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Don Vincenzo Munna
Missionario Salesiano
fucilato in Cina nel luglio 1945

Premessa.

        Per potere inquadrare correttamente e chiaramente la vicenda al cui centro giganteggia la figura di Padre Vincenzo Munna (e non Munda), è necessario ed opportuno in premessa delineare brevemente gli eventi che scossero il Continente Cina proprio nei due periodi in cui il nostro Padre Vincenzo vi fu missionario, in un primo tempo dal 18 agosto 1921 al 1935 e, dopo un anno di riposo in Sicilia, dal 1936 al 29 luglio 1945, data del suo assassinio all'età di 56 anni; quindi una azione missionaria durata quattordici anni nel primo periodo e nove nel secondo, per complessivi ventitré anni.
        Sino al 1923, dopo l’ instaurazione della repubblica nel 1911 con la scissione del Sud e poi nel 1912 anche nel Nord con la deposizione dell'ultimo Imperatore, la Cina era divisa in due zone di influenza: a Nord comandavano ancora i capi militari, i cosiddetti signori della guerra, mentre il Centro ed il Sud erano sotto il controllo di Comunisti e Nazionalisti i quali, nonostante tra di loro avversari, si coalizzarono contro i signori della guerra, sconfiggendoli ed occupando anche il Nord della Cina; nel 1927, però, a vittoria conseguita, i nazionalisti rivolsero le armi contro i comunisti e si impadronirono anche della zona Nord e nel 1928 trasferirono la capitale da Pechino a Nanchino; ovviamente la guerra civile continuò tra i nazionalisti guidati da Chiang Kai - shek ed i comunisti con a capo Mao Tse Tung.
        Nel 1931 il Giappone, profittando del marasma che regnava in tutta la Cina, occupò prima la Manciuria e poi la Cina del Nord; ciò determinò una indiretta alleanza di fatto tra le due fazioni cinesi che, anche se separatamente in un primo tempo, lottarono per arginare l'invasione giapponese, la quale, nel luglio 1937, partendo dal Nord sfociò in una dura offensiva verso il Sud della Cina, azione che culminò nell'occupazione di Shangai, di Nanchino e di Canton, investendo così anche la regione in cui operavano i missionari cattolici. Dopo di ciò l'alleanza tra nazionalisti (Kuomintang) e comunisti fu più organica e così fu loro possibile arrestare l'avanzata giapponese sino a quando il Giappone non si arrese alle truppe alleate il 2 settembre 1945, dopo che gli americani avevano perpetrato uno dei più nefandi crimini contro l'umanità, per la prima e speriamo per l'ultima volta, con il lancio di due bombe atomiche su Hiroshima il 6 agosto 1945 e su Nagasaki tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, assassinando d'un colpo immediatamente circa 70.000 civili di tutte le età e lasciando una serie di orrende malattie in coloro che erano sopravvissuti, molti dei quali, circa altri 130.000, morirono in seguito tra atroci dolori.
        In questo contesto così terribile si trovò ad operare il nostro Padre Vincenzo, missionario salesiano canicattinese, figlio di Michele Munna e di Maria Bonsangue, nato il 24 giugno 1889 a Canicattì, fucilato presso Lai How Kiu in Cina il 29 luglio 1945.

