IL PROF. VINCENZO PALUMBO, UN GRANDE CHIRURGO, IL CUI NOME TANTO ONORA LA NATIA CANICATTI'
L'Ospedale "Barone Lombardo" di Canicattì deve molto all'opera
del Prof. Vincenzo Palumbo, il quale per venti anni, dal 1958 al 1978, vi svolse
con totale dedizione la sua attività di Primario e Direttore sanitario. Fu lui a
dare all'Ospedale di Canicattì un forte impulso evolutivo, con la realizzazione
di nuove divisioni specialistiche e la creazione di un reparto di così evoluta
chirurgia da farlo assurgere a livelli di alto prestigio e renderlo perno
centrale di una vasta area territoriale. La figura del Prof. Palumbo richiama
alla memoria quella del Prof. Ferdinando Gangitano, un altro illustre
canicattinese, che agli inizi del Novecento diresse lo stesso Ospedale in
maniera eccellente, lasciando di sé indelebile ricordo. Egli, come si legge
nella lapide commemorativa a lui dedicata il 22 ottobre 1922 nei locali dello
stesso Ospedale, "in questo luogo / di pietà e di dolore / mostrò quanto valga /
la mano di un grande chirurgo / guidata dal cuore e dalla mente".
Lo stesso si può dire del Prof. Vincenzo Palumbo. Anch'egli
mostrò la sua abilità di grande chirurgo, con la mano guidata dalla mente e dal
cuore. E non c'è canicattinese che non ricordi le sue esemplari doti umane e
professionali. Chi venne in contatto con lui lo trovò sempre disponibile e
affabile, pronto a prodigarsi per il bene di tutti, sollecito a risolvere i casi
di difficoltà dei bisognosi e solerte nel lenire le sofferenze dei pazienti.
L'umiltà che dimostrava nei rapporti umani ne faceva ancor più risaltare la
statura di uomo di scienza, incessantemente dedito all'aggiornamento
professionale, come è attestato, tra l'altro, dalla sua ricca biblioteca
privata, che contiene più di diecimila volumi attinenti alla scienza medica.
Quando, il 30 novembre 1980, il Prof. Vincenzo Palumbo si
spense, i canicattinesi, che tanto lo stimavano e amavano, ne rimasero
dolorosamente colpiti. Egli venne meno a Roma, lontano quindi dalla città natia
per cui si era tanto adoperato, ponendosi al suo servizio con grande umiltà. Con
lui scompariva un insigne concittadino che aveva tenuto alto l'onore di
Canicattì, in cui era nato il 25 agosto 1911 e dove aveva iniziato gli studi,
prima di passare al Collegio "S.Michele" di Acireale e poi al Convitto Nazionale
di Palermo. Mettendo a frutto le sue non comuni doti di intelligenza e di
volontà, ad appena sedici anni aveva conseguito il diploma di maturità classica.
Dalla Sicilia si era recato poi a Roma, nella cui Università si era iscritto in
Medicina e Chirurgia, ottenendo la laurea a soli ventidue anni.
Appena laureato, aveva intrapreso il corso di specializzazione
chirurgica alla scuola del Prof. Roberto Alessandri e poi a quella del Prof.
Pietro Valdoni, indiscusso luminare della Chirurgia in Italia, stimato e
ammirato dai più grandi chirurghi di tutto il mondo. Con lui, come suo
assistente, si era trasferito, quindi, all'Università di Modena, dove,
temprandosi nell'arte medica con scrupoloso rigore scientifico, aveva ottenuto
la specializzazione in Chirurgia generale.
Obbligato a lasciare tutto dalle vicende belliche del secondo
conflitto mondiale e costretto a partire per il fronte, era venuto a trovarsi in
gravissimo rischio di vita in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943,
quando, essendo con il suo reggimento di stanza in Albania, era stato fatto
prigioniero dall'esercito tedesco e deportato in Germania. Solo nel 1945, alla
fine della guerra, era potuto ritornare in Italia e aveva ripreso la sua
attività scientifica all'Istituto di Patologia chirurgica dell'Università di
Roma, sempre al seguito del Prof. Pietro Valdoni, sotto la cui guida riusciva a
conseguire la docenza in Patologia chirurgica, in Clinica chirurgica e Terapia
chirurgica.
Iniziava così per il Prof. Palumbo l'attività didattica a
livello universitario, che gli dava tante soddisfazioni per la numerosa e
volenterosa schiera di giovani che ne seguivano le lezioni con vivo interesse.
Nel contempo altre soddisfazioni riceveva nella vita con le sue felici nozze,
celebrate nel 1949 e coronate dalla nascita di tre diletti figli. Anche le sue
pubblicazioni di soddisfazioni gliene davano tante, e in particolar modo
quell'aureo libro intitolato "Piccola Chirurgia", manuale assai noto a studenti
e medici e tuttora largamente diffuso tra quanti si accostano a questa
suggestiva e ardua branca della scienza medica.
Intanto il desiderio di rendersi autonomo e di poter fare nuove
esperienze professionali lo induceva a lasciare l'insegnamento universitario e
ad assumere la carica di Primario chirurgo presso l'Ospedale della città
abruzzese di Giulianova, dove ampliava la sua sfera d'azione anche nel campo
dell'ortopedia, dell'ostetricia e della ginecologia. Prevaleva, però, nell'animo
del Prof. Palumbo "la carità del natio loco", che lo faceva trasferire
definitivamente a Canicattì, nel locale Ospedale, intitolato al barone Francesco
Lombardo, il quale nel 1908 aveva dato un notevole impulso alla sua
modernizzazione con una generosa elargizione, corrispondente a circa due
miliardi di lire dei nostri giorni.
L'attività ospedaliera aveva avuto origine a Canicattì durante
la peste del 1624-26 con la fondazione, da parte del duca Giacomo Bonanno
Colonna, dell'Ospedale dei Santi Filippo e Giacomo, ubicato nei locali dove ora
ha sede il Collegio di Maria e chiamato nel "Lexicon Topographicum Siculum"
"Sancti Sebastiani Domus Hospitalis ad infirmos et peregrinos fovendos", cioè
Ospedale di San Sebastiano in cui ci si prende cura dei malati e dei pellegrini.
Il nome con cui viene indicato derivava dalla vicinanza della chiesa consacrata
allora a San Sebastiano e intitolata attualmente a San Diego.
Si sono resi benemeriti, pertanto, il duca Giacomo Bonanno
Colonna e il barone Francesco Lombardo, come benemeriti si sono resi anche il
Prof. Ferdinando Gangitano e il Prof. Vincenzo Palumbo, i quali dell'Ospedale
Civile di Canicattì sono stati grandi Primari e Direttori sanitari e si sono
prodigati con tutte le loro energie e senza badare a se stessi per renderlo più
efficiente e più idoneo a lenire le sofferenze degli infermi e a curare i loro
mali.
Diego Lodato