinto, presentato morente al conte Ruggero e decapitato.
Salvatore Palmeri, primogenito di
Benedetto fu commilitone e cugino del conto Ruggero e lo seguì nella campagna
di Sicilia con ottanta cavalieri equipaggiati a sue spese. Si distinse per
moltissimi atti di valore e rese importantissimi servizi al cugino; ma ciò onde
ne venne grandissima lode e beneficio a lui e a tutti i suoi eredi fu il
narrato duello con l'emiro saraceno Mulè.
Ruggero, infatti, com'era suo
costume, ricompensò il cugino donandogli i beni posseduti dal motto signore,
con privilegio dato in Gírgenti il 1° marzo 1089
E si vuole che gli abbia in quell'occasione
donata ancora la sua spada, conservata poscia gelosamente nel castello di
Canicattì.
È opinione di, molti storici che
questo, castello esistesse sin da quei tempi, anzi un manoscritto, che si
conserva nell'archivio municipale di Canicattì, lo dice addirittura fabbricato
dal conto Ruggero. Gustavo Chiesi dice che il conte ivi siasi fortificato; e
ciò non è improbabile, poiché il luogo ove sorge il castello è un punto
strategico importantissimo, posto com'è sulla via da Girgenti a Castrogiovanni,
via necessariamente battuta da Ruggero, per le sue operazioni strategico
militari.
Il cav. Casaccio
dice che i principali feudi del Melciabile Mulè erano Canicattì e Ravanusa.
Nel 1089, dunque, Canicattì era
posseduta da Salvatore Palmeri, congiunto del conte.
Da quell'epoca sino al 1393 più
nessun cenno di Canicattì, forse per la sua poca importanza, forse perché
chiamato con altro nome.
Nel 1393 nei libri regi si trova
che Canicattì ora posseduto da Luca Formoso, nobile agrigentino, il quale prese
parte alla congiura di Andrea Chiaramonte, signore di Girgenti, contro
l'autorità di re Martino.
La ribellione di Andrea Chiaramonte,
sorta a Girgenti per sostenere i dritti di Gilforte Rieccobono, vescovo
nominato dal papa, in opposizione a Pietro De Curtibus, vescovo nominato dal
re, ebbe un esito esiziale: Girgenti in iscompiglio ed i beni di Andrea
confiscati.
Ma il potentissimo barone
insorgeva con lo aiuto dei suoi partigiani, e negavasi di ottemperare agli
ordini di Lodovico Montaperto, castellano del re. Alla pertinacia dei ribelli
il re rispose confermando la confisca, e finalmente a 1 giugno 1392 colla
decapitazione in Palermo di Andrea Chiaramonte. Per poco a Girgenti sottentrò
la calma, poi che nel luglio 1393 i ribelli superstiti si lanciarono sui beni
del vescovo catalano Do Curtibus, e su quelli della chiesa. Martino a 1 agosto
1393 confiscava i beni dei ribelli e comandava che quel prelato ne fosse fatto
indenne.
Fra i ribelli si trovava Luca
Formoso, signore di Canicattì, al quale fu confiscato il castello e la
signoria. Costui, intollerante. della confisca, si unì agli altri baroni, ed a
Guglielmo Peralta, che fu il primo ad insorgere; ma l'impresa ebbe esito infelicissimo:
ché il conte d'Agosta, sceso da Palermo a combattere gl'insorti, li debellò a Castrogiovanni;
e a Naro fu costretto a punirli a viva forza. Il Formoso fu allora carcerato
assieme al figlio. Poco dopo però, domandò ed ottenne perdono dal re; e per
privilegio di remissione, a 8 maggio 1400 fu reintegrato nella signoria di
Canicattì, come per fede estratta dalla regia cancelleria del regno dal pro
maestro e notaro Vincenzo d'Alessandria
Nel 1408 si trova Canicattì in
possesso di Salvatore Fulco Palmeri, già signore di Ravanusa.
Fulco o Fulcone Palmeri fu in
Naro un potente barone, che possedeva il feudo di Milicia e i tenimenti di Forana,
Spadafora, Ravenza, Cugno di Dama, Migitello, Ragusetta, Aimona, lo stretto del
fiume Salso, nonché i tenimenti di Monterosso, Maligi, le saline e le tonnare
di Trapani. Ebbe due figli: Antonio e Filippa. Ad Antonio assegnò la baronìa di
Canicattì, ed a Filippa altri beni, riserbando per sé il casale e feudo di Ravanusa,
che poi perdette perché ribelle.
Intanto dalla vicina città di Girgenti,
sua patria, andò a domiciliarsi in Naro, Andrea De Crescenzio, nobile
discendente dell’antica famiglia dei Crescenzi di Piacenza. Egli sposando una
nipote di Fulco Palmeri, figlia di Filippa e Tommaso Crispo, comperò dallo zio
Antonio, vecchio cadente e senza figli, per onze duecentocinquanta, la terra di
Canicattì, divenendone signore. L'atto fu stipulato il dì 12 novemb. 1448 in
notar don Salvatore Piazza di Gìrgenti, e per esso passò al De Crescenzio la
proprietà del castello e feudo, «esente di «ogni,peso, tutto in esso esistente:
vigne, palmento, giardino,, fiumara, alberi, acqua, e tutto in esso territorio
esistente giusta i confini descritti, in detto contratto. Fra gli altri patti
era anche quello che le armi di Palmeri non si possano levare dal castello »
Quest'atto fu ratificato da
Simone di Bologna, arcivescovo di Palermo, presidente del regno, con
privilegio, dato in Palermo addì 9 settembre 3 ind. 4453. Con questo privilegio
si investiva il De Crescenzio e suoi eredi del castello e feudo di Canicattì
colla clausola dell'infra merum, nempe quod major natus minoribus fratribus et coeredibus
suis ac masculis foeminis praeferantur, e sotto il dovuto servizio militare di onze
venti per ogni cavallo armato, secondo gli annui proventi di esso feudo.
Aumentavano, i bisogni del paese,
si accresceva la popolazione, onde il Crescenzo chiese ed ottenne dal re
Giovanni di Aragona la facoltà di allargare i confini. Il privilegio dato in
Palermo a 3 febbraro 1467, attesi alcuni servigi dal De Crescenzo prestati al
re, accordava la facoltà di potere
Una tradizione ci racconta che furono
immigrati molti taorminesi, i quali fecero sì che si eligesse a padrono il loro
primo vescovo san Pancrazio, discepolo di san Pietro; ed a lui dedicarono la
chiesa parrocchiale, situata sotto l'attuale chiesa di santa Barbara
Andrea De Crescenzo, può dunque
dirsi il secondo fondatore di Canicattì: e da quel tempo il paese cominciò
sempre a progredire divenendo, da casale trascurabile, un importante contro di
popolazione.
Dal matrimonio di Andrea De
Crescenzo con la nipote di Fulco Palmeri, nacque Giovanni Crescenzo. Succeduto
al padre, egli fu un vero benefattore di Canicattì; a lui si deve l'apertura di
nuove strade, il restauro e l'ampliamento del magnifico castello baronale.
Antonio non ebbe figli maschi,
bensì due femmine: Ramondetta e Blanca o Liandra. Ramondetta fu data in isposa
a Calogero Bonanno, Liandra a Girolamo, entrambi figli di Cesare, nobile caltagironese,
figlio di Giacomo, maestro razionale del real patrimonio.
A Calogero fu costituita in dote
la terra di Canicattì, ed a Girolamo quella di Ravanusa. Morta Liandra, senza
eredi, fu ereditiera Ramondetta e per essa Calogero Bonanno, che divenne allora
barone di Canicattì e Ravanusa, e che, dopo espletate le formalità che allora richiedevansi,
per la bufera suscitata inquei tempi da Giovan Luca Barberio, fu confermato, e
nel 1507 decorato del potere delle armi.
Nel 1514 fu mandato in ambasceria
a Ferdinando il Cattolico, per chiedere il trasporto della zecca da Messina a
Palermo; ed in quell'occasione fu decorato dal re del Cingolo militare.
Da Calogero Bonanno e Ramondetta
nacque Filippo, il quale, nella minore età rimase orfano di padre; e Ramondetta,
divenuta vedova contrasse in Naro un secondo matrimonio con Angolo Lucchese.
Filippo, alla morte della madre,
ebbe lunghe e criminali contese col padrigno, che poi continuarono con Giovanni
Antonio Palagonia, prossimo parente del Lucchese, pei quali litigi il Palagonia
fu costretto a vendere lo stato di Camastra ed il feudo di Dammisa.
Filippo Bonanno, dice il Mugnos,
fu in Naro un cavaliere assai spiritoso: non vi fu festa né giuoco a cui egli
non intervenisse; si dilettò oltremodo di vendicarsi dei suoi nemici. Una volta
venne a combattimento nella rodea di Terranova contro Vassallo Gravina, signore
di Belmonte e Ganzeria, che mise in fuga coi, suoi; piacentesi di cavallereschi
ludi, diede un famoso saggio di destrezza e di perizia.
Ordinò con cura l'armeria del
castello, abbellendola d'ogni sorta di militari ornamentí e principalmente
cavallereschi d'argento e di oro, di comune e di gigantesca statura: scudi,
elmi, spade, puntoni, schioppi, meraviglie tutte dell'arte medioevale.
Filippo fece parte di,
un'ambasceria a Carlo V.
In quei tempi il paese progrediva
sempre: eransi costituiti regolarmente gli uffici della Università, un
esercizio per la sicurezza pubblica, un magistrato e due mazzieri tutti alla
dipendenza del castellano, che allora era certo Martino Cutaia. Il castellano
era nominato dal barone e ne faceva le veci.
Il castellano Cutaia mise in
opera ottimi provvedimenti per impedire la diffusione della peste scoppiata a Raffadali
e Mezzoiuso (1525).
Filippo Bonanno sposò in Siracusa
Eleonora Platamone, dalla quale ebbe Giambattista, che gli successe nella
baronia di Canicattì.
Giambattista Bonanno, barone di
Canicattì, fu in Siracusa maestro segretario della regia camera.
Canicattì allora continuava a
progredire; cresceva la sua popolazione e il commercio, onde Giambattista
ottenne dal viceré duca di Medinaceli, la facoltà di aprire nuovi molini e di
usare le acque per la forza dei medesimi
Dal matrimonio di Giambattista
Bonanno con Isabella Rocca nacque Filippo II, il quale pensò di dilatare Ravanusa;
ma prima, per potere esercitare legalmente i diritti feudali, giusta il sistema
allora vigente, aveva bisogno della ricognizione regia, perché così si facesse
un riconoscimento dei pesi e del rilevio. Fra i pesi vi era quello del servizio
militare, venendo considerati i feudi come stipendio di tale servizio.
Filippo II si affrettò a chiedere
conferma di quei privilegi che gli furono concessi il 18 gennaio 1557.
In quei tempi radunavasi di tanto
in tanto il parlamento siciliano per legiferare ed offerire i così detti
donativi ai re lontani. In esso i baroni di Canicattì occupavano il 17' posto
nel braccio feudale.
Il paese allora dipendeva dal
governatore militare della comarca di Naro, cui prestava 3 cavalieri e 17
fanti.
Da Filippo e da Antonia Colonna,
signora di Montalbano, naclue in Siracusa Giacomo.
Giacomo I ebbe dotati la baronia
«propter nuptias» e ne prese investitura a 8 giugno 1619. Morta la madre sua
ereditiera dello Stato di Montalbano, Giacomo ne fu creato duca, con privilegio
di re Filippo III di Spagna, dato a Madrid il giorno 8 agosto 1623.
Era Giacomo un duca
studiosissimo, gran protettore degli artisti e dei letterati, e letterato egli
stesso. Scrisse una pregevolissima storia della sua Siracusa, compose
bellissimi epigrammi e forse è suo quello che si legge sulla fontana del
Nettuno nella gran piazza.
Adornò il paese di molti pubblici
ed eleganti edifizi, aprì una bellissima passeggiata sulla via che va a Naro,
innalzò tre monumentali fontane, adorno di statue marmoreo di ottima fattura.
Di queste opere crediamo utile riportare dalle cronache del tempo la
descrizione:
«Due sono le piazze commerciali,
altra ornata di un fonte di marmo di Genova, abbondante in acque, con una
statua di Mercurio, detto « la ninfa di Burgalini»; altra più grande, nella
bassa regione, nel cui contro sorge più elegante fonte a tre ordini, adorno
d'una vasca, della statua di Nettuno, di altri emblemi, e sull'alto di quella
della Fama, che sembrano meraviglie dell'arte; sparge acque in abbondanza ed è
chiuso da cancelli di ferro; sul confine della città, verso mezzogiorno
stendesi per circa un miglio una larga via che va a Naro, da entrambi i lati
chiusa da alberi verdi ed opachi, che nel principio ha una fonte cospicua di
marmo abbondante in acqua, nel mezzo un'altra più magnifica verso ponente , con
le statue di Adamo ed Eva
con obelischi, monete, statue di fiere, e lo stemma della famiglia Bonanno
immensa vasca accoglie le acque, dove nutronsi de' pesci; cui succede amenissimo
verdeggiante orto: i quali monumenti nell'altra via ed insieme nella piazza,
avendo nel 1630 a spese suo fondato il duca Giacomo, dove giustamente
appellarsi il novello fondatore di Canicattì ».
Nei suoi viaggi, Giacomo I, contrasse
amicizia col cardinale Pietro Crescenzio, dalla cui famiglia egli riconosceva
il retaggio della terra di Canicattì.