Don Vincenzo Munna
        Da bambino di circa due anni ebbe la ventura di essere miracolato da Padre Gioacchino La Lomia, di cui è in corso il processo di beatificazione; probabilmente tale evento, tramite la mamma Maria Bonsangue, donna devotissima, avrà influito sulla sua vocazione sacerdotale, anche se da Salesiano e non da Francescano, in ciò sicuramente indirizzato da un'altra grande figura di Sacerdote suo concittadino, Padre Antonio Fasulo, di cui cenneremo in seguito; comunque l'esempio di Padre Gioacchino con la sua missione in Brasile durata oltre dodici anni, è stata anch'essa certamente una delle cause determinanti della sua scelta missionaria in una terra difficile quale era la Cina allora e quale purtroppo seguita ad essere tuttora.
        La tragedia vissuta da Padre Vincenzo nel luglio 1945 dimostra che la persecuzione in Cina contro i Cattolici fedeli a Roma perdura da oltre sessanta anni, e che si è accentuata dopo che il potere in Cina dal 21 novembre 1949 è stato assunto totalitariamente dai comunisti, i cui dirigenti hanno costantemente tentato di mascherare i loro crimini sotto diverse causali, mentre la loro azione è stata dettata oltre che da spirito xenofobo ed antireligioso, spesso anche da interessi di avidità materialista.
        E' intuitivo che Don Vincenzo ed i suoi Confratelli partendo per la Cina, sia nel primo periodo e con maggiore cognizione di causa nel secondo, avevano piena coscienza dello stato caotico in cui essa versava e della pericolosità che tale stato di cose poteva costituire per dei Missionari stranieri, soprattutto perché Religiosi.
        Dopo avere studiato a San Gregorio di Pedara, in provincia di Catania, ed avere emesso i voti semplici il 19 febbraio 1910, Vincenzo interruppe gli studi perché chiamato alle armi durante la prima guerra mondiale, dal 1915 al 1918; al ritorno completò gli studi a Pedara e venne trasferito a Caltagirone dove il 20 dicembre 1919 fu ordinato Sacerdote.
        Nel 1920 si trova a Torino, presso la Casa Madre dei Salesiani, in preparazione della partenza per la Cina con un gruppo di suoi Confratelli.
         Arriva in Estremo Oriente il 18 agosto 1921
         Don Vincenzo, sol perché dotato di una grande Fede e di una altrettanto grande forza d'animo, potè superare le enormi difficoltà nelle quali si trovò coinvolto assieme ai suoi Confratelli, dato il continuo susseguirsi di mutamenti del quadro politico a cui abbiamo accennato nella premessa.
        Dopo una breve permanenza a Macao, possedimento portoghese, si trasferì a Shin Chow e successivamente nel distretto di Chi King, dove svolse una intensa attività pastorale; spesso a piedi raggiungeva il villaggio Cristiano di Fong Tung.
        Nel 1935 rientrò in Sicilia, a Modica, per un periodo di riposo, trascorso in attività religiose, feste, processioni, pellegrinaggi, la qualcosa gli consentì di farsi conoscere da tanti fedeli; in un suo articolo dedicato nel 2006 a Don Vincenzo nel periodico annuale edito dall'UNITRE di Canicatti, Antonio Insalaco dice che lo chiamavano il cinese con la barba bianca: e dire che aveva solo 46 anni.
        Nel 1936 Don Vincenzo tornò in Cina e, visitato da medici di Hong Kong, possedimento inglese, gli furono riscontrate parecchie malattie.
                Malgrado fosse stanco Don Vincenzo riprese attivamente lo svolgimento della sua Sacra Missione quantunque si fosse trovato in mezzo alle tante battaglie derivate sia dalla guerra civile che dall'invasione giapponese.
        La sua stanchezza, pur essendo giovane, (aveva solo 56 anni quando fu assassinato), derivava dagli immani sacrifici cui si sottoponeva nonostante le malattie da cui èra afflitto, per andare incontro ai bisogni sia spirituali che materiali di tutti coloro che considerava suoi fratelli al di là della nazione, della razza e del credo religioso, al servizio del Dio Padre Misericordioso di cui ci ha parlato Nostro Signore Gesù Cristo.
        Padre Giuseppe Livatino, nel 2001, allorché era ancora Seminarista, nella sua opera " Raggi di Luce divina " dice che Don Vincenzo, invitato a risparmiarsi, viste le sue sofferenze fisiche, rispondeva che " pur avendo troppi malanni addosso, girando non li sentiva tanto."; aggiunge Padre Livatino che provvedeva da solo alla preparazione del suo cibo, e solo quando riceveva ospiti tirava fuori i migliori alimenti di cui poteva disporre.
        Fu la complessa situazione politica al cui centro Egli si trovò, che ne determinò il destino.
        I Cinesi, sicuramente in mala fede, perché Don Vincenzo aveva vissuto in mezzo a loro per ben ventitré anni e quindi lo conoscevano bene, lo considerarono un nemico e un traditore perché essendo italiano e, come tale, alleato dei giapponesi, avrebbe collaborato con questi durante l'occupazione, imputazione successivamente dimostrata assolutamente priva di fondamento.
        II 28 luglio 1945, di ritorno dall'avere celebrato la Santa Messa nei paraggi di Kam Kong, mentre accompagnato da un giovane rientrava in questa città, alle porte di essa fu fermato e perquisito dai soldati di guardia e quindi arrestato e successivamente portato nel Mandarinato e rinchiuso in una cella del locale carcere.