Nell'anno 1621 comprò dalla real
Corte, per onze 6000, il mero e misto imperio, colla facoltà di popolare e di
imporre tasse.
Sposò Antonia Balsamo, figliuola
ed erede del marchese di Limina e Roccafiorita, dama religiosissima, co'
soccorsi della quale il servo di Dio fra Antonio Nocera costruiva il convento
dello Spirito Santo dei frati M. O., che inauguravasi solennemente il 2 luglio
1633.
Da questo primo matrimonio
nacquero due figli: Pietro e Filippo.
Alla morte della prima moglie
contrasse un secondo matrimonio con Lucrezia Marchesana di Catania, ma non ebbe
altri figli. Mori l'anno 1636, lasciando al primogenito Pietro la signoria.
Pietro Bonanno e Balsamo, primo
principe di Roccafiorita, e barone di Castellammare del Golfo, per le sue
grandi ricchezze, fu ammesso ai primi onori della nobiltà. Nel 1648 ottenuto un
privilegio reale, creò a suo spese una compagnia di cavalleria di cento soldati
borgognoni, albanesi ed alemanni, per la guardia del viceré, a condizione che
egli, sua vita durante, ne fosse il capitano.
Pietro non ebbe alcun figlio dal
suo matrimonio con Violanta Notarbartolo, onde il dì 15 settembre 1661 fu
investito il nipote Giacomo, figlio di Filippo e di Anna Crisafi.
Giacomo negli anni 1658 e 1663 fu
governatore della compagnia della Pace. La sua unione con Francesca Marini e Graffeo,
figlia di Francesco I, duca di Gratteri, fu allietata dalla nascita di un
figlio, al quale fu imposto il nome di Filippo (terzo nella serie dei signori
di Canicattì).
Filippo III, successo al padre
Giacomo, contrasse matrimonio con la cugina Rosalia Bosco, figlia di Francesco
principe di Cattolica, cavaliere d'Alcantara e prefetto della milizia siciliana
e Tommasa Gomez de Sandoval, sorella di Giuseppe, cavaliere della SS.
Annunziata e maggiordomo di Vittorio Amedeo di Savoia. Questo importantissimo
matrimonio fu per la casa Bonanno l'inizio di una maggiore grandezza. Ed
essendo la madre, Rosalia Tommasa Gomez di Sandoval sorella di Rodrigo duca de Infantados,
viceré di Sicilia, ben presto Filippo assurse ai più alti onori ed alle prime
cariche del regno: fu colonnello di fanteria e gentiluomo di camera del re
Carlo Il, per rilevanti servizi resi e perché in occasione della presa di
Messina levò molte genti e cavalli a suo spese. Nel 1680 fu eletto governatore della
Pace e scelto dal senato di Palermo per ambasciatore deputato al re Filippo II.
Questo cure di Stato però gl'impedivano di occuparsi di Canicattì; ed essendo
egli quasi sempre assente dal castello era ignaro perfettamente dei bisogni dei
suoi vassalli.
A 5 settembre 1711 gli successe
nella signoria il figlio Francesco, il quale continuò le tradizioni della casa.
L'anno 1726 la Sicilia era
tribolata da un capo bandito chierico della terra di Grotte, nella diocesi di Girgenti,
Raimondo Sferlazza. Costui, alla testa di trenta facinorosi, tenea la campagna
poco sicura, spogliando i viandanti e sequestrando i ricchi, che non metteva in
libertà se non dopo il pagamento di grosse somme.
Volendo il marchese di Almenza
liberare il regno da questa perniciosa compagnia di ladri, mandò da Messina la
patente di vicario generale al principe della Cattolica, incaricandolo della
cattura dei banditi.
Questo magnate, marciando da
Palermo con un numeroso seguito di gente armata, tratta la maggior parte dalle
sue terre, andò in cerca di costoro ed ebbe la sorte di avere nelle mani il
loro capo Sferlazza, che in un fatto d'armi fu ferito dagli uomini del principe
e preso. Lo si condusse a Canicattì, dove fu impiccato a 5 maggio, nella
località chiamata Fulchi
La testa fu mandata a Palermo, e,
appesa ad un'asta, fu portata per le strade della città.
La restante compagnia fu in parte
uccisa e in parte imprigionata, e così fu liberata la Sicilia da pericolosi
assassini.
Francesco Bonanno e Bosco era
ascritto ai cavalieri del Toson d'oro ed ai Grandi di Spagna, ambasciatore
presso Vittorio Amedeo di Savoia, ed intimo consigliere dell'imperatore Carlo
VI d'Austria. Fu più volte pretore di Palermo e presidente dei 12 Pari del
regno, vicario del re e decorato di altre cariche. Nella sua qualità di pretore
di Palermo assistè all'incoronazione di Carlo III infante di Spagna, presentò
al re le chiavi della città, e sedette alla sua sinistra.
Alla morte della prima moglie
Isabella Morra, sposò Anna Maria Filangeri, dalla quale ebbe Giuseppe. Morì nel
1734.
Fin qui la storia del Comune è
stata coinvolta con quella delle famiglie che ne ebbero la signoria; ma da
questo punto, per l'assenteismo de' principi, il popolo cominciò a fare da sé.
Lentamente sorsero i diversi edifizî, con l'aiuto delle famiglie nobili. La
munificentissima famiglia Adamo, dei baroni del Monte e della Grasta, faceva
costruire la chiesa degli Agonizzanti e quella del Purgatorio, e dava grande
aiuto per la costruzione della chiesi madre. Le famiglie Bartoccelli, La Lomia,
Sammarco ed altro, fecero a gara nell'arricchire il paese di edifici civili e
nel dare incremento di vita novella.
L'esempio di Andrea De Crescenzo
e di Giacomo Bonanno Colonna ebbe pochi imitatori ne' principi, intenti solo ad
esigere le tasse per mezzo de' governatori, i quali non mancavano di far
provare agli abitanti le angarie feudali.
Il popolo aspettava l'occasione
propizia per ribellarsi, ed infatti il malcontento lungamente represso scoppiò
verso la fine dell'anno 1800. Stanchi di pagare le imposte baronali, ritenute
ingiuste e pesanti, i cittadini di Canicattì e Ravanusa adibirono i tribunali
per farle dichiarare angariche, abusive, ingiuste, negando il secolare tributo.
S'iniziava per Canicattì un nuovo
periodo di lotte e di riforme vitali. La domanda dei cìttadini era stata bene
accolta dalle autorità, quando Ferdinando III Borbone, con i decreti del 2
agosto e 1 settembre 1806, aboliva le feudalità con tutte le attribuzioni,
proventi ed angherie. Il parlamento siciliano del 1812 dava l'ultimo crollo
all'edificio feudale, roso dal tempo e dall'odio dei popoli.
Canicattì, acquistata la sua
autonomia, risentì molto i benefizi del nuovo ordinamento; ma per l'esiguità
del suo territorio, e per la noncuranza dei suoi decurioni, non godette tutti i
vantaggi che si speravano.
Nel corso di quattro secoli, per
virtù ed industria dei suoi abitanti, per munificenza di alcuni principi,
nonché per fortunate condizioni topografiche, essa potè elevarsi ad una certa
importanza. Quando Andrea De Crescenzo ebbe nel 1467 la facoltà di dilatare i
confini del paese, essi non si estesero al di là di duecento salme legali: cioè
350 ettare circa.
Ma questo era un campo troppo
ristretto per l'attività dei cittadini, ì quali furono costretti di acquistare
poderi ne' territori di Naro, Girgenti e Caltanissetta.
Da questo stato di cose risultavano
vari e molteplici inconvenienti; sicché i cittadini, dopo varie petizioni,
fecero sì che fosse riconosciuto dal governo borbonico il diritto di Canicattì
per un'adeguata circoscrizione territoriale.
La noncuranza poi degli
amministratori del Comune fu veramente deplorevole: i pubblici monumenti, senza
manutenzione,. senza custodia, ben presto rovinarono: col marmo delle statue
delle monumentali fontane i magnani affilavano le falci: i monelli
s'incaricavano poi di compire l'opera distruttrice! Leonardo Safonte e Lumia,
sindaco di Canicattì, nel 1827, per non pagare una piccola somma per la
manutenzione, regalava l'armeria del castello, con la storica spada del conte
Ruggero, a Sua Maestà borbonica!
L'armeria fu celebre in tutta
l'isola, per le armature d'ogni sorta, intessute d’oro e d’argento, di comune e
di gigantesca statura, tra le quali uno scudo ed una celata a mezzo
bassorilievo, bellici stromenti a mano di vario e straniero artificio, a due e
tre canne adatte a cacciar più palle in un colpo; schioppi pneumatici, daghe,
spade, puntoni, lancie, spade alla spagnuola, clave con le else elegantissime,
la spada del conte Ruggero, e molte altre armi raccolte dagli antichi baroni
avidi di gloria
Nel 1818 don Giuseppe Bonanno, principe di Cattolica, concedeva a perpetua
enfiteusi l'intero stato di Canicattì al barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro,
per l'annuo canone di onze 1700.
I moti del 1829 non trovarono che
piccolissima eco in Canicattì, dove mancava ancora l'elemento per un'agitazione
in pro della sospirata autonomia della Sicilia.
Sopraggiungeva il 1832, con la invasione
delle cavallette, che distrussero le messi e portarono una grande carestia. S.
A. R. Leopoldo di Borbone, luogotenente generale di Sicilia, visitando i luoghi
infestati, fu anche a Canicattì.
Nell'ottobre del 1838, per la via
di Caltanissotta, giungeva re Ferdinando II di Borbone, a cavallo, con la
regina in lettiga. Si fecero grandi feste al sovrano, ospite del barone Bartoccelli
Nel 1848 Palermo insorgeva a 12
gennaio, e Canicattì rispondeva il 18, e il giorno 24 dello stesso mese,
infiammato dalla parola ardente e generosa del p. Francesco Caro.
Il comitato provvisorio riuscì
così composto: Presidente: Gaetano Bartoccelli; Componenti: sac.
Gioacchino Caico, sac. Vincenzo Camílleri, Luigi Stella, Salvatore Gangitano,
Giambattista Racalbuto, Giuseppe Caramazza, Pietro Testasecca, Giuseppe Bordonaro,
Giuseppe Lombardo, Giacinto Gangitano, Andrea MuIone, Domenico Caro, Alfonso Martines,
Emanuele Gangitano, Raimondo Mongiovì, Giuseppe Curto Pelle, Antonio Corsello,
Salvatore Insalaco, Angelo Di Rocco, Raimondo Li Calzi, Segretario: Antonio
Meli.
Uno dei primi atti del comitato fu
la riduzione dell'odioso balzello sulla molenda, detto la polizza, poscia
furono distribuito ai poveri 200 salme di frumento, raccolto per contribuzione
volontaria dei possidenti.
Fu costituita la guardia
nazionale ed il comando venne affidato allo stesso presidente, coadiuvato dal
signor Giacinto Gangitano.
Il venerdì 3 marzo, alcuni
individui di Canicattì, recatisi a caccia nelle vicinanze del lago di Trebastoni,
furono uccisi da. una squadra di persone armate della città di Naro. Il giorno
dopo una folla di popolo, sia perché spinta dalle voci e dai pianti dei parenti
degli uccisi, sia per curiosare, si condusse nella località dell'eccidio,
reclamando a viva voce i cadaveri degli uccisi, che stavano per trasportarsi a
Naro. Avvenne un violentissimo attacco, nel quale molte delle persone armate
della città di Naro rimasero vittime.
Questo fatto accese una fiera
inimicizia fra i canicattinesi ed i naresi, e le cose giunsero a tal punto che
il comitato di Girgenti pensò di intervenirvi; ed infatti il vice presidente di
quel comitato a 8 marzo così scriveva:
«Questo comitato con molto
dispiacere ha inteso le violenze ed i funesti successi tra gli abitanti di
Canicattì e quei di Naro. È ben doloroso che il sangue cittadino lungi di
versarsi in favore della nazione tenda allo sfogo di private vendette; e mentre
questo capo Valle si consolava nel vedere Canicattì pronunziarsi per la prima
in questa Valle per la gloriosa riuonerazione mira colà spuntare un germe
esiziale alla salute pubblica »
Fu mandato da Girgenti come paciere il cav. Calogero Caratozzolo, il quale fu
accolto in Canicattì con pubbliche manifestazioni. Le pratiche per la
pacificazione ebbero esito felicissimo.
Riunitosi il comitato il 10
marzo, elesse a pacieri i signori don Gaetano Bartoccelli e don Giacinto Gangitano,
i quali il giorno dopo scambiarono con i naresi signori Baldassare Gaetani e baronello
Ignazio Specchi le bandiere bianche con la Trinacria e l'iscrizione: «Pace tra
i diletti fratelli delle città di Naro e Canicattì, mediatore l'affettuoso
fratello comandante della truppa nazionale agrigentina cav. Calogero Caratozzolo»
Il popolo festeggiò con calorose
dimostrazione l'avvenuta conciliazione e il ritorno dell'ordine e il 19 marzo
passò all'elezione dei deputati distrettuali.
Intanto il predicatore
quaresimalista padre Francesco Caro infiammava gli animi e teneva desto con la
sua affascinante parola lo spirito della ribellione. Ma altri fatti luttuosi
valsero ad intimidire i più deboli: l'incendio di alcuni atti della cancelleria
circondariale, e l'uccisione di Antonino Patti (18 aprile), di Giuseppe Ventura
(30 aprile), dei fratelli Giuseppe e Giambattista Racalbuto (27 luglio), ad
opera dei così detti sgarristi, per questioni personali e vendette private.
Il comitato cercò provvedere con
l'aumento delle guardie nazionali e l'istituzione di una squadra a cavallo alla
sicurezza delle campagne.
Il 5 settembre 400 armati girgentini,
riunitisi a Canicattì e ingrossati da una schiera di volontari mossero verso
Messina ch3 resisteva al Borbone. Era il primo concorso di armati che Canicattì
dava alla causa della rigenerazione dell'isola.
Il parlamento nazionale decretava
un mutuo coattivo per onze 500.000 (L. 6.375.000), il quale fu poi aumentato ad
onze l. 000. 000 (L. 12.750.000), al quale erano chiamati a concorrere coloro
che spiccavano per notoria agiatezza ed opulenza. Il Comitato centrale lanciava
allora questo appello
« Viva ancora Palermo, in meno di
24 ore, ei diè già spontaneo alla Nazione che ne '1 chiese onze 105.000, or con
pari virtù, all'invito di pagare in tre giorni metà di altre onze 100.000 ne ha
versate 60.000, possa sì nobile esempio emularsi dal resto della classica
isola».
Al manifesto affissato in
Canicattì, come nelle altre città dell'isola, i canicattinesi rispondevano in
gennaio 1849 versando le onze dodicimila richieste, per raccogliere le quali,
data l'esiguità del bilancio e le spese sostenuto dal Comitato, (onze duecento al
mese), alcune guardie rinunziarono al soldo ed i cittadini fecero a gara nel
versare generose e spontanee offerte.
Fa deputato per Canicattì al
parlamento nazionale il barone Salvatore La Lomia.
Venuta meno la rivoluzione,
esiliati i rivoluzionari e restaurato il governo borbonico, Canicattì mandava
la sua rapprssentanza a Napoli per fare atto di omaggio al re.
Rasserenati gli animi e tornata
la calma l'eterna quistione territoriale ricominciò ad agitarsi.
I tre decreti: 18 giugno 1828
(preparazione della riforma delle circoscrizioni territoriali), 8 agosto 1833 (rettilica
dei catasti), 17 dicembre 1838 (che disponeva doversi i fondi allibrare nel
catasto di quel Comune citi erano prossimi) avevano ufficialmente costatato che
i fondi dei canicattinesi nel territorio di Naro, Caltanissetta e Girgenti
erano troppo lontani dalle sedi dei Comuni cui dipendevano e che, allo
svolgimento dei pubblici servizi era più utile comprenderli nel catasto di
Canicattì.
Il semplice riquadramento
catastale non contentava i desiderata dei canicattinesi ; ma, malgrado le
opposizioni del Comune di Naro, il quale faceva valere le regalie ottenute nel
1552 e 1615, un sovrano rescritto del 17 febbraro 1841 dichiarava essere deciso
volere del re che fosse definita la nuova circoscrizione territoriale di
Canicattì.
Un altro sovrano rescritto del 17
settembre 1844, come provvisorio provvedimento, in attesa della generale e
radicale riforma delle circoscrizioni territoriali in Sicilia, sull'avviso del
Consiglio d'Intendenza di Girgenti, del 16 maggio 1842 disponeva: «Al
territorio del Comune di Canicattì, in provincia di Girgenti, saranno aggregate
le tenuto di Gulfi di Trabia, Balate di Russi e Cannarozzo, che ora fan parte
di quello di Naro; la tenuta di Giardinelli appartenente al territorio di Girgenti;
e quelle di Graziano, di Buccheri e di Corrici, che in atto si appartengono a Caltanissetta».
Tale decreto accordava a
Canicattì poca cosa, onde i reclami continuarono; e mentre nella solitudine e
nel silenzio si preparavano nuovi avvenimenti, Canicattì faceva sentire al
governo le sue proteste.
Nel 1853 il Consiglio provinciale
di Girgenti emetteva un voto per l'ampliamento del territorio, e il 10 febbraro
1854 un sovrano rescritto prendeva in considerazione i lagni del Comune.
Nel 1860 Canicattì ebbe poca
parte nei moti del resto dell'isola. Vincenzo Macaluso, avvocato, inalberava
prima d'ogni altro la bandiera tricolore nell'agro agrigentino.
Il 19 maggio 1860 giungeva da Girgenti
il maresciallo borbonico Afan de Rivera, con un reggimento di cacciatori e un
altro di carabinieri. Le truppe bivaccarono nella via principale fino al giorno
18, in cui furono richiamate a Girgenti, dove erano successi dei torbidi.
Ritornate le truppe a Canicattì
il giorno 23 maggio, ripartirono poco dopo; e, non erano ancora molto lontano
dall'abitato, quando sulla torre dell'orologio inalberavasi la bandiera
tricolore e le campane rispondevano col saluto augurale.
In luglio Nino Bixio e Menotti
Garibaldi furono per poco a Canicattì.
Il plebiscito per l’annessione al
regno di Italia fu organizzato da Salvatore Gangitano e diretto da Pietro Testasecca:.
Gli elettori iscritti furono n. 2844 i votanti n. 2643. Risposero per il Sì
2642, pel No l.
Al primo Parlamento italiano,
convocato in Torino, fu mandato dal collegio di Canicattì il barone Vito D'Ondes
Reggio.
Le condizioni topografiche, lo
sviluppo delle industrie e del commercio, favorirono la graduale elevazione del
Comune.
Le ferrovie, la costruzione di
ponti e strade, lo svolgersi dei partiti politici, sostituiti agli antichi
partiti personali, l'aumentata cultura popolare, hanno fatto di Canicattì uno
dei primi Comuni della provincia di Girgenti.
Durante le agitazioni dei fasci
non si ebbero a deplorare eccessi; e nei vari tumulti per il territorio, per
l'abolizione dei dazi, e per la carestia, il popolo si è mostrato cosciente
della sua forza e dei suoi diritti.
L'acquedotto Savuco, inaugurato
solennemente nel 1895, risolvendo l'importantissimo problema dell'acqua
potabile, per opera principalmente del sindaco avv. Vincenzo Falcone, dava
nuovo incremento di vita e di civiltà.
E qui, a completare questo rapido
cenno sulla storia comunale, basterà ricordare lo sciopero elettorale del 1897
1898 per la questione territoriale. Un Comune che si mantiene per diciotto mesi
fuori legge, i cittadini che si dimettono dalle cariche occupate in città e
fuori per la tutela dei propri diritti, offrono un esempio unico nella storia
dei Comuni siciliani.
Il congresso cattolico agrigentino,
tenuto nei giorni l. 2, 3 ottobre, con l'intervento di cinque vescovi, i
diversi comizi e le riunioni politiche hanno mostrato il progresso e
l’educazione civile dei canicattinesi.
Canicattì fu prescelta a sede
della Lega siciliana per la riforma delle circoscrizioni territoriali,
presieduta dal barone Francesco Lombardo Gangitano. Un importantissimo
congresso di sindaci dei Comuni aderenti alla Lega vi si adunò nel dicembre del
1904.
Un avvenire migliore è riservato
all'industre operosità degli abitanti.
Pochi Comuni hanno saputo sì
rapidamente trasformarsi per costante volere, utilizzando le energie latenti e
aprendo libero il varco al commercio, all'industria ed al pensiero moderno.
Nel campo economico, politico,
sociale, larga messe prometto il seme sparso lentamente ma con assiduità ed
amore nella continua e paziente ascensione a migliori destini.
ARCHEOLOGIA, MONUMENTI ED
OPERE ARTISTICHE, EDIFICI NOTEVOLI
Motyum (Vito Soldano): A
sei chilometri da Canicattì, verso Castrofilippo, esisteva Mozio (da non
confondersi con la città fenicia Mozia).
Di questo castello la storia ci
dimostra la sua esistenza ai tempi di Ducezio.
Ducezio collegava tutte le città
sicule contro i siracusani e gli agrigentini, e nell' olimpiade LXXXII (anni
452 av. G. C.) moveva verso la regione agrigentina, dove assalì gagliardamente
il castello di Mozio, che trovavasi fortificato e custodito da una guarnigione siracusana.
Le truppe agrigentine rinforzate dalle siracusane sopraccorsero, ma Ducezio, mosse
ad oste contro le une e le altre ed entrambe mise fuori dai loro accampamenti.
Tirato a sé, per doni o promesse, Bolcone comandante dei siracusani, e
vittorioso di quella giornata, potè impadronirsi di quel castello. Ma
sopraggiunto l'inverno, ciascuno si ritirò dal campo e Bolcone, accusato di
tradimento, fu punito con la morte.
Siracusa nel principio dell'està
nominò un altro capitano, inviandolo contro Ducezio ed i siculi, che furono
messi in fuga, mentre gli agrigentini rioccupavano Mozio.
La storia più nulla ci narra di Mozio,
ma i rottami, gli acquedotti ed altri avanzi, estesi per un buon tratto di
campagna, ci fanno supporre che in seguito al castello siasi aggiunta una
città, e che questa sia esistita sino al tempo degli arabi; come il nome
attuale di Vito Soldano fa supporre.
A conferma di questa opinione, si
può addurre che in questa località fu trovata una Madonna di marmo, attualmente
posta nella chiesa madre, evidentemente dell'epoca bizantina.
A Vito Soldano si trovano molti
rottami, gli avanzi di un tempio e di acquedotti, molte terrecotte, iscrizioni
e monete.
Rahal Kal'at (Casalotti): A tre
chilometri da Canicattì, nel luogo chiamato Casalotti, si trovano una gran
quantità di rottami e di avanzi di laterizi che fanno supporre antiche
abitazioni. Questa opinione è confermata dall'esistenza di alcune grotte
funerarie e dalle monete che l'inculto contadino ritrova lavorando la terra.
Diego Corbo, autore delle Notti
Sicule, vorrebbe, non sappiamo con quale criterio, porvi la città di Calacta.
Noi crediamo però, e con
fondamento, che si tratti di Kal'at (Rahal Calata) dall'Edrisi posto nell'agro canicattinese.
Scavi: In una cava del tronco
ferroviario Canicattì Campobello, a destra, presso il chilom. 42 dal mare,
aprendosi nel 1878 una cava di pietre, furono rinvenuti vari sepolcri, con
ossami e cinque lucerne cristiane. Queste lucerne, insieme ad oggetti
preistorici, furono dall'ing. Tabasso spedite al museo preistorico etnografico
di Roma.
In altra località lungo la stessa
linea, a circa 12 chilom, da Canicattì, presso il chilom. 47 400 aprendosi la
trincea ferroviaria, si rinvenne una piccola grotta scavata in un gran trovante
di roccia calcare. Vi si rinvennero dentro cinque o sei scheletri umani, e nel
mezzo, a pochi centimetri sotto il suolo interrato della grotta, fu accertata l'
esistenza di uno strato di cenere, sparsa di moltissimi gusci di lumache e di
ossa di animali. La volta della grotta era annerita dal fumo.
Tra i fittili vi era qualche
tazza di stile geometrico, nonché qualche vasetto dei così detti corinzi,
decorati a figura di animali, taluni altri erano grossolani (certamente di
manifattura locale), di argilla non cotta al forno.
Due di questi vasi fittili
ripieni di ossa di animali, ritrovati nella grotta, e pezzi di un altro vaso
trovato fuori, un piccolo lagrimatoio ed ossa diverso, furono raccolti dal
predetto ing. Tabasso, e spediti allo stesso museo preistorico di Roma
Castello e torre dell'orologio:
Il castello sorge nella piazza omonima su di un poggetto. Edificato dal conte
Ruggero, trasformato ed ingrandito da Andrea Do Crescenzo, dai baroni di
Canicattì abbellito ed arricchito di cimelii ed opere artistiche, oggi è
abbandonato ed in completa rovina.
Altrove abbiamo riportato una
descrizione dell'armeria che nelle sale terrene di esso si conservava
gelosamente. Quest'armeria regalata al re nel 1827, fu collocata nel museo
della reggia di Capodimonte (Napoli).
Nella piazza di questo castello
sorge la torre dell'orologio antica e solidissima costruzione.
Una leggenda popolare vuole che
una volta ivi fosse stato tenuto prigioniero un re.
La macchina dell'orologio è stata
cambiata nel 1811 dall'orologiaio Gangi, e nel 1901 dalla ditta Fontana di
Milano.
Le antichissime campane servono,
oltre che alla soneria dell'orologio a convocare il Consiglio e a segnalare gli
avvenimenti cittadini civili e religiosi.
Chiesa madre : Fu
fabbricata nella metà del secolo. XVIII, a spese del popolo, con largo concorso
dei fratelli sac. D. Carlo, vicario foraneo e barone D. Gaetano Adamo dei
baroni del Monte e della Grasta, dedicata a san Pancrazio vescovo martire.
Bellissimo tempio di stile
rinascimento, con alcune ornamentazioni barocche, a croce latina con cappelle
laterali, tre absidi, cupola centrale e cupoletto sulle absidi laterali.
Il nuovo prospetto di questa
chiesa, opera dell'illustre architetto comm. Ernesto Basile, è un vero
capolavoro.
È degna di nota la cappella del
SS. Sacramento, dove osservasi una custodia di legno dorato, lavoro del secolo
XV1I, di stile, barocco, con leggiadrissime statuette. La balaustra di questa
cappella è di marmo policromo.
Nella cappella dell'Addolorata vi
è un preziosissimo reliquiario, dono del cav. Desiderio Sammarco La Torre.