        Quello che è avvenuto nelle ultime ore di vita di Don Vincenzo è avvolto nel più assoluto mistero; la notizie pervenuteci sono frammentarie anche perché da parte delle autorità cinesi non si è avuta la necessaria collaborazione e nonostante che un successivo processo intentato agli assassini ed ai loro mandanti avesse chiarito taluni punti oscuri.
        Dalla relazione fatta da un suo Confratello abbiamo saputo che Don Vincenzo, appresa la sua condanna a morte nonostante non fosse stato sottoposto ad alcun processo, chiese ed ottenne solo un po' di tempo per pregare.
        Padre Livatino, nella sua pubblicazione già citata, da una versione dei fatti a nostro avviso molto attendibile: il mattino seguente al suo arresto, 29 luglio 1945, Don Vincenzo fu visto uscire dalla città slegato, in mezzo a due soldati che scherzavano e ridevano con Lui, ma poco dopo dal centro abitato di Lai How Kiu fu sentito non solo Don Vincenzo chiedere aiuto, ma certamente anche il crepitio di una o più armi da fuoco, talché alcuni abitanti del paese andarono nella dirczione presa da Don Vincenzo con i suoi " accompagnatori " e lo trovarono a terra morto, con le mani legate dietro la schiena, immerso nel proprio sangue, con tre proiettili nel petto, le braccia perforate ed una ferita al naso; è evidente che il Sacerdote era stato assassinato dai due soldati a tradimento, dopo avergli dato l'illusione che lo stessero liberando; gli avevano legato i polsi dietro la schiena dopo morto, ovviamente per mascherare il vero modo in cui erano andati i fatti: pur essendo in perfetto stile comunista questo delitto fu invece perpetrato da soldati nazionalisti di Chiang Kai Shek.
         Il cadavere fu portato in una Cappella Cristiana a Lai How Kiu, dove giunsero alcuni Cristiani i quali, procurata una cassa, dopo averne lavato il corpo, rivestirono Don Vincenzo con degli abiti Sacerdotali e con Paramenti Liturgici e lo inumarono davanti all'Altare della Cappella.
        Durante la sepoltura sopraggiunsero alcuni soldati per saccheggiare la residenza della Missione, certamente alla ricerca e sequestro degli oggetti di valore che si sapevano affidati a Don Vincenzo; da ciò si ha la conferma che, oltre agli stimoli xenofobi ed antireligiosi, alla base dell'operato della soldataglia cinese vi era un motivo ancora più ignobile, in quanto basato sulla loro gretta avidità; inoltre le accuse di collaborazionismo con i giapponesi tendevano a determinare, dopo la morte fisica di Don Vincenzo, anche quella civile e spirituale, nonché la giustificazione della loro ignominiosa azione.
        Antonio Insalaco, nel periodico dell’Unitre avanti citato, ha esplicitato che il successore di Don Vincenzo, Padre Pietro Battezzati, si recò nel mandarinato di Kam Yung per appurare l'effettivo andamento dei fatti e tutti i particolari inerenti la personalità di Don Vincenzo, per riabilitare il quale si raccolsero una serie di testimonianze, le quali costrinsero le Autorità del luogo ad emanare un " bando e taglia " contro gli assassini responsabili del delitto.
        Il processo celebrato contro i Capi del Mandarinato, quali mandanti dell'assassinio e gli esecutori di esso, fu una mezza farsa, indegnamente manipolate non solo, ma pare che nessuno dei responsabili dell'efferato delitto, anche se condannati, abbia scontato la benché minima pena; comunque l'effetto più importante fu che da esso, nonostante tutto, è emersa una netta chiarificazioni dell'operato di Don Vincenzo, la sua innocenza e di conseguenza la SUA T0TALE RIABILITAZIONE , in quanto è venuto fuori in modo cristallino che i suo comportamento era stato pedissequamente conforme a quanto prescritto dalli Chiesa Cattolica per Sacerdoti e laici: la manifestazione dell'amore verso gli altri nelle stesso modo in cui Gesù ci ha amato e continua ad amarci.
        Più tardi le ossa di Don Vincenzo furono riesumate e sepolte definitivaments davanti alla Chiesa di San Giuseppe ad Ho Sai, con una solenne messa funebre funebre presieduta dal Vescovo Mons. Michele Alberto Arduino.
        Un giudizio conclusivo su Padre Vincenzo crediamo possa essere quelle ricordato da Padre Livatino nella citata sua pubblicazione: in un articolo redatto di Don Girolamo Giardina in occasione della morte di Don Antonio Fasulo, Salesiano canicattinese dopo averne esaltato la capacità di avviare alla Società Salesiana numerose e belle vocazioni, conclude testualmente:
        " Fra di essi va ricordato un Martire: il suo concittadino Don Vincenzo Munda che, ucciso in Cina dai nemici della Fede nel 1945, coronò con l'effusione del sangue il Suo generoso spirito missionario e la Sua eroica aspirazione manifestata quando Don Fasulo lo indirizzò nella Famiglia di Don Bosco."

        MORI' MARTIRE PER TESTIMONIARE AL MONDO LE MERAVIGLIE DELL'AMORE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ' CRISTO.

                Carmelo Cammalleri


solfano@virgilio.it








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