Bellissimi quadri sparsi qua e là
nella chiesa; tra i migliori: la predicazione di S.Giovanni Battista, la
Natività, la Samaritana, attribuiti a Giuseppe Velasquez, e san Gaetano Thiene,
bellissima fattura evidentemente del Patania.
Inoltre S. Maria del Lume, con
cornice barocca di legno dorato, la decollazione di S. Giovanni Battista, santa
Rosalia, san Gerlando.
Notasi la statua bizantina di
marmo della Madonna delle Grazie, deturpata recentemente da una incrostazione
policroma ad olio. Però è intenzione dell'attuale arciprete sac. Luigi La Lomia
di farne eseguire lo scrostamento da mano di artista.
Buone statue in legno sono quelle
di S. Pietro e di S. Maria delle Vittorie.
Nella cappella della Madonna
delle Grazie si legge la seguente iscrizione:
CAJETANUS
BLANDINIUS AGRIG. E.PUS
PALICONIE ORT. III
CAL. SEPT. A. MDCCCXXXIV
SACRAM PROVINCIAM RITE
LUSTRANS
CANDICATTENI SANCTISSIME
DECESSIT
XIV CAL. IUN. A. MDCCCXCVIII
CANDICATTINENSEM GENTEM MULTUM
ADAMAVIT
REI CATHOLICAE SECUNDUM CONVENTUM
DIE I. II. III. OCTOBR.
MDCCCXCVII HIC HABUIT
NETIN, JACENS,
CALATANISECTAE, MAZARAE PONT.
ARCHYPRESB. PRAESULUM INTERVENTU
GRATI ANIMI ET AMORIS ERGO
NE MEMORIA TANTI E..PI IN
POSTERUM LATEAT
CLERUS POSUIT
Questa chiesa fu consacrata da
mons. fra Benedetto La Vecchia Guarneri, arcivescovo di Siracusa, il giorno di
Pentecoste 25 maggio 1874.
Chiesa di S. Biagìo:
Parrocchia succursale, con buoni stucchi e mediocri affreschi rappresentanti
episodi della vita di Gesù. Conservansi ottime tele di S. Luigi, S. Giovanni
Nepomuceno, e SS. Crocifisso. È da notarsi una bella statua In legno della
Madonna della Consolazione.
Chiesa di S. Diego:
Parrocchia succursale, di stile rinascimento a tre navate. Bellissimi gli
stucchi, pregovolissimi gli affreschi del Guadagnino. Il magnifico prospetto fu
costruito nel 1865.
Chiesa di S. Francesco
d'Assisi: Vi è annesso il convento dei pp. conventuali, ora trasformato in
ospedale ed ospizio di mendicità. La chiesa fu edificata nel 1559 e contiene
buoni stucchi ed affreschi; la bellissima statua di S. Francesco d'Assisi,
capolavoro del Bagnasco, e l'Immacolata, simulacro che suscita la devozione e
gli entusiasmi popolari, di cui una leggenda attribuisco il bellissimo volto a
fattura angelica.
Chiesa di S. Domenico:
(già convento dei pp. domenicani. Ampio ed artistico tempio, innalzato nel
1613. Notansi bellissimi stucchi del Signorelli e del Sesta, buoni affreschi,
ottime tele de1 Provenzani da Palma, rappresentanti i santi dell'Ordine, la
Madonna del Rosario, S. Vincenzo Ferreri, il Bambino Gesù (detto di capo
d'anno), e tre statue in legno, capolavori dei Bagnasco.
Chiesa dello Spirito Santo:
(convento dei frati minori). L'imponente prospetto di questa chiesa è adornato
di due statue in terracotta smaltata e policroma, imitazione Luca della Robbia,
le quali sono degne di nota perché in Sicilia esistono pochi esemplari del genere.
L'interno, a tre navate, è arricchito di molto statue, alcune delle quali
ottime, e fra esse quella in marmo di S. Maria Gratiarum della scuola Gaginiana,
eseguita nel 1649 a devozione di fra Arcangelo da Canicattì; ed il Gesù
Bambino, artistica terracotta colorata. Questa chiesa fu edificata nel 1633 e
consacrata da mons. Lanza vescovo di Girgenti il 3 ottobre 1771.
All'ingresso, sulle due pile per
l'acqua santa, si leggono i seguenti sonetti, che riportiamo a titolo di
curiosità:
A sinistra:
Per render conto del perduto
tempo
Puoco tempo volerei ho fatto
conto
Basta dolermi un punto sol di
tempo
Col cuor pentito ed è già saldo
il conto.
Un punto sol che dona, Dio di
tempo
D'ogni altro tempo Dio non fa più
conto
Mi preme sol poter aver di tempo
Il punto in cui dole io renda il
conto.
Questo punto val più di tutto il
tempo
E di questo io ne fo cosi gran
conto
Che darci per averlo anni di
tempo.
Signor per render di mia vita il
conto
Se mi nieghi tal punto è perso il
tempo
Se mi dai questo punto è reso il
conto.
A destra:
Mi chiede il tempo di mia vita il
conto
Rispondo, il conto mio richiede
tempo
Né di tanto si può perduto tempo
Senza tempo ed error rendere il
conto.
Non vuole il tempo differire il
conto
Perchè il mio conto ha
disprezzato il tempo
E perchè non contai quand'era
tempo
Invan tempo dimando a render
conto.
Qual conto conterà mai tanto
tempo
Qual tempo basterà per detto
conto
A me che senza conto ho perso il
tempo.
Mi premo il tempo e più m'opprime
il conto
E muoro senza dar conto del tempo
E perchè il tempo perduto è fuor
di conto.
Chiesa dei Ss. Filippo e
Giacomo: (Badia) Fondata nel 1650. L'intorno è di stile barocco, con molte
statue di stucco; l'abside del Signorelli, di epoca posteriore, è di stile
diverso. Bellissimo l'Ecce Homo di marmo policromo. Il marmo, senza alcuna
colorazione artificiale, imita a perfezione le lividure e il sangue. Pregevole
anche la tela di S. Bernardo di Chiaravalle, di ottima scuola.
Chiesa di Maria SS. del
Carmelo: Recentemente edificata, dopo il crollo dell'antica, a spese dei zolfatai,
con stucchi e buone pitture In questa chiesa si conserva il miglior quadro
della città, che rappresenta la S. Famiglia, cioè la Vergine col Bambino, S.
Anna, S. Gioacchino e S. Giuseppe, con l'iscrizione: Monoculus Racalmutensis
MDCXXXIII.
Chiesa del Purgatorio:
Pregevoli gli affreschi e le tele del Guadagnino e la statua del Sacro Cuore,
del Bagnasco.
Chiesa di S. Giuseppe:
Notevole il soffitto di legno a cassettoni e la statua di san Giuseppe, del Bagnasco.
Chiesa di S. Rosalia: Vi
sono ottimi stucchi e buone tele del Provenzani figlio, da Palma.
Convento dei pp. predicatori:
ora edifizio delle regie scuole tecniche e delle scuole elementari maschili. È
un vasto fabbricato con ampi locali.
Convento dei pp. conventuali:
ora ospedale e ricovero di mendicità, con spaziosi corridoi e belle sale. È da
notarsi una sala operatoria di recentissima costruzione.
Palazzo comunale: È di
recente costruzione. Ha una vasta sala per le adunanze del Consiglio, decorata
splendidamente dagli artisti.milanesi Tavella e Belloni.
Sul prospetto si leggono le
seguenti iscrizioni:
AI PRODI SUOI FIGLI
CANNIZZO CALOGERO
ISAIA GIUSEPPE
MANNARÀ VINCENZO
SGAMMEGLIA GIUSEPPE
CHE NELLE NUOVE TERMOPILI DI
DOGALI
IL 26 GENNAIO 1887
AFFERMARONO COL SANGUE
L'ANTICA VIRTÙ DI ROMA
E I NUOVI DESTINI D'ITALIA
CANICATTÌ
AUSPICE IL CONSIGLIO COMUNALE
QUESTA I.APIDE
CONSACRAVA
IL 14 MARZO 1887
A GARIBALDI LIBERATORE
PERCHÈ VIVA PERPETUA LA
CONOSCENZA
ALL'EROE BUONO
CHE TRA IL FRAGORE DELLE
NECESSARIE BATTAGLIE
RASSERENAVA L'ANIMA PRESAGA
NELLA VISIONE DEI POPOLI AVVENIRE
ILLUMINATI DALLA SCIENZA
NOBILITATI DAL LAVORO
AFFRATELLATI NEL CULTO DELLA
LIBERTÀ
NEL I CENTENARIO DELLA SUA NASCITA
IL POPOLO DI CANICATTÌ
IV LUGLIO MCMVII
Fontana del Nettuno: (Petrappaulu).
Fu edificata dal duca Giacomo I, che volle farne un monumento veramente
artistico. Ora però è in uno stato deplorevole: priva d'acqua, vi mancano la
vasca e le ornamentazioni, e le due statue sono orribilmente mutilate.
Il regio commissario cav. Antonio
Abate di Lungarini, nel 1906, tentò una ricostruzione, aggiungendo una delle
cariatidi e la targa con l'epigramma che si conservavano al Municipio. La
statua del Nettuno è chiamata dal pubblico «Petrappaulu», quella della Fama
«l'angilu».. Entrambe furono adottate come stemma comunale, dopo che l'antico
(quello di casa Bonanno) fu abbandonato.
L'epigramma, scritto, forse, dal
medesimo duca Giacomo, è il seguente:
NON VAGA PLUS RESONAT TAMEN HINC
IN MARMORE SISTENS
CONTICUIT FAMA EST
NAM
LAPIS IPSE LOQUAX.
Fontana dell'Acqua nuova:
Anch'essa edificata dal duca Giacomo I. Le acque che l'alimentano provengono
dalla contrada Reda. Gli ultimi avanzi di statue ed ornati deturpati nonché una
composizione araldica, furono trasportati al Municipio, in attesa di una
sperabile ricostruzione.
Teatro sociale: È tuttora
in costruzione. I progetti sono opera dell'architetto Ernesto Basile.
Nel 1906 1907 è stato aperto al
pubblico con recite di Italia Vitaliani e di Gustavo Salvini.
È sperabile che presto si
ripiglino i lavori del prospetto e delle decorazioni.
Serbatoio d'acqua: Solida
ed elegante costruzione dell'ing. De Angelis.
Edifizi diversi: Buone
fabbriche si trovano nell'abitato, e degne di speciale menzione sono: i palazzi
Bordonaro, Lombardo, La Lomia, Sammarco, Gangitano, Bartoccelli ed altri,
nonché i conventi dei pp. minori osservanti e dei pp. cappuccini ed il
monastero delle benedettine.
Villa Ferriato: Trovasi a
pochi chilometri dall'abitato presso la località Casalotti.
Il proprietario barone Francesco
Lombardo Gangitano vi ha profuso le maggiori cure facendone un gioiello
artistico di grande valore e la sua villeggiatura preferita. Quasi tutti i
progetti delle varie costruzioni sono opera dell'illustre architetto comm.
Ernesto Basile. Le decorazioni sono dovute a valenti artisti.
Il corpo principale
dell'edificio, torrione e torretta, ha la figura di un maniero medioevale, la
torre danese con orologio e terrazza coperta contrasta vivamente col resto
elevandosi fra il verde del mandorlo e degli aranci.
Ben messe e coltivate le aiuole:
modelli del genere sono l'alveare e la casa colonica. Il tutto un luogo di
bellezze artistiche e naturali, grato e tranquillo soggiorno.
Cimitero: È adorno di
bellissimi monumenti marmorei e di severe cappelle gentilizie.
Numismatica: Spesso nei
dintorni si trovano monete d'ogni metallo, specialmente dell'epoca saracena e
romana.
SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI.
UOMINI ILLUSTRI.
l. Ludovico Leone La Lumia,
domenicano. Umilissimo frate, fece risplendere la sua dottrina in una disputa
teologica fra gesuiti e domenicani a Roma. Fu valorosissimo professore di
teologia dommatica nel seminario di Girgenti nel 1714 e 1715.
Nella biblioteca « Sammarco » si
conservano i suoi manoscritti.
2. Desiderio Sammarco La Torre.
Fu il primo collegiale ammesso a frequenare il celebre collegio dei Ss.
Agostino e Tommaso di Girgenti, quando mons. Gioeni lo riapriva nel 1731.
Riuscì eminente nella scienza del diritto. Mons. Valguarnera, vescovo di Cefalù,
lo chiamò a sé e lo creò suo vicario generale. Lo Scinà ne fa elogio di lui nel
suo Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, come
personaggio di gran fama e di somma perizia nel diritto.
Pubblicò a Napoli presso i
fratelli Raimondi nel 1776, insieme al sacerdote Attardi, un'opera Sulla
regalia piena dei re di Sicilia in tutte le chiese vacanti del reame, ossia
dissertazione con cui si dimostra, che compete ai re di Sicilia, unitamente
colla percezione dei frutti di cui sono in possesso, la collazione benanco di
tutti i benefici, che vacano in tempo della vedovanza della chiesa.
Fu arcidiacono della cattedrale
di Girgenti.
Amatore di belle arti, raccolse
nella sua casa di Canicattì una pinacoteca di gran pregio. I quadri, che si
conservano nella madrice attribuiti al Velasquez e la Madonna di Guido Reni
nella cattedrale di Girgenti, sono suoi doni.
Morì a 28 luglio 1793, lasciando
al pubblico la sua biblioteca privata, che prese il suo nome, ed ai poveri una
rendita annua.
3. Vito Marco Giuseppe La Lomia,
nato a 27 marzo 1767, canonico ed arcidiacono della cattedrale di Girgenti.
Lesse per otto anni dommatica nel
seminario di Girgenti, poscia salì la cattedra di teologia morale nel collegio dei
Ss. Agostino e Tommaso, tenendola per altri otto anni.
Meravigliosa era la sottigliezza
del suo ingegno, onde alle volte compiacevasi di sostenere opinioni singolari
pur di esercitare i discepoli nella dialettica. In una causa che ebbe a
sostenere la sua prebenda arcidiaconale presso la corte d'Appello in Palermo,
dopo che il suo avvocato, il celebre Di Franco, ebbe esposto le ragioni che
militavano a pro del suo cliente, questi volle aggiungerne delle altre, e parlò
così bene, con tale dialettica e copia di dottrina, che giudici ed avvocati
restarono sorpresi, né sapevano persuadersi come in un uomo di chiesa potesse
trovarsi tanta scienza di diritto.
Vecchio ed infermo ritirossi in
patria, e morì vittima di un'imprudenza:
Mentre trovavasi nella sua villeggiatura
di Landolina, avvicinandosi di sera con in mano il lume ad un tavolo ov'era
della polvere, questa esplose, e le scottature riportatene gli cagionarono la
morte, nel settembre 1843.
4. Padre Michelangelo Failla,
definitore perfetto dei frati minori conventuali, dottore in sacra teologia e
predicatore valentissimo. Salì i primi pulpiti d'Italia: Napoli, Roma, Firenze.
Per la sua eloquenza fu soprannominato il Faillone di Sicilia. Morì di anni 52
il 5 aprile 1815.
5. Gioacchino La Lomia,
ministro di grazia e giustizia e del culto.
Sommo nelle scienze del diritto,
occupò via via le maggiori cariche del regno delle Due Sìcilie. Fu tenuto in
gran conto dal re Ferdiliando II, che lo volle suo consigliere ed intimo
familiare.
Dopo gli avvenimenti del 1848,
sotto il governo del principe di Satriano, fu chiamato alla direzione della
luogotenenza pei dipartimenti di grazia e giustizia ed ecclesiastico.
Morì nel 1859.
6. Ferdinando La Lomia,
fratello del precedente, esercitò in Palermo eminentissime cariche nella
magistratura e fu consigliere della gran corte dei conti.
Dottissimo nel diritto civile e
penale fu un giureconsulto eminente. Morì nel 1859.
7. P. Antonio Antinoro dei
frati minori osservanti. Nacque nel novembre del 1818 e sedicenne abbracciò il
serafico istituto nel convento di S. Lorenzo a Carini. Ordinato sacerdote,
acquistò presto fama di valente oratore predicando a Palermo, a Napoli ed in
altre città.
Fu vice cattedratico (con
esercizio) di storia naturale e di filosofia nel regio liceo di Trapani e
professore di filosofia nella R. Università di Palermo.
Sono suoi lavori: una
dissertazione sulla S. Eloquenza,, l'opera Sul modo d'incivilire le infime
classi (Palermo 1843). Un cenno storico sui progressi della fisica, ed un
Trattato di meteorologia. Lasciò manoscritti due volumi di fisica, dei quali
faceva sperare la pubblicazione.
Mori' in Palermo il 2 maggio
1856, compianto dalla gioventù studiosa.
8. Vincenzo Macaluso,
avvocato e giornalista, nato il 31 ottobre 1824.
Nel 1848 fu capitano
d'artiglieria nella guerra per la indipendenza siciliana, comandando 'la
batteria «Trinacria». Si distinse all'assedio di Messina, e fu il primo fra i
siciliani, che passarono in Calabria, per piantare in Villa S. Giovanni la
bandiera della rivoluzione.
Venuta meno la quale, con l'aiuto
del comitato di Messina, ottenne che una lancia della flotta francese fosse
messa a sua disposizione per imbarcarvi i più compromessi rivoluzionari,
salvandoli così dalla ghigliottina. Rientrato il Borbone egli fu esiliato.
Nel giugno 1859 inalberò la prima
bandiera tricolore tra Comitini ed Aragona. Questo fatto gli fruttò una
sentenza capitale. Liberato nel 1860 da Garibaldi dalla Vicaria di Palermo fu
subito nominato commissario generale per la provincia di Girgenti. Fu tre volte
sottoprefetto, ma venne poscia destituito per le sue idee autonomistiche e
repubblicane.
Fondò nel 1861 a Girgenti il
giornale «La Pietra » (dalla pietra sulla quale avea inalberata la bandiera nel
1859) che poi trasportò a Canicattì, a Licata, a Palermo, a Firenze a Roma.
Diresse Le Forche Caudine, dopo l'arresto di Pietro Sbarbaro. Una sua splendida
campagna giornalistica fu quella per protestare contro la tortura dei sordomuto
Antonio Cappello, avvenuta nell'ospedale militare di Palermo l'anno 1863.
Fu candidato in vari collegi
politici di Sicilia, e morì povero in Roma il 27 dicembre 1893.
9. P. Francesco Caro m. o.
Nacque nell'ottobre del 1820. Ad undici anni impressionò con la sua facondia S.
A. R. Leopoldo di Borbone, ottenendone una grazia. Ammesso tra i frati minori
osservanti, fu ordinato sacerdote in Montalto nelle Marche il 21 maggio 1843.
Fu professore di sacra eloquenza e dottore in teologia; socio dell' Accademia Volsca
e dell'Accademia arcadica peloritana.
Nel 1848 predicò la quaresima a
Canicattì e fu anima dei moti rivoluzionari. Arrestato a Trapani durante il
quaresimale del 1849, fu tradotto in Palermo e poscia esiliato in America.
Fu parroco in Now York,
visitatore apostolico della California, delegato generale di tutta l'America
del nord, commissario generale di Terra santa e con breve pontificio del 13
dicembre 1875 missionario apostolico della S. Sede.
Ritornato in Italia si stabilì per
poco a Napoli, dove contrasse amicizia con l'alta società cosmopolita.
Fu poeta elegantissimo ed
improvvisatore felice. Morì in patria nel novembre 1894.
10. Mons. Benedetto La Vecchia
Guarneri, arcivescovo di Siracusa. Nacque il 2 luglio 1813. A quindici anni
vesti l'abito dei minori osservanti in Alcamo, dove fece il suo noviziato.
Studiò filosofia a Palermo e teologia a Napoli, dove fu ordinato sacerdote il
20 maggio 1837. Primo fra trenta concorrenti fu nominato professore di
filosofia nel convento di Ara Coeli in Roma. Sostenne su varie Riviste
importantissime questioni di filosofia. Trascorsi parecchi anni fece ritorno in
Sicilia, dove attese costantemente alla predicazione. Nel 1846, eletto
Provinciale della Val di Mazzara, si ritirò in Palermo a reggere con sapienza
il convento della Gancia, e nei bollori della rivoluzione seppe difendere i
suoi. Ed allorquando i frati furono strappati al chiostro e costretti ad
esulare, egli, rassegnato, peregrinò per l'Italia, stando saldo all'urto dei
tempi.
Il 23 febbraio 1872 fu da Pio IX
preconizzato primo vescovo dì Noto; indi, a 5 luglio 1875, traslato alla sede
arcivescovile di Siracusa.
Per lo spazio di venti anni
governò con evangelica prudenza ed alta sapienza la chiesa siracusana, amato ed
ammirato da tutti. Intanto, sempre al bene dell'archidiocesi, non risparmiò
cure né fatiche, talora con pericolo della sua salute, per adempiere
scrupolosamente il suo pastorale ministero.
Visse e morì povero, dando ai
miseri, quando non aveva denaro, tutto ciò che gli capitava, e spesso il suo
letto si trovò senza lenzuola e senza coperta. La sua casa ora aperta a tutti.
Rinunciò lusso, carrozze, aristocrazia, ed ebbe sempre parole di conforto, di amore,
di pace, verso coloro che ebbero la fortuna di avvicinarlo.
Riordinò il seminario ed egli
stesso imparti agli alunni lezioni di filosofia. Scrisse un copiosissimo
Commento latino alle «Institutiones theologiae dogmaticae scolasticae et moralis»
del p. Domenico Schram, banedettino. Palermo 1860. Nel 1880 pubblicò un
trattato di Matematica. Però gli scritti che hanno maggiormente illustrato il
suo nome sono gli «Elementi di fisica razionale cristiana » e gli « Elementa philosophiae
fundamentalis ».
Morì il 6 marzo 1896.
11. Gaetano Antinoro. Nel
1848, giovanissimo, si aggregò ai rivoluzionari in Palermo col grado di
furiere. Tornato in patria scrisse per una compagnia di comici e recitò egli
stesso un dramma, che fu ripetuto con lusinghiero successo in molti teatri
dell'isola. Ottenne la laurea in legge l'anno 1852 ed esercitò in Palermo
l'avvocatura. Nel 1856, coinvolto nella congiura del barone Bentivegna e reo di
aver ospitato i congiurati in casa sua, fu condannato a morte.
Fuggito a Malta e poscia in
Egitto, scrisse una fiera lettera al direttore di polizia Maniscalco.
Fino al 1860 rimase in Egitto e,
tornato in patria, fu nominato dal nuovo governo consigliere di prefettura,
sottoprefetto ed infine prefetto a Lodi, Caltanissetta, Trapani e Bergamo. Morì
in Palermo.
12 Salvatore Gangitano,
senatore del regno.
Nacque il dì 24 giugno 1828. A vent'anni
fu membro attivissimo del comitato rivoluzionario (1848). Dal 1863 al '67, dal
'70 al '71 e dal '73 al '75 coprì la carica di sindaco del Comune; dal 1861 al
1892, quasi ininterrottamente, consigliere provinciale e dal 12 agosto 1879 al
l° dicembre 1889 presidente del Consiglio della provincia; deputato al Parlamento
nazionale per Canicattì rappresentò il collegio nelle legislature X, XV, XVI.
Contrasse in Roma l'amicizia con
i principali uomini politici, esercitando grandissima influenza per le sue doti
spiccatissime.
Fu grande uffiziale della Corona
d'Italia, commendatore dei Ss. Maurizio e Lazzaro e nell'anno 1890 senatore del
regno.
Morì in Canicattì il 18 dicembre
1892. A lui è intitolata la R. scuola tecnica.
13 14. Ferdinando Gangitano,
consigliere di Corte d'appello e Francesco La Lomia, giuroeconsulto
valorosissimo, resero onore a Canicattì colla loro dottrina e col loro ingegno
circa la metà del secolo XIX.
15 16 17. Francesco, Gaetano e
Pietro Guadagnino. Tre buoni pittori canicattinesi, vissuti successivamente
dalla metà del secolo XVIII al XIX. Del primo, il più valoroso, si hanno ottimi
lavori. in Canicattì e in molti paesi della Sicilia. Sono notevoli l'Addolorata
nella chiesa degli Agonizzanti, il san Luigi ed il san Giovanni Nepomuceno
nella chiesa di san Biagio.
Il secondo ha lasciato le tele
della chiesa del Carmine, san Vito e S. Maria di Odigitria.
L'ultimo decorò con magnifici
affreschi la chiesa di san Diego ed emigrato in Russia trovò alla corte di Pietroburgo
onori e fortuna.
18. Diego Corbo, autore
delle «Notti sicole, amene, storiche e filosofiche alle vette dell'Etna ».
19 20 21. Leonardo Martines,
Giuseppe Corbo e Calogero Marotta, poeti vernacoli degni di
speciale menzione.
22. Sciascia dott. Antonino
medico chirurgo, inventore della Fototerapia.
Il dott. Antonino Sciascia nel
1890 scoperse che la luce può applicarsi come mezzo terapeutico ed infatti con
un apparecchio speciale si presentò al XIII Congresso dell'Associazione oftalmologica
italiana, tenutosi in Palermo l'anno 1892.
Una seconda comunicazione che
aveva per titolo: La Fototerapia in medicina e chirurgia e la cura specifica
della resipola, presentò al Congresso medico internazionale di Roma l'anno
1894.
Sorprese allora, ma con continue
pubblicazioni seguirono molti professori in medicina e chirurgia ad occuparsi
della scopertafatta dal dott. Sciascia.
Nel 1897 il Finsen di Copenaghen
pubblicava per la prima volta l'uso della Fototerapia, prescrivendo gli stessi
strumenti inventati e pubblicati dal dottore Sciascia sette anni prima.
Il Finsen fu salutato l'inventore
della Fototerapia ed il dottore Sciascia che non seppe, per modestia,
circondarsi di réclame, rimase ignorato nel mondo scientifico.
Ma la gloria dell'invenzione
spetta soltanto allo Sciascia, che in varie occasioni e su diversi periodici è
stato rivendicato.
Pria che nel mondo medico si
parlasse di Fototerapia, il dottore Sciascia aveva ottenuto il brevetto
d'invenzione e il dott. Kossonis di Smirne gli avea rivolto una lusinghiera
lettera sul giornale «La Riforma » (Roma 6 aprile 1894).
Nel 1902 pubblicava per la Società
editrice Dante Alighieri il libro «La Fototerapia».
23. La Lumia cav. Emanuele.
Uomo politico e poeta di grande valore. Ha scritto moltissimi canti apprezzati
da insigni letterati e i pochi saggi concessi dalla di lui modestia mostrano
larga e facile vena, grandezza di immagini, di forme e di sentimenti.
Cittadini benemeriti:
1. Armonia Filippo,
castellano ed amministratore del principe di Cattolica, nel sec. XVII dotò gran
parte del suo patrimonio all'antico ospedale del Comune, che venne poi trasformato
in collegio di Maria.
2. Sacheli cav. prof. Vincenzo.
Benemerito dell'istruzione popolare.
Fu direttore delle scuole
elementari e indi professore e direttore delle R. scuole tecniche.
Fu amato da tutta la gioventù
studiosa per le sue doti di mente e di cuore e per le sue cure paterne
amorosamente praticate. Fu prodigo con gli studenti poveri, che aiutò negli
studi, e si segnalò come ottimo prosatore, poeta ed epigrafista.
A lui sono intitolate le scuole
elementari dei Comune.
Morì il 20 luglio 1903.
3. Moncada mons. Carmelo.
Fu parroco ed arciprete di Canicattì per circa quarant'anni. Uomo di costumi
semplicissimi e di cuore generoso, il suo lungo parrocato fu una continua
benemerenza, e nell'epidemia colerosa del 1866, con eroismo raro, assistette e
curò gli ammalati, ottenendo dal governo la medaglia dei benemeriti.
Fu arcidiacono nella cattedrale
di Girgenti e morì il 2 febbraro 1907, di anni 91.
4. Lombardo Gangitano
barone Francesco. Benemerito dell'agricoltura e della circoscrizione territoriale.
I suoi vasti poderi sono
coltivati con sistemi agricoli razionalí, e i miglioramenti da lui fatti sono
stati premiati in diverse esposizioni.
Lottò strenuamente per la riforma
della circoscrizione territoriale di Canicattì, non tralasciando alcun mezzo
per ottenerla.
Questa classica lotta gli meritò
la presidenza della Lega siciliana per la riforma delle circoscrizioni
territoriali, nel congresso dei sindaci siciliani, tenuto in sua casa.
È stato più volte presidente e
promotore di varie agitazioni politiche locali.
AGRICOLTURA, INDUSTRIA,
COMMERCIO ED ARTI.
Agricoltura: Il sistema di
coltivazione è l'antico, però da alcuni anni si è esteso l'uso dei concimi
chimici, specie dei fosfati, nella coltivazione della fava.
Prima la fava, come pianta di rinnovo,
ora passiva, oggi dà un rilevante utile sia per l'economia ricavata dal costo e
dal trasporto del concime, sia per l'aumentata produzione.
Importante è la coltivazione del
mandorlo (cultura arborea), pianta della quale si fa una estesissima piantagione.
Nell'ultimo quinquennio si è
rapidamente diffusa la cultura della vite, innestata su vitigno americano, con
ottimo successo nei terreni argillosi, i quali hanno acquistato grande valore
essendo prima destinati alla coltura del grano con infelici risultati.
Nell'agro canicattinese predomina
la piccola proprietà, che si fa valere a colonia parziale. I signori Caramazza,
nel feudo Graziano, ed il barone Francesco Lombardo nelle sue proprietà, han
messo in uso buoni sistemi di cultura e van facendo continue migliorie. Quest'ultimo,
premiato più volto pei miglioramenti agrari, viabilità rurale, case coloniche,
sistemi di coltivazione, ottenne la medaglia d'oro nella II. Esposizione
agricola siciliana di Catania.
Prodotti: Frumento, fave, orzo,
sulla (cultura erbacca); mandorle, pistacchi, carrubbe, olive e frutta in
genere (cultura arborea).
Caccia: Tempo addietro, la
caccia ora abbondantissima e non priva di sorprese. Abbondavano gl'istrici, ora
quasi scomparsi, e le pernici. Ora rimangono in quantità notevole i conigli.
Pastorizia: Per la
mancanza di pascoli l'industria pastorizia è trascurata; pure non manca la
produzione di formaggi e ricotte. Il formaggio di Canicattì ha una discreta
rinomanza ed è oggetto di esportazione.
In alcuni feudi di proprietari canicattinesi
vi sono impianti razionali di caseificio.
L'allevamento ovino è esteso.
Zootecnia: La produzione
equina sembra voglia prendere incremento, quantunque manchi una razza
propriamente detta.
Si ha una stazione di monta nei
feudi di Gibbesi e Grasta.
Con perseveranza di propositi i
signori Lombardo Gangitano, crearono un tipo distinto carrozziero, tenuto molto
in pregio da tutti gli ippofìli.
La produzione mulattiera è assai
diffusa. tenuta in molto pregio e costa anche cara. Con cure adatte si potrebbe
migliorare di molto.
La razza asinina è in vero
decadimento; quella però che si distingue per eleganza di forma e per velocità
di cammino è la razza di Pantelleria.
La produzione pecorina è estesa
ma irrazionale. Non si ha un tipo selezionato che potrebbe, mediante
l'allevamento e gl'incroci, darle tutt'altro aspetto.
È estesa la razza tunisina, che
ha tutti i requisiti commerciali e industriali.
Le capre formano una razza
distinta.
Scarso l'allevamento dei suini e
poco razionale, poiché mancano le ghiande, cibo considerevolissimo che viene
importato dal continente.
In proporzioni limitato è
conosciuta l'apicoltura. Si sconosce la coltura del baco da seta.
Industrie: Canicattì da
diversi anni s'avvia a divenire un importante centro industriale, fornito com'è
di stabilimenti ed officine.
L'industria principale è quella
dei molini a cilindri.
Stabilimento industriale «Trinacria»
di proprietà del comm. Cesare Gangitano. Sorge nel viale Carlo Alberto in
locali spaziosissimi ed eleganti. È mosso da macchina a vapore, che aziona il
molino a cilindri perfezionato, la buratteria, l'olieria (con estrazione
dell'olio da ardere dalle sanze col sistema dell'alta pressione) e la fabbrica
di ghiaccio cristallino.
Stabilimento Acqua nuova per la
produzione di sfarinati, con motore a gas povero. È proprietà dei sig.ri
Giacinto De Caro e C.
Stabilimento Santa Lucia: Farine,
semole, ecc. Motore a gas povero; proprietari: Giuseppe Marotta e C.i.
Pastificio meccanico «San
Francesco» per la produzione di paste alimentari, illuminato a luce elettrica e
azionato da motori a gas povero; proprietari: Vincenzo La Vecchia e C.
Fabbriche di calce idraulica:
Giuseppe La Manna, Fratelli Cuva, Angelo Natale (con motore a gas).
Fabbriche di saponi: Nicolò Narbone
e C. (Specialità nella lavorazione di sapone verde); Antonio e Domenico Ruoppolo;
Luigi Di Benedetto.
Fabbrica di fiammiferi di legno:
Argento e Faldetta.
Segheria meccanica: Vincenzo Lentini.
Officine meccaniche e fonderie:
Antonio Giardina, Giuseppe Cigna e figlio, Leonardo Pepe, ed altre.
Altre industrie sono in via di
formazione per iniziativa di privati intraprendenti.
La piccola industria ha due
specialità: la fabbricazione delle scarpe e quella dei coltelli. Ambedue sono
oggetto di esportazione in tutta la Sicilia e in alcuni luoghi delle Calabrie.
Alberghi: Vi sono alberghi di
secondo e terzo ordine, con comfort moderno: Hótel restaurant Venezia, Albergo
Natale, Albergo Regina Elena, Albergo Palermo ed altri minori.
Commercio: Il commercio è
attivissimo e va aumentando sempre più.
Esportazione: Sfarinati,
coloniali, saponi, fiammiferi; prodotti agricoli: grano, orzo, fave,, mandorle;
zolfo, gesso, calce, ecc.
Importazione: Tessuti, macchine,
concimi chimici, ortaglie, latticini e simili.
Viabilità: Il Comune è
congiunto a mezzo di strade intercomunali e provinciali con Delia, Serradifalco
e Montedoro, Castrofilippo, Naro e Campobello.
Una buona rete di strade
mulattiere rotabili e di trazzere allaccia le diverse contrade del territorio.
Banche e Casse: Banco di
Credito canicattinese, Società anonima per azioni.
Banca agricola cooperativa di
Canicattì, Società anonima per azioni.
Cassa rurale «San Francesco
d'Assisi». Società cooperativa a nome collettivo.
Fiere e mercati: Sabato e
domenica in albis; 2 e 3 maggio (SS. Crocifisso); 1 e 2 luglio (S.
Pancrazio); prima domenica di agosto e vigilia (S. Calogero); 15 agosto; ultima
domenica d'agosto e sua vigilia (S. Diego); terza domenica d'ottobre e vigilia
(SS. Rosario); prima domenica di novembre (S. Giuseppe da Copertino); 12 e 13
dicembre (S. Lucia).
Fotografie: E' notevole lo
studio fotografico del prof. Giovanni Rao, con deposito e vendita di macchine
ed accessori per fotografie.
USI E COSTUMI.
Lo squadrone della real
Maestranza: Quando sul principio dell'era moderna, il regno di Sicilia giurava
di difendere il dogma dell'Immacolato concepimento di Maria, sino all'offusione
del sangue, la corporazione della real Maestranza di Canicattì rispondeva
entusiasticamente.
Allora si stabilì di formare uno
squadrone, comandato da un capitano, e di portare processionalmente, il giorno
della commemorazione dell'Immacolata (Domenica in albis), le armi del castello,
che una leggenda popolare diceva essersi acquistato con l'aiuto della Madonna
all'assedio di monte Saraceno.
Dopo il 1827 le armi furono
sostituite da alabarde e lancie di ferro e sino ai nostri giorni, benché con
qualche intervallo, si costuma ancora di fare questa processione.
La vigilia della festa i
cosiddetti artiglieri, insieme al capitano, al caratteristico suono dei
tamburi, allo sparo di bombe e mortaretti, invitano gli ascritti alla solenne
processione del giorno dopo.
La mattina della festa i mastri
conducono in giro ciascuno una lancia o un'alabarda, precede il gonfaloniere,
mentre in mezzo alla schiera dei processionanti un vessillifero compie esercizi
con una bandiera gialla, e il tamburo eseguisce il rullìo speciale per il
cadenzato ritmo non appena finiscono le esercitazioni.
Il dopopranzo la corporazione
accompagna, con ceri, la processione religiosa.
Anticamente il capitano godeva
molti privilegi, fra i quali quello di liberare il giorno della festa un
prigioniero.
Altre usanze : Caratteristiche
sono la lamentazioni funebri della quaresima e della settimana santa.
La vigilia dell’8 dicembre le
immagini dei sovrani vengono portate processionalmente nella chiesa di san
Francesco; e a sera si accendono grandiosi falò (vamparotti).
Anticamente si costumava gettare
del grano agli sposi in segno di prosperità ed abbondanza.
Si facevano rappresentazioni sacre
in costume nelle vie e nelle piazze. Rimangono ancora: l'arrivo dei magi il
giorno dell'Epifania e il pranzo alla sacra famiglia (lu san Giuseppi) durante
il mese di marza.
Caratteri fisici degli
abitanti: Gli abitanti sono generalmente di statura regolare, colorito
bruno, occhi e capelli castagni.
Il dialetto è rude e caldo.
Caratteri psichici: Il canicattinese
è intollerante dell' offesa, geloso custode dell' onore, di spiccata operosità.
Non curante di tutto ciò che per
lui è indifferente, è solo occupato all'economia domestica, all'aumento della
ricchezza mediante il lavoro e l'industria. Ha tratti generosi di ospitalità.
L'intelligenza sviluppata gli
consente avere ed agitare delle idee.
Tradizioni e leggende: La
spada d'Orlando, il tesoro di Vito Soldano, la storia del re turco, sono
argomenti preferiti dal popolino.
Orlando, per dar passaggio alle
sue truppe, spacca con un sol colpo la montagna che ancor oggi si chiama «la purtedda
d'Orlannu»,
Un gran tesoro è
sotterrato a Vito Soldano (Motyum), ed ivi, ogni sette anni, si tiene una fiera
incantata nella quale tutti gli oggetti posti in vendita sono d'oro.
Un villano canicattinese andò un
giorno a far visita al gran turco, il quale gli domandò se il tesoro di Vito Soldano
fosso stato disincantato. Il villano rispose che no, ed il gran turco, di
rimando, esclamò: «Povera Sicilia!»
Un altro tesoro è riservato a chi
giungerà sulla Serra Puleri senza versare goccia di una boccata d'acqua,
attinta alla fonte Cannolelli!
Scienza popolare: I
contadini usano come medicinali alcune erbe; qualche donna del volgo protende
di saper rimettere a posto le ossa slogate e contuse.
Spettacoli: La maggiore
tendenza è per gli spettacoli drammatici e il teatro delle marionette.
Il paese è molto festaiuolo: i
fuochi pirotecnici costituiscono pel popolino la maggiore attrattiva.
Alimenti: La cucina canicattinese
è semplicissima; si fa un gran consumo di farinacei e di verdura. Il mercato
quotidiano è abbondantissimo di generi alimentari, di verdure, di carne d'ogni
specie e di pesci.
Abitazioni: Le abitazioni
sono costruite con pietra calcarea compatta e gesso: da recente si usa la calce
con il cimento.
Le abitazioni dei contadini
poveri si compongono generalmente di un solo vano, ma gli agiati hanno case a
primo piano decentemente arredate.
Fogge di vestire: L'antico
costume dei contadini è quasi scomparso.
Dapprima si usavano calzoni corti
di velluto, calzettoni di lana, giacchetta corta di velluto o panno bleu,
berretta di lana pendente sul collo.
Le donne portavano un grembiale
di panno verde e la caratteristica mantellina.
RELIGIONE.
Clero: Il capo del Clero è
l'arciprete parroco; il vicario foraneo è il superiore disciplinare.
Nelle due parrocchie succursali,
S. Diego e S. Biagio, l'amministrazione dei sacramenti è affidata a due
coadiutori.
Santo patrono; San
Pancrazio vescovo e martire. Nacque in Antiochia, andò a Gerusalemme per vedere
Gesù Cristo, e fu battezzato da san Pietro. Consacrato vescovo in Antiochia fu
compagno di san Pietro nella predicazione e mandato in Sicilia approdò a
Taormina. Predicò e fe' prodigi; Bonifazio, prefetto della città, e molti
cittadini furono da lui battez- zati; ma per opera di Artogato, con replicati
colpi di spada ricevette il martirio nel luglio del 40.
A lui è dedicata la chiesa madre.
La divozione al santo patrono fu introdotta a Canicattì nel 1453 quando alcuni taorminesi
la popolarono.
Santo protettore: San
Diego d'Alcalà. Canonizzato da Sisto V il 2 luglio 1588.
A Canicattì, nel 1640 se ne
celebrava sontuosamente la festa nella chiesa dello Spirito Santo dei FF. M.
O.; poscia nella chiesa di S. Sebastiano (oggi S. Diego).
Il breve di Urbano VIII Cum sicut
accepimus, chiama la confraternita di san Sebastiano anche col nome di S.
Diego: ciò prova che sin da quei tempi S. Diego era il santo protettore di
Canicattì. Ciò vien confermato da una lettera di don Giacomo San Filippo,
vicario generale di Girgenti del 1576 (1), e da un'altra della Corte vescovile
di Girgenti deIl'anno 1621, 8 giugno, nella quale si accordava il permesso
della processione della statua
La sua festa si celebra l’ultima
domenica di agosto.
Altre solenni feste:
Tralasciando le meno importanti, data la natura festaiuola del popolo, segniamo
qui le principali:
Domenica in albis: Commemorazione
di Maria SS. Immacolata; 3 maggio, SS. Crocifisso; ultima domenica di maggio:
SS. Annunziata; ultima domenica di agosto: S. Diego; terza domenica di ottobre:
SS. Rosario; 8 dicembre: Immacolata Concezione.
Santi, beati, venerabili,
ecc.:
l. Ven. Fra Domenico Lo Verme,
minore conventuale. Uomo di vita innocente e penitente. La tradizione ci narra
di lui molti miracoli, tra i quali la bilocazione.
Visse lungamente in Palermo nel
convento di S. Francesco, questuando per l'Immacolata e per S. Antonio, dei
quali ora divotissimo.
Morì nel 1713 di anni 73 e fu
sepolto nella sua chiesa di S. Francesco di Palermo.
Monsignor Gasch, arcivescovo in
quel tempo, pose in luogo di deposito il prezioso carpo e cominciò ad istruire
il processo di beatificazione.
La sua tomba profanata nel 1860
dai rivoluzionari, fu ricognizionata in seguito dal cardinale Celesia.
2. Fra Antonio Nocera,
terziario dei frati minori. Nacque nel 1561. A vent'anni vesti le serafiche
lane e cominciò a menare una vita penitente e perfetta. Nel 1631 il provinciale
p. Antonio da Trapani, otteneva da Urbano VIII la licenza di fabbricare un
convento in Canicattì, e fra Antonio Nocera fu incaricato di iniziare e compire
l'opera.
Durante la fabbrica Dio volle
illustrare con miracoli la santità del suo servo e la tradizione ci ricorda
parecchi prodigi.
Morì santamente il 10 ottobre
1644, e fu sepolto in luogo distinto, sotto l'altare maggiore della chiesa
fabbricata da lui con tanto amore. Quando nel 1898 si pavimentò a nuovo il sancta
sanctorum, nel riparare la volta della sepolture fu visto, quasi incorrotto, e
fu raccolto in una decente cassa di zinco.
3. Sac. d. Elia Lauricella
nato a Racalmuto. Già maestro di spirito nel seminario di Girgenti (1763).
Uomo di molta perfezione e pieno
dì ardente zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, allorché
Mercurio Teresi da Montemaggiore, ed Arcangelo Blandini da Palagonia formarono
una congregazione di sacerdoti missionari, che con la loro dottrina e pietà
santificarono in quell'epoca la Sicilia; il Lauricella abbandonò il seminario e
loro si uni nelle fatiche dell'apostolico ministero. Fu confessore delle moniali
di Palma Montechiaro e visse a lungo in Canicattì, dove morì santamente l'8
novembre 1780, di anni 72.
È sepolto nella chiesa degli
agonizzanti.
4. P. Francesco Lombardo,
cappuccino, di vita austerissima, fu maestro dei novizi e portò a perfezione,
spirituale i suoi discepoli. Morì con grande fama di santità in Termini Imerese
nel principio del secolo XIX.
5. P. Gioacchino La Lomia cappuccino.
Nacque il 4 marzo 1831. Spinto dalla vocazione, abbandonando nobiltà e
ricchezze, vestì le lane del povero cappuccino nel convento di Girgenti il 12
novembre 1852. Fu ordinato sacerdote in Palermo il 2 giugno 1855.
Nel 1868 fu destinato a Rio do Janerio
nella missione del Brasile.
Qui comincia la sua vita
veramente apostolica, non tralasciando fatiche per portare ai selvaggi la
civiltà cristiana.
Fu nominato cappellano delle
truppe imperiali e nella guerra col Paraguay (1865), accorse sul campo di
battaglia, curando i feriti, e assistendo i moribondi.
Nel 1880 ritorna in patria e
fonda il convento della Madonna della Rocca.
Un nuovo campo è qui aperto alle
sue apostoliche fatiche: fa missioni in molti paesi dell'isola, tanto da esser
chiamato l'apostolo della Sicilia.
Morì la sera del 30 luglio 1905.
I suoi funerali furono
un'apoteosi e mai fu visto a Canicattì un popolo così straordinario piangere le
virtù di un santo.
Chiese :
Chiesa madre, dedicata a S.
Pancrazio vescovo e martire
Chiesa di san Biagio. Parrocchia
succursale
Chiesa di S. Diego. Parrocchia
succursale.
Chiesa di Maria SS. degli
Agonizzanti.
Chies di S. Francesco d'Assisi.
Chiesa di S. Domenico (già del
convento dei pp. predicatori)
Chiesa di Maria SS. del Carmelo,
già del convento dei pp. carmelitani
Chiesa di S. Edoardo.
Chiesa di S. Lucia
Chiesa del monastero dei Ss.
Filippo e Giacomo
Chiesa di S. Giuseppe, con
annesso collegio di Maria
Chiesa del convento dei frati
minori (Spirito Santo)
Chiesa del convento del
cappuccini. Madonna della Rocca
Chiesa del SS. Redentore (in
costruzione nei nuovi quartieri).
Chiese rurali: Purgatorio (in
contrada Rinazzi) ; Madonna dello Grazie (in contrada Gulli); Oratorio pubblico
del barone La Lomia (in villa Giacchetto); Oratorio pubblico del cav. Gioacchino
La Lomia (nel feudo di Cazzola); Madonna dell'Aiuto (contrada omonima, diocesi
di Caltanissetta).
Associazioni e congregazioni
religiose:
l. Confraternita di S. Sobastiano
(nella chiesa di San Diego).
2. Confraternita del SS.
Salvatore (nella chiesa dello Spirito Santo).
3. Confraternita di S. Biagio.
4. Confraternita di M. SS. degli
Agonizzanti.
5. Confraternita del SS. Rosario
(chiesa di S. Domenico).
6. Confraternita della S. Croce
(chiesa del Carmine).
7. Confraternita della S.
Famiglia (chiesa. di san Nicolò).
8. Confraternita di S. Edoardo.
9. Confraternita di S. Barbara.
10 Terz'ordine dì S. Domenico.
11. Terz'ordine di S. Francesco
(nelle chiese di S. Francesco dei conventuali, S. Spirito dei frati minori,
Madonna d. Rocca dei cappuccini)
12. Terz'ordine agostiniano (S.
Biagio).
13. Pia Opera del Suffragio
(Purgatorio).
14. Pia Unione delle figlie di Maria.
15. Pia Unione delle madri
cristiane,
16. Figlie del S. Cuore.
17. Opera del pane di S.
Antonio, (nelle chiese di S. Francesco e S. Spirito e nell'Istituto del Boccone
del Povero).
Tradizioni e leggende sacre:
I. Le armi dell'Immacolata,
poste nel castello:
Narra il popolano:
Quando il conte Ruggero assediava
monte Saraceno, i soldati, desiderando terminare la battaglia e vincere prima
del tramonto del sole, rivolsero fervorose preghiere all'Immacolata, ed il sole
si fermò nel suo corso fino a che, ottenuta la vittoria, poterono conquistare
le armi saracene, che collocate su un carro da buoi, furono portate al castello
dì Canicattì.
Un'altra lezione dice, che le
armi furono trovate da alcuni contadini, i quali pregarono l'Immacolata di S.Francesco,
perché il sole si fermasse, permettendo così i lavori d'escavo prima di notte e
che il sole si fermò.
II. La Madonna di Gulfi:
Un contadino pascolava i buoi in
contrada Gulfi, presso la fontana del Paradiso. Ad un tratto i buoi
inginocchiatisi rifiutarono di andare avanti, indicando le roccia. Il
contadino, avvertito per tal mezzo della presenza di qualche cosa di sacro, con
l'aiuto di alcuni suoi compagni , scavando la roccia, ritrovò una grotta con
un'immagine della Madonna delle Grazie dipinta sul sasso. La grotta fu
trasformata in chiesetta ed ogni anno vi si celebra la festa.
III. Antonio Di Blasi Testalonga,
il famigerato bandito, mosse ad assaltare il monastero delle benedettine. Un
vecchio venerando dalla lunga barba bianca (S. Benedetto) gl'impedì col
pastorale l'entrata nella badia.
IV. Un'altra leggenda, come
abbiamo detto altrove, attribuisca agli angeli la fattura del volto della
statua dell'Immacolata.
Il frate scultore, che la
lavorava, rapito in estasi, dopo la comunione trovò la statua miracolosamente
completata.
V. Un ladro che tentava derubare
dai gioielli la prodigiosa immagine, fu messo in fuga dal miracoloso suono
della campana.
IGIENE.
Media dei morti nell'ultimo
decennio n. 680.
Canicattì ha sottosuolo asciutto
ed esposizione ad oriente difeso dai venti di tramontana e completamente di
quelli di ponente, ha perciò condizioni climatiche che impediscono lo sviluppo
delle malattie contagiose.
L'igiene si è molto avvantaggiata
dell'abbondanza di acqua potabile.
Ogni anno fra i contadini e gli zolfatai
avvengono molti casi di malaria, contratta in località appartenenti ad altri
territori. Però la mortalità per inalarla è minima, poiché la assistenza
sanitaria è efficace e la somministrazione gratuita del chinino, anche prima
della legge contro la malaria, è stata sempre abbondante.
I bambini, in estate, per la
cattiva ed incongrua alimentazione, ed in inverno per il pregiudizio di tenerli
molto coperti con pannolini ed indumenti pesanti, dànno il maggiore contributo
a stabilire la percentuale dei morti, sebbene in complesso la percentuale sia
abbastanza bassa.
MORALITÀ.
Le condizioni morali della
popolazione, data l'aumentata istruzione, sono migliorate di molto, quantunque
in generale gl'instinti primitivi non sono ancora totalmente domati.
In un impeto d'ira il canicattinese
dimentica tutti i buoni propositi e commette reati di sangue.
Frequente il pascolo abusivo e
piuttosto rari i furti (consumati d'ordinario durante i periodi di
disoccupazione o di carestia).
Da alcuni anni le statistiche
giudiziarie segnano una notevole diminuzione de' reati in genere.
ISTRUZIONE.
Istruzione elementare: I locali
scolastici sono alcuni adattati nell'ex convento di san Domenico, altri in
stanze prese in affitto; mancano quindi in alcune aule le condizioni igieniche
necessarie al buon andamento della scuola.
Però è prossima la costruzione di
vari padiglioni scolastici, secondo le norme moderne, sia per la didattica che
per l'igiene.
Il personale insegnante che
disimpegna conlode la ima missione è composto di 60 individui
Frequentano le scuole maschili
1162 alunni, e le femminili 1118.
Le scuole serali sono frequentate
da 334 alunni e le festive da 132 alunne.
Patronato scolastico: Sorto in quest'anno
1907 con un comitato di dame patronesse si propone sommnistrare agli alunni
poveri oggetti di vestiario e materiale scolastico.
La refezione scolastica è
stabilita a spese del Municipio.
Istruzione secondaria Canicattì
ha una R. Scuola tecnica, fondata il l. gennaio 1864 con circa 130 alunni. Essa
è corredata di una bella sala di disegno, un gabinetto di scienze naturali, una
bibliotechina, una palestra gin- nastica ed un elegante giardino.
Collegio di Maria: Fu fondato da
mons. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti, in corso di sacra visita nel
febbraio del 1737.
Scopo dell'istituto è
l'istruzione elementare la civile e la religiosa alle fanciulle ed inoltre
l'ammaestramento nei diversi lavori donneschi di ricamo, cucito, ecc.
È retto da suore collegine, sotto
la regola del card. Corradini.
Prima del 1860 Canicattì era
provveduta di scuole pubbliche, mantenute dall'Università, dove s'impartiva
l'istruzione primaria e 1a secondaria fino all'umanità e all'eloquenza.
Biblioteca «Sammarco»: Fondata
dal cavaliere Desiderio Sammarco nel 1783.
Ne è amministratore il fidecommissario
dell'Opera pia Sammarco, che è per dísposizione testamentaria del fondatore, il
parroco pro tempore di Canicattì.
Da gran tempo chiusa al pubblico,
la biblioteca si sta riordinando e sarà riaperta subito al pubblico ed i
privati concorreranno alle spese necessarie per il rifornimento di nuovi libri.
Attualmente consta di circa
duemila volumi, alcuni manoscritti e pregiati incunaboli.
Stampa, tipografie, ecc.: Ottime
sono le tipografie esistenti nel Comune, fornite di macchine e tipi moderni.
Sono degne di menzione quelle di Alfonso
De Castro, Vinc. Sedita e Giuseppe Cigna e C.
Hanno avuto vita in Canicattì
diversi giornali: « La Pietra », « Pensiero ed Azione », « La Luce », « Il
Risveglio » democratico cristiano, «La Folgore socialista », « Il Popolo
Siciliano », politico letterario illustrato, il « Bollettino della lega contro
le decime », « La Bohème », umoristico; attualmente si pubblica «La Folla »
giornale socialista.
I più importanti giornali
politici quotidiani dell'isola e del. continente hanno a Canicattì buoni
corrispondenti.
MERCEDI, PREVIDENZA,
ASSISTENZA PUBBLICA, BENEFICENZA.
Mercedi: La media della mercede
giornaliera dei lavoratori è di L. 2 circa. Nel periodo della mietitura aumenta
fino a 4 e 5 lire.
Cooperazione: La Cassa agricola «
Sacro Cuore di Gesù » oltre al credito esercita la cooperazione di produzione e
lavoro.
I tentativi di cooperative di
consumo, fatti dai cattolici e dai socialisti, per questioni ambientali, non
hanno potuto attecchire.
Le cooperative di credito, che
abbiamo sopra notate, sono in condizioni floridissime; le Banche fanno anche
operazioni su pegno.
Società di mutuo soccorso: l. «
La Redenzione del lavoro » tra murifabbri, scarpellini e braccianti.
Mutua assistenza fra zolfatai.
Ospedale: È diretto dalle
religiose Serve dei poveri dell'Associazione del Boccone del povero, ed è
amministrato da una Cominission(11 di cittadini eletti dal Consiglio comunale.
I locali sono spaziosi e ben
messi. Di recente s'è costruita una sala operatoria secondo i nuovi dettami
della scienza e dell'igiene.
Ricovero di mendicità: Ospita in
media 55 invalidi. A questo istituto è annesso un orfanotrofio femminile che
racchiude cinque orfane di padre e di madre ed è sostenuto da una rendita
lasciata espressamente dalla signora Anna Maria Corsello. Altre 20 orfanelle sono
mantenuto dalla carità cittadina.
Ambulatorio medico chirurgico: È
sussidiato dal Municipio e dalla beneficenza cittadina. I medici chirurghi si
alternano a vicenda nella cura degli ammalati poveri.
AMMINISTRAZIONE.
Uffici pubblici residenti nel Conwne:
Municipio
Pretura mandamentale
Ufficio di conciliazione
Tenenza dei RR. Carabinieri
Comando di battaglione
Agenzia delle imposte dirette e
del catasto
Ufficio del registro e demanio
Magazzino dei tabacchi
Delegazione di P. S.
Brigata delle guardie di P. S.
Esattoria e tesoreria comunale
Ufficio postale e telegrafico
Uffici Dazio consumo.
Sindaci e RR. Commissari che
hanno rappresentato il Comune dal 1860 ad oggi:
1860 Bartoccelli barone
Gaetano.
1861 Gangitano Federico.
1862 Scozzari Gerlando, Commis.
str.
1863-67 Gangitano Salvatore.
1868-69 La Lomia cav. Emanuele.
1870 Gangitano Salvatore.
1871 Caramazza Giuseppe.
1872 Sclafani Giacomo, Comm. prefett.
1872 Testasecca Pietro.
1873-75 Gangitano Salvatore.
1876-80 Lombardo Salvatore.
1881-85 La Lomia cav. Emanuele.
1886 Bevacqua Proto comm.
Paolo, R. C.rio
1887-90 Lombardo Gangitano cav.
Nicolò.
1891-92 Sammarco Giuseppe.
1892-93 Falcone avv. Vincenzo,
1894 Stella dott. Nicolò.
1895-96 La Lomia barone Agostino.
1897 Ferri rag. Raffaele, Comm.
prefett.
1898 Perito avv. Vincenzo »
1898 Vaccaro rag. Giuseppe »
1898 Lalìa avv. Vincenzo, R. Commiss.
1898 Miccio Carmine, Commiss. prefett.
1898 Rossa cav. dott.
Vincenzo, R. Com.
1899-901 Gangitano cav. Enrico.
1902 Gangitano avv. Giacinto.
1902 Perricone d.r Ferdinando,
Com. pret.
1902 Palumbo Cardella av.
Ernesto, R. C.rio
1903 Antinori not. Vincenzo:
Pro sindaco.
1903 La Lomia dott. Antonio.
1904 Caramazza prof. Francesco.
1905 Portalone Adamo Luigi.
1906 Palermo di Lazzarino rag.
Francesco, Commis. prefett.
1906 Abate di Lungarini cav. Ant., R. Com.
1906-907 Rao Gaetano.
Consiglio comunale: È composto di
numero 30 membri.
Imposte locali: Focatico, sulle
bestie da tiro, sui domestici, sulle vetture.
Servizi municipali diversi:
Esiste un ufficio tecnico municipale per la sistemazione delle strade, la
redazione di progetti e perizie, diretto da una ingegnere; un gabinetto per
l'analisi chimica diretto dall'ufficiale sanitario e dal veterinario.
Le principali strade urbane sono
inghiaiate, le secondarie selciate, le esterne sono inghiaiate, e le vicinali selciate
o naturali.
La fognatura è incompleta e non
del tutto razionale.
La città è provvista di acquedotto
che deriva le acque dalla sorgente Savuco, per un percorso di km. sette. Ha una
portata di poco più di sei litri in tempo di magra: vale a dire 360 litri al minuto.
La rete di distribuzione interna
è piuttosto vasta, ma non comprende la parte alta dell'abitato per ragioni di
livello.
Numerose fontanine, parecchie
bocche d'incendio nelle vie principali, acqua a chiave libera negli edifici
pubblici, a bocca tassata nelle case private.
L'edilizia è stata un po'
trascurata, ma ora si va notando un certo risveglio, tanto per opera del
municipio, che per opera dei privati: tanto, nei riguardi estetici, quanto
negli igienici.
Il municipio ha preparato ed ha
in corso di approvazione un regolamento edilizio, un nuovo regolamento
igienico, il progetto di un grande edifizio scolastico e quello di diverse
importanti opere di risanamento.
Vi è una banda musicale privata
sussidiata dal municipio, fondata l'anno 1868 dal maestro Montelepre, diretta
dal maestro Giuseppe Ginex, e dal sostituto Salvatore Russo.
CIRCOLI RICREATIVI.
Sono aperti nel Comune diversi ed
eleganti Casini di compagnia.
l. Casino dei civili.
2. Casino dei negozianti «
Umberto I ».
3. Circolo operaio.
4. Società murifabbri.
5. Società zolfatai.
STEMMA MUNICIPALE.
Anticamente il Comune aveva per
suo lo stemma della famiglia Bonanno: un gatto nero passante in campo d'oro,
col motto: « nec sol per diem, neque luna per noctem». Nel periodo
rivoluzionarlo del 1848 il Comune assunse per stemma: la Trinacria ed
un'aquila.
Oggi lo stemma è d'azzurro,
diviso: nel 1° la Fama, e nel 2° Nettuno, ambedue d'oro. Corona di città.
BIBLIOGRAFIA.
Amico Vito Lexicon topograficum
Siculum
» Dizionario topogr. di
Sicilia, traduzione e note di G. di Marzo, Palermo 1855.
AMARI Michele Storia dei
musulmani in Sicilia.
» Biblioteca arabo sicula.
» Carte comparée de la Sicile.
ANNALI di statistica industriale
pubblicati dal ministero di agricoltura industria e commercio (Direzione
generale della statistica) fasc. LX. Notizie sulle condizioni industriali della
provincia di Girgenti.
ANNUARIO ecclesiastico della
diocesi di,Girgenti.
APRILE Francesco Cronologia
universale di Sicilia.
ATTARDI p. Bonaventura Sul monachismo
in Sicilia.
ATTI dei censimenti della
popolazione del regno negli anni 1861, 1871, 1881 e 1901 pubblicati dal
Ministero di agricoltura, industria e commercio, (Direzione generale della
statistica).
ATTI della Giunta per l'inchiesta
agraria, volume XIII.
BALDACCI Lorenzo Descrizione
geologica dell'isola di Sicilia.
CAETANI Vitae Sanctorum Siculorum.
CARAFA Storia.
CARNE VALE Storia di Sicilia.
CARTA TOPOGRAFICA del R. Istituto
geografico militare, alla scala 1: 50,000 foglio 267, II.
CARUS0 Memorie storiche.
CASACCIO Sulla famiglia ROSSI
CHIESI Gustavo La Sicilia
illustrata.
CORBO Diego Notti sicule, amene,
storiche e filosofiche alle vette dell'Etna.
DE BURIGNY Storia generale di
Sicilia.
» Descrizione geografica
di Sicilia.
DI BLASI Storia dei
viceré.
DI GREGORIO Rosario
Considerazioni sulla storia di Sicilia.
DI PUMA Pietro Annuario
della diocesi di Girgenti.
EDRISI Geografia.
FAZELLO Tommaso teche.
GIOIA p. Agostino Vita di Fra
Antonio Nocera.
GIORNALE «Il _Risveglio»
Diversi articoli su Canicattì dei dottori Giuseppe Antinori Rizzo, e Luigi La
Vecchia. Altri articoli raccolti in opuscoli su la questione territoriale di
Canicattì.
GUARINO AMELLA Giovanni La
questione territoriale.
LA LUMIA arc. Luigi Vita di S.
Pancrazio.
LAURICELLA cav. Antonio Storia
del Seminario di Girgenti.
LAURICELLA dott. Ferdinando
Ricerche storiche su Ravanusa.
MAGGIORE sac. Nicolò Compendio
della storia di Sicilia.
MALATERRA Goffredo Storia.
MARSALA (da) p. Gaetano Vita di S.
Diego.
MASSA G. A. Della Sicilia in
prospettiva.
MUGNOS Teatro genealogico.
NOTIZIE DI SCAVI, Rivista Anni
1878 e 1879.
ORTEGA Giuseppe Diario
(manoscritto).
PANCRAZI Antichità siciliane.
PICONE Giuseppe Memorie storiche
agrigentine.
PIRRO Rocco Sicilia. sacra.
PITRÈ Giuseppe Biblioteca delle
tradizioni popolari.
PUGLIESE Vito Geografia.
SACCO Dizionario geografico di
Sicilia.
TAVOLA poliometrica delle
distanze in chilometri tr1 a i Comuni della prov. di Girgonti,
compilata dall'ufficio del Genio civile il 10 maggio 1808.
VILLABIANCA (marchese di) Sicilia
nobile.
INDICE
INTRODUZIONE.
BIBLIOGRAPIA.
NOTIZIE STATISTICHE:
Circoscrizione del
Comune.
Distanze dai
capoluoghi
Popolazione del
Comune
Emigrazione
Elettori
Stazione ferroviaria
GEOGRAFIA FISICA E BIOLOGICA
Area
Configurazione
Geologia.
Idrologia.
Sottosuolo
Clima
Flora
Fauna
STORIA
ARCHEOLOGIA, MONUMENTI ED OPERE
ARTISTICHE, EDIFICII NOTEVOLI .
SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI.
UOMINI ILLUSTRI. CITTADINI BENEMERITI .
AGRICOLTURA, INDUSTRIA, COMMERCIO
ED ARTI:
Agricoltura
Prodotti.
Caccia .
Pastorizia
Zootecnia
Industrie
Alberghi
Importazione ed
esportazione
Viabilità.
Banche e Casse
Fiere e mercati
Fotografie
USI E COSTUMI:
Lo sqadrone della real Maestranza
Altre usanze.
Caratteri fisici degli abitanti
» psichici
Tradizioni e leggende.
Scienza, popolare
Spettacoli
Alimenti.
Abitazioni
Fogge di vestire.
RELIGIONE:
Clero
Santo patrono
Santo protettore
Altre solenni feste
Santi, beati,
venerabili, ecc.
Chiese
Associazioni e
congregazioni religiose »
Tradizioni e leggende
sacre
MORALITÀ
ISTRUZIONE:
Istruzione elementare.
Patronato scolastico .
Istruzione secondaria .
Collegio di Maria
Biblioteca «Sammarco»
Stampa, tipografie, ecc.
MERCEDI. PREVIDENZA, ASSISTENZA
PUB BLICA, BENEFICENZA:
Mercedi.
Cooperazione
Società
di mutuo soccorso
Ospedale
Ricovero
di mendicità
Ambulatorio
medico chirurgico
AMMINISTRAZIONE:
Uffici pubblici residenti nel Comune.
Sindaci e RR. Commissari che
hanno rappresentato il Comune dal 1860 ad oggi
Consiglio comunale.
CIRCOLI RICREATIVI
STEMMA MUNICIPALE